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martedì 31 maggio 2016

INPS, TRUFFA-VERGOGNA Sai che un assegno su tre... Quanti soldi ti hanno fregato

Inps, truffa vergogna: sai che un assegno su tre... Quanti soldi ti hanno fregato


di Sandro Iacometti



Altro che prescrizione lunga. Mentre in Parlamento si discute sulla necessità di estendere i termini dei processi, per evitare che qualche delinquente la faccia franca, migliaia di pensionati sono costretti ad una frenetica corsa contro il tempo per ottenere giustizia dall’Inps. Il diritto alla pensione, fortunatamente, è imprescrittibile. I requisiti, dopo la Fornero, sono diventati quasi impossibili da raggiungere, ma una volta ottenuto l’accesso alla prestazione previdenziale, la richiesta può essere avanzata anche dopo vent’anni, a patto di essere ancora vivi. Tutt’altra la situazione sui ratei di pensione, ovvero gli assegni mensili. In questo caso, per evidenti motivi di cassa, lo Stato è assai meno generoso. Dal 2011, infatti, sia per le pensioni già liquidate ma non riscosse che per quelle neanche liquidate il diritto ad incassare si prescrive dopo soli cinque anni, invece dei precedenti dieci. Il che significa che se presento la richiesta dopo vent’anni anni dal termine utile, quindici anni della mia pensione se li mangia l’Inps.

La beffa più grossa riguarda, però, gli assegni sballati di cui si chiede la correzione. In questo caso la prescrizione si trasforma in decadenza (il diritto si estingue per sempre) e il termine si accorcia a tre anni.

Si potrebbe pensare che con circa 30mila dipendenti difficilmente l’Istituto nazionale di previdenza possa prendere un abbaglio. Eppure, tra erronei accrediti della contribuzione, calcoli sbagliati dei periodi di malattia, maternità e cassa integrazione, scorrette rivalutazioni dei montanti, l’errore è molto più frequente di quello che si immagini.

Qualche tempo fa la Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro ha calcolato che gli assegni con importi pensionistici inferiori al dovuto rappresentano circa il 38% del totale. Le singoli posizioni presentano in media scostamenti minimi, intorno ai 30 euro mensili, ma se si moltiplicano le somme per i 12 mesi e per gli anni di trattamento la perdita per i pensionati (e il guadagno illegittimo per l’Inps) è tutt’altro che irrilevante.

A confermare l’entità del fenomeno ci hanno pensato diverse rilevazioni sul campo. Lo scorso anno il patronato Inca Cgil di Lucca ha diffuso i dati di una verifica effettuata sulle pensioni di 1.800 persone residenti nella provincia. Ebbene, un assegno su quattro si è rivelato inesatto e dai ricalcoli sono usciti fuori oltre 4 milioni di euro non corrisposti dall’Inps in cinque anni, con errori medi tra i 70 e i 100 euro mensili.

Stessa attività è stata portata avanti dall’Inca Cgil di Rimini lo scorso marzo. Su 1.850 richieste di ricalcolo, ben 791 hanno portato al computo di un rimborso. Si tratta di una percentuale elevatissima del 42,7%. Dall’operazione sono emersi complessivamente 509mila euro di prestazioni dovute e non erogate.

Nella quasi totalità dei casi i pensionati non hanno, ovviamente, alcuna responsabilità. L’errore tecnico o umano è solitamente ascrivibile alla macchina dell’Inps che, seppure involontariamente, rosicchia ogni mese un po’ di soldi al malcapitato di turno. Difficile dire con esattezza quante, tra i 18 milioni di pensioni attualmente versate, siano fasulle. Una cosa, però, è certa: chi vuole verificare la propria posizione, rivolgendosi ad un professionista abilitato, deve farlo in fretta. Una legge del luglio 2011 ha introdotto un termine di decadenza triennale che scatta dal momento della liquidazione del primo assegno e una circolare Inps del luglio 2014 ha sancito l’entrata in vigore della prima tagliola, annullando tutti i possibili ricorsi relativi ai tre anni precedenti.

Solo un intervento della Corte costituzionale (sentenza 69/2014) ha impedito che la stessa stretta sui tempi fosse applicata retroattivamente anche ai trattamenti erogati prima del 2011 o a quelli già in corso di contenzioso (per cui valgono i vecchi termini decennali). Davanti alla Consulta l’Inps ha così difeso la norma. La finalità della disciplina, si legge nella sentenza, è quella «di produrre risparmi nel settore previdenziale riducendo i tempi di esercizio del diritto degli assicurati alle prestazioni pensionistiche».

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