Matteo Renzi intercettato: arriva l’inchiesta
di Enrico Paoli
Il Nuovo Centrodestra, nel solito eccesso di realismo, vorrebbe stralciare il tema delle intercettazioni dal Disegno di legge sulla giustizia penale, in modo da far viaggiare la materia su una corsia preferenziale. Il Pd, pur essendoci di mezzo il presidente del Consiglio, è determinato a restare sulla linea tracciata dal ministro Andrea Orlando: «La delega sulle intercettazioni resta all’interno del Disegno di legge in discussione alla Camera». Insomma, niente fughe in avanti o corsie preferenziali, il Parlamento faccia il suo lavoro, nonostante il caso Renzi.
E la commissione Giustizia della Camera, proprio oggi, riprende l’esame del provvedimento in questione con l’obiettivo di far arrivare il testo all’esame dell’Aula entro la fine del mese. Maggioranza e opposizione sono consapevoli che il nodo delle intercettazioni avrà un peso in più nel dibattito generale rispetto a quanto ne avesse prima della pubblicazione delle conversazioni fra il premier Matteo Renzi e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi che tirano in ballo l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Per questa ragione il Pd non vuole seguire l’Ncd sulla strada della corsia preferenziale. E così sull’onda della coerenza, più che dell’urgenza, l’idea che sembra prendere forma per stoppare le intercettazioni non rilevanti dal punto di vista penale, sarebbe quella di introdurre una sorta di «udienza filtro» nel corso della quale accusa e difesa stabiliscono quali atti, in particolare i brogliacci delle intercettazioni, servono al processo e quali no. Una volta fatta la scelta il materiale scartato, tanto per fare un esempio le intercettazioni che hanno dato il via al caso Renzi-Adinolfi-Napolitano, verrebbe secretato e consegnato al giudice, non al Pubblico ministero, in modo tale da avere un soggetto terzo che faccia da garante e da custode dei documenti. Ovviamente quella dell’«udienza filtro» è un’ipotesi di lavoro, e non una certezza, dato che resta da definire il quadro normativo entro il quale certe conversazioni sono utili all’opinione pubblica, che ha diritto di sapere, e quali devono essere distrutte. «È del tutto evidente che un politico deve essere consapevole del fatto che ha qualche diritto in meno e qualche responsabilità in più rispetto ai cittadini», afferma Walter Verini, capogruppo del Pd in Commissione giustizia alla Camera, «se dalle intercettazioni emergono atteggiamenti e comportamenti in palese contrasto con il mandato parlamentare è giusto che gli elettori sappiamo come stanno le cose. Di Massimo Bossetti e Alberto Stasi sappiamo tutto, è stato pubblicato tutto e nessuno si è indignato. Se capita ad un politico invece parte subito il coro di proteste».
Nel caso «Renzi», però, tanto la Procura della Repubblica di Napoli quanto il Csm ipotizzano una «fuga di notizie». I giudici partenopei hanno aperto un fascicolo per accertare cosa è accaduto al fascicolo e come mai le intercettazioni sono arrivate al Fatto Quotidiano, mentre il Csm attende a gloria la relazione per attivare un eventuale procedimento disciplinare. Una fretta quantomeno sospetta, sia quella delle toghe che dell’organo di autogoverno dei magistrati, visto che solitamente i tempi sono un po’ più lunghi. Ma essendoci di mezzo il premier meglio accelerare. «Per quello che riguarda l’ultima vicenda (quella delle intercettazioni in cui compare il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ndr) siamo in attesa che il procuratore della Repubblica riferisca al procuratore generale che ha aperto un fascicolo per accertare cosa sia accaduto», dice il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini. Fate presto, se potete, sembra voler dire l’esponente del Pd.
Sullo sfondo della partita politica legata capitolo delle intercettazioni, se va delineando anche una una di carattere economico. Nell’ottica della spending review il decreto di riforma della Pubblica amministrazione prevede il taglio della spese per le intercettazioni fino al 50%. Dove non arriva la politica arriva l’euro.
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