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martedì 14 marzo 2017

La data del voto? Gira una voce... Oltre ogni vergogna: cosa faranno

La data del voto, l'ipotesi sconcertante. Gira una voce: "Il 24 maggio 2018"



Voto a giugno? Sì, ma nel 2018. Tre mesi dopo la scadenza naturale di questa legislatura. È l'ultima tentazione del Parlamento italiano. Secondo la Stampa sono in tanti, e trasversali, ad allungare il più possibile la vita delle Camere, sfruttando ogni piega del regolamento fino a tirare per la giacchetta la Costituzione.

Messe in soffitta le velleità di voto anticipato, tutto sembra favorire la sopravvivenza del debolissimo governo Gentiloni ben oltre la soglia minima di fine settembre, quella che garantirebbe la maturazione del vitalizio ai "peones", gli onorevoli di prima nomina. A Montecitorio, sussurra la Stampa, gira già una data: il 24 maggio 2018. Calendario alla mano, una scelta estrema perché i 5 anni di vita della legislatura si calcolano dalla prima riunione (il 15 marzo 2013). Aritmetica vorrebbe che la scadenza fosse il 15 marzo 2018. Ma l'articolo 61 della Costituzione indica in 70 giorni il limite in cui si devono fissare nuove elezioni. Lo scioglimento delle Camere come noto è prerogativa del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma servirà la controfirma del governo e anche qui chi vuole guadagnare tempo (e nell'esecutivo ce ne sono tanti) potrebbe adoperarsi per far slittare di qualche giorno il via libera definitivo. In genere la data del voto si decide per evitare ingorghi istituzionali ma il prossimo anno sarà Forza Italia ad avere un "ingorgo" di altro tipo.

La data cruciale è l'8 marzo, quando Silvio Berlusconi potrà presentare domanda di riabilitazione al Tribunale di sorveglianza. Se verrà accolta l'istanza, dopo qualche settimana, il Cavaliere non avrà bisogno di attendere la ormai mitologica sentenza della Corte europea di Strasburgo sulla sua decadenza da senatore e tornerà libero di ricandidarsi e perfino ridiventare premier. Insieme agli azzurri, a molte decine di onorevoli farebbe comodo guadagnare un paio di mensilità da parlamentari in più. Anche a costo di prendere in ostaggio la legge elettorale.

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