Claudio Borghi, l'economista di Salvini: "Tutta la verità sull'uscita dall'euro. In 3 anni rinasciamo, ma senza lira"
di Giancarlo Perna
Nonostante i suoi fanciulleschi 45 anni, Claudio Borghi Aquilini, è già un veterano del mondo finanziario. Ha trascorso vent'anni tra Borsa e banche, è docente di queste cose alla Cattolica ed è oggi, in Italia, il più esposto tra gli economisti «eretici» che considerano l'euro una iattura. La sua convinzione è ormai vecchia di qualche anno. Ha fatto il giro delle sette chiese per aprire gli occhi ai politici di centro destra - il Cav, Alfano, ecc. -, Cinquestelle e altri, ma, dopo i primi entusiasmi, silenzio totale. Si è allora rivolto a Matteo Salvini, che non era ancora il capo della Lega, spiegandogli che l'Italia o esce dall'unità monetaria o si gioca il futuro. I due, che sono quasi coetanei e hanno in comune barbetta ed energia, si sono trovati sulla stessa lunghezza d'onda.
Diventato segretario, Matteo ha nominato Claudio responsabile dell'Economia per il partito e, alle regionali di fine maggio, lo ha candidato alla presidenza della Regione Toscana. Borghi ha avuto un successone, giungendo secondo dopo il governatore uscente, il pd Rossi, nomen omen. Oggi, pur essendo un milanese doc, è il capo dell'opposizione nel Consiglio regionale toscano. È qui che lo incontro, a due passi da Piazza del Duomo. Vi anticipo la mia impressione: Borghi è una testa solida che ha esaminato in ogni sua parte il problema dell'euro, rigirandolo come un cubo di Rubik. E ha concluso che non va.
«Leggenda vuole che tu abbia debuttato come fattorino», dico. «Vero - risponde divertito -. A 19 anni ero nello studio di agenti di Borsa, la mia passione, con l'incarico di portare agli operatori in Piazza Affari i fogliettini con gli ordini». «Lavoravi per bisogno?», chiedo. «I miei genitori, papà alla Pirelli, mamma casalinga, mi avrebbero senz'altro mantenuto all'università, ma volevo fare per conto mio. Avevo superato il test per la Bocconi, il massimo, ma, volendo lavorare, mi sono poi iscritto alla Cattolica che aveva i corsi serali». «L'Ateneo di cui oggi sei docente», dico, sbirciando gli appunti. «Ho cominciato a insegnare dopo la carriera lavorativa. Avevo avuto successo come manager bancario e borsistico. Così, mi fu chiesto di insegnare Intermediazioni finanziarie. Non sono un economista accademico. Trasmetto ai giovani le esperienze vissute, comprese le mazzate sui denti. È una semina», dice. «I tedeschi li conosci: sei stato alla Deutsche Bank», dico. «Sì e ti faccio un esempio - replica Borghi serio -. Ero in DB nel 2003, primi anni dell'euro, quando ci fu un'ondata di licenziamenti. Mai accaduto prima. Presi dal terrore, specie i bancari tedeschi accettarono forti riduzioni salariali. Ho capito dopo la manovra: la Germania, in vista dell'euro, si efficientizzava, tagliando posti e stipendi per poi riempire il mondo dei suoi prodotti». «Da docente della Cattolica, sarai cattolico e ammiratore del terzomondismo di papa Francesco», stuzzico.
«Sono assolutamente cattolico e praticante ma preferisco il rigorista Ratzinger. Bergoglio stesso ammette di non capire l'economia...». «Però ne parla di continuo per condannare il benessere occidentale», interrompo. «L'economia è come il calcio, ognuno si sente autorizzato a dire la sua - replica Claudio -. A Francesco, come ha raccontato, l'economia sta antipatica perché il papà era ragioniere e portava il lavoro anche in casa invece di stare con lui». Borghi mi lascia cinque minuti per presenziare a una cerimonia in Consiglio. Quando rientra gli diamo sotto. Sempre stato leghista? «Di centrodestra. Ho votato Fi, Lega, Pdl. Votavo però le persone e le persone mi hanno sempre deluso».
Per esempio?
«Formigoni. Il Cav, non ne parliamo. Meglio si fosse dimesso invece di tradirci nel 2011 introducendo l'aumento dell'Iva. E taccio il fatto che ha votato la fiducia al governo Monti!»
Vuoi l'uscita dall' euro o ti basta meno rigore?
«Punto solo all'uscita dall'euro. La moneta è un elemento pervasivo dell'economia reale. Non è che cambiandola si aggiusta tutto. Ma è un atto necessario. Senza, non si risolve il resto».
