Il documento che cancella l'Italia. Verremo commissariati: la prova
di Carlo Pelanda
Il rapporto 26 febbraio 2016 della Commissione segnala che l’Italia danneggia l’intera Eurozona per poca crescita e che costituisce un pericolo prospettico per la stabilità finanziaria dell’eurosistema. Nel rapporto 2015 non c’era un segnale di pericolosità così forte: come mai dopo un miglioramento, pur piccolo, della crescita l’Italia è oggi più “eurofrenante” di un anno fa? Si tratta di sottigliezze di linguaggio, ma chi usa questi rapporti per farsi un’opinione su nazioni di cui non ha conoscenza diretta le annota, per esempio le agenzie di rating. La Francia con un’economia stagnante che non può fare a meno di un deficit oltre soglia per finanziare il modello statalista, cosa che proietta il suo indebitamento prospettico oltre quello italiano, invece non è considerata un pericolo.
L’ipotesi di due pesi e misure non mi sembra immotivata. Sensazione rafforzata dai rapporti sulla Germania: non nascondono i problemi correnti e prospettici, ma il fraseggio li alleggerisce. Per esempio, in realtà il sistema bancario tedesco è minato da una miriade d’istituti locali con governance politica, difesi da Bundesbank che non ha voluto che la vigilanza Bce penetrasse i loro bilanci opachi, probabilmente densi di titoli tossici non ancora svalutati, come in alcuni grandi istituti. Nei rapporti, invece, si trovano cenni, ma senza definizione di un grosso problema nazionale ed europeo come è. Mentre in Italia, dove c’è una massa di crediti deteriorati già svalutati di circa il 50% e il resto sotto controllo, il rapporto fa intendere che ci sia una crisi bancaria che non c’è. Questi rapporti sono fatti con molta cura sul piano formale, ma su quello sostanziale esibiscono mancanze analitiche importanti, in particolare al riguardo dell’Italia. Tra le tante, una chicca: l’export, punto di forza, sarebbe minato dal fatto che tante piccole imprese esportano in modi sporadici e non sistematici come le grandi industrie, così ipotizzando che l’export italiano sia volatile e, allusione implicita, non un punto di forza. Questa fesseria gira il globo e poi ci si sente chiedere da qualche investitore estero se il sistema italiano d’industria diffusa stia implodendo mentre in realtà sta rinforzandosi.
Ma il fraseggio più ingiustamente penalizzante per l’Italia è il definirla “periferia economica”, nel rapporto 2015 è perfino insultante. Come diavolo si può definire periferia economica una nazione che è ai primi posti nel mondo per scala e capacità industriale? Volendo cercare precisione, il centro economico dell’Europa, o volano industriale e finanziario, è fatto da diverse regioni subnazionali in una fascia a “T”: l’Italia settentrionale, il lato renano della Germania, un pezzo di Francia nord-orientale, l’Olanda, l’area di Londra, ecc., e non da nazioni intere.
Il punto: dopo aver visto come nel 2011 i tecnici del Fmi, su pressione delle nazioni che volevano sostituire il governo italiano del tempo, hanno associato la solida Italia alla fragile Spagna unendole nel rischio d’insolvenza, cosa che ha prodotto una devastante rappresentazione sbagliata dell’Italia, è più razionale essere paranoici che accomodanti. Il fraseggio negativo della Commissione potrebbe essere usato come base per un futuro commissariamento dell’Italia e/o per trattative che mettano Roma in svantaggio iniziale. Da un lato, i difetti dell’Italia sono innumerevoli e non contestabili. Dall’altro, parte di questi difetti non trovano soluzione per l’architettura rigida delle euroregole e certamente l’Italia ha una solidità economica e finanziaria molto maggiore di quella rappresentata nei rapporti detti. Ci sono motivi per ipotizzare un’intenzionale volontà di sottorappresentarla? Non possiamo provarlo, ma nemmeno escluderlo. Pertanto dovremmo: (a) pretendere la creazione di un comitato scientifico (vero) paneuropeo che controlli le analisi dei tecnici della Commissione sul piano della consistenza metodologica; (b) pretendere dalla Commisione che i Country Report d’inizio anno, su cui non prende responsabilità per i contenuti, vengano firmati da chi li redige, così eliminando l’ambiguità di documenti non ufficiali, ma che vengono percepiti come se lo fossero. Speriamo basti solo questo per ridurre la quantità di errori, fraseggi pilotati e stereotipi che sembrano contenere.
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