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martedì 28 giugno 2016

Mancato controllo della vescica: un nuovo modello per la diagnosi

Controllo della vescica: un nuovo modello per la diagnosi


di Pierluigi Montebelli



Tra le più gravi conseguenze delle lesioni midollari traumatiche, la disfunzione vescicale rappresenta anche uno tra i principali ostacoli al reinserimento sociale, scolastico o lavorativo delle persone con lesioni spinali. Non a caso, il recupero dell’autonomia nella minzione è considerato dai pazienti stessi come assolutamente prioritario, spesso ancor più di quello delle capacità deambulatorie. Ma se nella letteratura scientifica e nella pratica medica esistono modelli di predittività del recupero delle funzioni locomotorie e della mobilità degli arti superiori, non è così per le funzionalità delle vie urinarie. O meglio, non lo era fino ad oggi. È proprio questo infatti l’importante e innovativo risultato di un lavoro firmato, tra gli altri, dai ricercatori del Centro Spinale, dello SpiRe e dell’Ambulatorio di Urologia della Fondazione Santa Lucia, guidati dal dottor Giorgio Scivoletto: l’elaborazione di un modello che permette di prevedere se, ad un anno dalla lesione, il paziente avrà recuperato o meno la capacità di urinare spontaneamente. Lo studio, pubblicato a giugno dalla rivista scientifica Plos Medicine, ha esaminato i dati relativi a 1.250 soggetti con lesione midollare traumatica inclusi nel database dell’European Multicenter Spinal Cord Injury - EMSCI, di cui la Fondazione Santa Lucia è l’unico membro italiano. 

La ricerca è stata condotta sulla base di alcuni dati neurologici, riguardanti la forza e la sensibilità degli arti inferiori, e alcuni dati funzionali sulla gestione degli sfinteri, registrati al momento della prima valutazione del paziente, entro 30 giorni dalla lesione. Il modello ha mostrato un’efficacia elevatissima: il 94 percento dei casi. Ciò significa che è ora possibile rispondere tempestivamente e con certezza alla richiesta d’informazione dei pazienti sulla loro possibilità di recupero della funzione vescicale e, di conseguenza, attuare misure utili alla loro futura qualità di vita. In particolare “il cateterismo intermittente - spiega il dottor Giorgio Scivoletto - è il cardine delle cure rivolte ai pazienti con questa disfunzione. È oggi l’unica tecnica a disposizione che rispetti l’alternanza fisiologica del riempimento e dello svuotamento vescicali, senza richiedere la presenza di alcun corpo estraneo, possibile fonte di complicazioni, all’interno della vescica”. Numerosi studi e l’esperienza clinica diretta dimostrano che questa tecnica, correttamente eseguita, riduce il rischio di infezioni urogenitali anche in ambiente ospedaliero. Può essere eseguita in autonomia dai pazienti con frequenza media di 4-5 volte al giorno. “Mentre in ospedale è raccomandata una procedura sterile, a casa può essere effettuata in sicurezza semplicemente lavando accuratamente le mani e le parti interessate”, spiega il Neurologo. 

“L’educazione all’autocateterismo intermittente è al centro delle cure riabilitative rivolte ai pazienti mielolesi - continua Scivoletto - insieme ad adeguate raccomandazioni per la prevenzione delle infezioni e all’indicazione della quantità di liquidi adeguati da assumere nel corso della giornata. Per chi non può sperare nel recupero dell’orinazione spontanea - conclude il medico - questi strumenti diventano essenziali a migliorare la qualità di vita”. Oltre a rappresentare un evento fortemente drammatico per le persone colpite, le lesioni traumatiche del midollo spinale - il 65 percento delle mielolesioni in Italia -  rappresentano un forte onere per il sistema sanitario. Traumi derivanti nella maggior parte dei casi da incidenti stradali, cadute e incidenti sportivi, si trasformano infatti spesso in invalidità permanenti. Ma mentre in passato le complicanze sistemiche generate da disfunzioni del tratto urinario erano responsabili per oltre il 40 percento dei decessi tra gli individui colpiti, oggi la combinazione di auto-cateterismo, trattamenti farmacologici e regolari indagini urodinamiche ha rivoluzionato la cura dei pazienti affetti da questo tipo di lesioni, riducendo questo dato al 13 percento.

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