Spread e debito di Stato, perché la mossa di Mario Draghi è un default "buono"
Matteo Renzi come da costume si è auto-assegnato il merito dei dati positivi su spread (sotto i 100 punti, non accadeva dal 2010) e Pil (in crescita dello 0,1% nelle previsioni Istat per il primo trimestre 2014) e qualcuno ha già euforicamente annunciato la "fine della recessione". Tecnicamente, forse, può essere. Nella pratica, invece, le cose sono un po' diverse. Innanzitutto, il merito vero di quanto sta accadendo su debito pubblico ed Eurozona è ovviamente di Mario Draghi e della Bce, con il programma di acquisti di titoli di Stato emessi dai governi europei per 800 miliardi di euro. In seconda battuta, l'Italia può sì gioire per lo spread ai minimi (è un problema per ora eliminato, spenderemo meno per indebitarci) ma deve guardare con preoccupazione al fatto che anche con una congiuntura quasi irripetibile (spread giù, tassi a zero, prezzo del petrolio a picco) la crescita sia impercettibile. Segno che le debolezze strutturali del Paese, con le riforme a metà, la pressione fiscale insostenibile e la competitività deficitaria, sono ancora tutte lì da risolvere e pesano tanto, troppo.
Quasi come un default - Quei problemi dovranno essere risolti dal governo Renzi e dai suoi successori. Quelli e solo quelli, perché Draghi ha invece risolto (almeno fino al 2016, ma forse oltre) quelli del debito sovrano. Come sottolinea Federico Fubini su Repubblica, infatti, la mossa dello scorso gennaio del numero uno Bce potrebbe avere effetti molto simili a quella ristrutturazione del debito totale richiesta a gran voce da Varoufakis, Grillo e compagnia anti-rigore. La Banca centrale europea comprerà obbligazioni a scadenze lunghissime (i matusalemme bond) che i debitori rimborseranno tra trent'anni. Così facendo, alleggerirà la pressione e il costo del debito dei singoli paesi in modo meno traumatico di quello di un default vero e proprio, e soprattutto senza espropriare i creditori (Stati esteri o privati che siano).
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