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giovedì 5 gennaio 2017

Uscire dall'Europa? Fa benissimo Lezione inglese: pioggia di soldi

Con la super Brexit l'Inghilterra intasca 24 miliardi di euro


di Gabriele Carrer



Riprendere il controllo del paese e delle frontiere porterebbe alla creazione di 400 mila nuovi posti di lavoro. Uscendo dall’unione doganale europea, il Regno Unito diventerebbe inoltre un punto di riferimento globale per il libero scambio. È quanto sostiene il gruppo di pressione Change Britain, nato dalle ceneri della gloriosa macchina da guerra referendaria Vote Leave, la campagna ufficiale del fronte per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea uscito vincitore dalla battaglia referendaria dello scorso 23 giugno.

Lasciando l’unione doganale, sottolinea l’organizzazione, il Regno Unito sarebbe pronto ad affacciarsi nell'era del superamento delle organizzazioni sovranazionali per lanciarsi in accordi bilaterali, sulla scia della politica estera e commerciale annunciata dal presidente statunitense eletto Donald Trump. Secondo Change Britain, in caso di Brexit “dura”, con l’addio al mercato comune ed il ritorno del controllo sull’immigrazione, l’economia britannica guadagnerebbe almeno 24 miliardi di sterline all’anno, risparmiando quasi 10,4 miliardi di contributi al bilancio comunitario, 1,2 miliardi di oneri regolamentari e concludendo nuovi accordi commerciali per 12,3 miliardi.

Ma contro le stime ottimistiche di Change Britain si sono espressi oppositori politici della Brexit ed economisti che sottolineano come le statistiche siano fondate sull’esatta replica degli accordi vigenti grazie quell’Unione Europea di cui il Regno Unito non farà più parte. Gli europeisti, in buona sostanza, dicono che le previsioni di Change Britain sono fondate sugli accordi garantiti dall’Ue, i migliori possibili per il paese. Quasi a negare ogni possibilità che i negoziati bilaterali possano essere più vantaggiosi per il Regno Unito. Jonathan Portes, professore di economia presso il King’s College di Londra che pur ha criticato i dati, ha sostenuto alla Bbc che «ci possono essere vantaggi nel lungo termine lasciando l’unione doganale, ma nel breve termine significa un sacco di burocrazia in più», con riferimento ai maggiori controlli alle frontiere per le merci.

A difesa delle cifre è invece intervenuto Digby Jones, ex capo della CBI (la confindustria britannica) e sostenitore di Change Britain, sottolineando il fatto che Stati Uniti, India, Cina, Canada, Corea del Sud ed il Mercosur (il mercato comune dell’America meridionale di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela) hanno già pubblicamente espresso interesse per accordi commerciali post-Brexit che potrebbe generare oltre 240 mila posti di lavoro. Ed è «ragionevole pensare», ha aggiunto, che Giappone e l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico siano interessati a fare lo stesso.

Festeggiano gli euroscettici d’oltremanica anche per un’altra notizia giunta nel pomeriggio di ieri: Sir Ivan Rogers, ambasciatore britannico presso l’Unione europea, si è dimesso lasciando Bruxelles quasi un anno prima rispetto alla scadenza del suo mandato a novembre prossimo. Rogers avrebbe dovuto giocare un ruolo di primo piano nei negoziati sulla Brexit che il premier Theresa May ha promesso di avviare entro fine marzo. Una notizia, confermata dal ministero degli Esteri, che ha sorpreso molti: l’esperienza e gli ottimi rapporti istituzionali dell’ambasciatore dimissionario erano apprezzati a Downing Street, dove il governo punta forte su di lui per guidare la procedura di addio all’Unione Europea.

Ma Rogers, molto vicino all’ex primo ministro David Cameron, era anche visto dai sostenitori della Brexit “dura” come un impedimento in quanto lo hanno sempre ritenuto un pessimista. A piangere il suo addio sono infatti in larga maggioranza i conservatori più tiepidi verso l’uscita del paese dall’Ue ed i politici di tutto l’arco parlamentare di Westminster che continuano a sperare in un’uscita morbida, o addirittura di scongiurare la Brexit.

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