Crac banche, la lista salva-denaro. Ecco tutti gli istituti fuori pericolo
di Tobia De Stefano
Mentre il governo Renzi prova affannosamente a mettere una pezza sugli ultimi dissesti del credito made in Italy, i risparmiatori nostrani sono arsi dal dubbio. I fallimenti di Banca Marche, Etruria, Carife e CariChieti che costano, al netto degli interventi dell' esecutivo, circa 1,2 miliardi ad azionisti ed obbligazionisti, rappresentano delle mosche bianche o «un alert» in vista di altre crisi del sistema?
Domanda tutt'altro che campata in aria, visto che a partire dal primo di gennaio entreranno in vigore le nuove regole per il salvataggio degli istituti in grave difficoltà volute dalla comunità europea (con la direttiva Brrd). Il cosiddetto bail-in prevede che non sarà più lo Stato a rimetterci i soldi, ma chi ha investito nelle banche. Con una logica: se hai puntato sugli strumenti finanziari più rischiosi sosterrai prima degli altri le eventuali perdite. E quindi, ci rimetteranno prima gli azionisti, poi chi possiede titoli subordinati (bond in primis), quindi i normali obbligazionisti e, per finire, anche i correntisti che hanno depositi superiori ai 100 mila euro. Ecco perché diventa fondamentale capire fino a che punto è possibile fidarsi della proprio istituto di credito.
Diversi sono gli strumenti utili. Uno di questi è il rating stabilito dalle società specializzate che danno un sorta di giudizio sulla capacità dell' istituto di ripagare il proprio debito. Basta vedere la valutazione per farsi un' idea. Più basso è il rating e maggiori saranno gli interessi che la banca dovrà pagare ai sottoscrittori dei suoi bond perché ovviamente affrontano un rischio più elevato. Milano Finanza, invece, ha analizzato (nella tabella a fianco) l' indice di solidità patrimoniale per eccellenza, il «Cet 1 ratio» (il Common equity tier 1).
In pratica il rapporto tra il capitale ordinario versato e la attività ponderate per il rischio. Un parametro fondamentale perché ci spiega con quali risorse «primarie» (capitale versato, utili non distribuiti, le riserve) la banca può garantire i prestiti che effettua alla clientela (mutui, prestiti alle imprese ecc) e i rischi che possono derivare da sofferenze, incagli e altri crediti deteriorati. E lo ha messo a confronto, lì dove possibile (per le banche soggette alla vigilanza europea), con le raccomandazioni specifiche della Banca Centrale Europea e con quella più generica del Comitato di Basilea, che si attesta sul 7%. Risultato? Il sistema creditizio del Belpaese regge.
Tanto per dire. La Bce chiedeva al Credito Valtellinese un «Cet1» del 8,30%, pienamente rispettato stando ai numeri, 11,72%, registrati nel settembre del 2015. E lo stesso discorso vale per due banche che arrivano da momenti molto difficili e che hanno richiesto sforzi supplementari ai propri azionisti, aumenti di capitale, come Carige ed Mps. A Francoforte gli chiedevano di stare sopra l' 11,25% e il 10,20% e in entrambi i casi gli istituti hanno risposto con risultati che si aggirano intorno al 12%.
In testa alla classifica, comunque, campeggiano gli istituti specializzati nel private banking (per esempio Banca Finnat e Banca Profilo), che avendo quale attività principale la gestitone dei portafogli e non i prestiti a famiglie e imprese corrono anche meno rischi.
Poi ci sono Fineco, Banco di Sardegna e Mediolanum. Mentre più giù, ma con un margine molto ampio rispetto alle richieste di Francoforte, si attestano Banca Intesa e Ubi Banca. Con l' istituto dell' amministratore delegato Carlo Messina che vanta un 13,40% rispetto al 9,50 richiesto dalla Bce e la banca nata dalla fusione di diverse popolari in salita al 13% rispetto al 9,25%. Ma ovviamente non ci sono solo note positive. L' unica banca che va sotto le richieste di Basilea (il 7%) è la Popolare di Vicenza che di conseguenza non riesce a rispettare neanche i parametri, 10,25%, imposti dall' Eurotower.
Ma qui c' è in ballo un importante aumento di capitale in vista della quotazione in Borsa. Più o meno la stessa situazione che si trova ad affrontare Veneto Banca che al 30 giugno del 2015 aveva un «Cet 1 ratio» dell' 8,37%.
E non finisce qui. Perché possono destare preoccupazione la Popolare di Cividale, che nel 2014 è entrata nel mirino degli ispettori di Palazzo Koch, e la Cassa di Risparmio di Cesena. Bankitalia ha sottolineato l' importanza di un aumento di capitale e a giugno 2015 aveva un rapporto (8,13%) più basso rispetto al risultato del 2014 (8,83%).
Un trend negativo (risultati del 2015 peggiori rispetto al 2014) che caratterizza anche altre Casse locali. Da quella di Asti, ferma al 9,98% rispetto al 10,70, fino ad arrivare a San Miniato, Ravenna e Parma.
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