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domenica 29 novembre 2015

L'allarme dalla Germania: "Euro a picco" I segnali sconcertanti della crisi nera

Euro a picco. L'allarme dalla Germania: i segnali sconcertanti


di Nino Sunseri 



La Deutsche Bank è molto negativa sul futuro dell' euro. Prevede il cambio a 0,85 sul dollaro prima di risalire intorno a 0,90 nel corso del 2016. Rispetto ai valori attuali un calo del 20%. Un' oscillazione che mette paura.

La caduta dell' euro è il frutto della divergenza fra Fed e Bce. La banca centrale americana considera la ripresa ormai consolidata e si prepara a stringere i freni provocando l' innalzamento del dollaro Draghi, invece, allenterà ancora di più la politica monetaria abbattendo l' euro. In altri tempi la svalutazione sarebbe stata il toccasana per il rilancio dell' economia. Ma in altri tempi c' erano la lira e le altre monete nazionali. Oggi c' è l' euro. Così cresce la paura. E' forte il rischio che, nonostante la vigorosa spallata al cambio accadranno poche cose buone. Si tratta di quella che ormai viene definita la sindrome giapponese. Gli stimoli monetari per quanto potenti non riescono a rianimare l' economia. Anche se lo yen è sceso molto e la pompa della Bank of Japan riempie il mercato di liquidità fino a farlo affogare. L' Europa va incontro ad un destino simile?

Come escluderlo. Tanto più che non mancano i segnali d' allarme. A settembre, nel silenzio generale, c' è stata una nuova battuta d' arresto dell' attività produttiva. L' euro è già sceso molto ma senza risultati apprezzabili. Il fatturato industriale è diminuito dello 0,1% su agosto e gli ordini addirittura del 2%. Entrambi i riferimenti sono in discesa dello 0,8% sul 2014.

Come si dice in questi casi? Il cavallo non beve. La ragione è molto semplice. I principali mercati di sbocco del made in Italy sono in Europa. Come tali assolutamente indifferenti al cambio. Né può servire guardare fuori dalla zona euro. Tranne gli Usa il resto delle grandi economie sta rallentando. In alcuni casi, come il Brasile si trova addirittura in recessione ed il governo non riesce a reagire perchè paralizzato dalle indagini sullo scandalo Petrobras. Certo con la svalutazione ci sono forti vantaggi per il tessile abbigliamento e gli articoli di lusso. Tuttavia l' esperienza dei mesi scorsi insegna che le eccellenze del made in Italy sono indifferenti all' andamento del cambio.

Insomma alla fine della corsa potremmo essere costrertti ad una conclusione desolante: il cambio debole e il potente bazooka monetario di Draghi sono semplici tigri di carta. Sono un forte incentivo per i mercati finanziari come dimostra ancora l' esempio giapponese (l' indice Nikkei salito del 110%). Invece rappresentano un' arma spuntata come pungolo alla produzione (il Pil giapponese è di nuovo negativo). Gli effetti positivi della caduta dell' euro rischiano di essere poco rilevanti. Almeno per l' Italia. A trarne giovamento sarebbe sicuramente la Germania che, secondo gli analisti resta competivia anche con l' euro a 1,50. Figuriamoci se vale la metà. Per la nostra economia invece potrebbero materializzarsi effetti molto negativi.

Per esempio il rialzo della bolletta petrolifera nonostante la quotazione del barile sia ancora modesta. Il prezzo della benzina potrebbe tornare rapidamente oltre la quota di 1,7 e rispunterebbe l' inflazione. Se dovesse superare la soglia del 2% Draghi dovrebbe bloccare il suo bazooka.

Così dopo la scomparsa del barile leggero verrebbe meno anche l' altro supporto che ha impedito all' economia di affondare. Vale a dire la politica di bassi tassi d' interesse. La conclusione potrebbe essere inedita e molto amara. Uno scenario nel quale la svalutazione della moneta porta più danni che vantaggi. Il mondo che gira al contrario rispetto alla lira.

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