Tsipras era anti euro come te, ma si è arreso. Un monito anche per voi?
«Tra noi e Tsipras c'è un abisso. Lui dice l'opposto: voglio stare nell'euro ma voglio più fondi. Per i soldi è disposto a tutto. Noi invece vogliamo uscire e non vogliamo soldi da nessuno».
Cos'è per te l'euro?
«Una camera a gas con due possibilità per sopravvivere. Uscire dalla camera a gas. O trattenere il respiro. Cioè l'austerità, anticamera del fallimento».
La Grecia ci odia perché le imponiamo la carestia. Noi odiamo la Grecia che ci spilla soldi. Che Europa è?
«Come la Lombardia che si arrabbia quando deve pagare per la Basilicata. I trasferimenti portano odio. Odio di chi paga e sottosviluppo di chi è pagato. La soluzione è stare in piedi da soli. Basta creare le condizioni. L'uscita dall'euro lo è».
Dare 80 miliardi ad Atene è una bella botta.
«Ad Atene? Ai creditori di Atene. Noi pagheremo per soddisfare Bce e Fmi esposte con i greci. Come nel 2011, demmo soldi ad Atene per compiacere le banche francesi e tedesche che ne detenevano il debito, azzerando i loro passivi».
Coordini il settore economia della Lega. Hai in squadra fior di economisti o mozzorecchi?
«Sono in contatto costante con un gruppo di economisti internazionali - tra cui Brigitte Granville che ha smantellato l'area del rublo - ai quali fu chiesto anni fa da un think tank inglese il modo migliore di uscire dall'euro. C'ero anch'io e siamo rimasti uniti».
Sei statalista alla Keynes o liberale alla Friedman?
«Sono un pratico. Non c'è un vestito per tutte le stagioni. Con la crescita, sono liberista. Se c'è recessione, keynesiano. In tempi di crisi non licenzio, facendo disastri maggiori. Aumento invece la spesa pubblica per sostenere occupazione e consumi».
Noi abbiamo fatto l'inverso, abolendo l'articolo 18 per affrontare meglio la crisi.
«Per seguire la ricetta europea. Keynes e Friedman uscirebbero dall'euro perché non funziona. Schaeuble ci sta perché gli conviene. Il nostro Padoan perché è pagato per tenerci dentro».
Che pensi di lui?
«Come Draghi, è parte della Troika. Sono esecutori che servono a dare garanzie al mondo dei creditori».
L'Italia che conta - Confindustria in testa - è per l'euro.
«Ragionano da importatori. La grande impresa ha delocalizzato, in Polonia, Serbia, ecc. Per gli importatori dei loro stessi prodotti, l'euro è una benedizione: produco pagando in zloty polacchi, incasso in euro. Ecco perché sono filo euro. La piccola impresa, che non può delocalizzare, è tutta con noi».
In due parole: perché conviene uscire?
«Per stare in tema: se si torna alla moneta nazionale, diventa più conveniente lavorare in patria. Se sparisce la delocalizzazione, ho già risolto metà dei problemi».
Non pronunci mai la parola "lira".
«Tornare alla "lira" non mi attira. Fa pensare al passato. Vorrei il "fiorino", l'antica moneta di Firenze col simbolo del giglio. Il fiorino, appunto».
Il Cav è sempre più filo euro.
«Se stringeremo un'alleanza politica, la questione euro sarà centrale. Berlusconi non può stare con noi e contemporaneamente nel Ppe di Angela Merkel. È una questione di fondo sulla quale non c'è margine di contrattazione».
Salvini mi ha detto: prima di uscire dall'euro chiedo all'Ue di cambiare atteggiamento. Dà un' alternativa.
«Lui dice: prima di uscire da solo cerco un accordo. Come si fa anche nei divorzi. L'idea è di smantellare l'euro nel modo più concordato possibile».
All'ora X dell'uscita bisogna avere il fiorino stampato per distribuirlo alle banche a mezzanotte?
«È un'idea medievale, come la stessa banconota. Si può cambiare moneta - un euro eguale un fiorino - schiacciando un bottone. Il cittadino col bancomat nemmeno se ne accorge. Solo andando all'estero vedrà che tutto è più caro».
Come vedi il domani dell'Italia?
«Questa infame situazione, che sarà ricordata come un nuovo 1929, non può durare molto. Poi ci sarà la rinascita».
Ma intanto...
«Mi dispiace per i ventenni disperati. Sono invece ottimista per i decenni che vivranno un periodo molto felice di crescita».
Che intendi?
«Dopo l'uscita dall'euro, tre anni sono i tempi tecnici per leccarsi le ferite e ripartire. Prima si esce e prima si svolta».
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