Forza Italia, Renato Brunetta e Denis Verdini allo scontro finale: le dichiarazioni (e la verità)
di Marco Gorra
Nella maionese impazzita che è diventata Forza Italia, si è arrivati al ribaltamento definitivo. A difendere senza se e senza ma la linea imposta da Silvio Berlusconi risultano infatti essere Raffaele Fitto e i suoi, da mesi impegnati in una lotta all’ultimo sangue contro il quartier generale, mentre a tenere alte le insegne della dissidenza sono un gruppo di parlamentari di area verdiniana i cui nomi si era soliti incasellare alla voce “berlusconiani di ferro”.
Lo slittamento inizia nel pomeriggio di lunedì, quando da Arcore arriva l’indicazione berlusconiana: sulla riforma del Senato si vota no. A quel punto, partono le grandi manovre. Denis Verdini, che del Nazareno fu tessitore e che reputa sbagliatissimo abbandonare Matteo Renzi al proprio destino, riunisce a cena una ventina di fedelissimi per ragionare sul da farsi. A ragionamento in corso, tuttavia, i telefoni dei commensali iniziano a squillare in sequenza. All’altro lato delle cornette ci sono sempre gli stessi interlocutori: Renato Brunetta (capogruppo alla Camera ed alfiere dell’antirenzismo militante) e in alcuni casi Silvio in persona. L’obiettivo è il medesimo: convincere i riottosi a tornare sui propri passi a maggior gloria dell’unità del partito nel momento del bisogno.
Nonostante i toni delle telefonate non siano esattamente concilianti e le argomentazioni controriformiste fatichino a fare breccia, alla fine un qualche risultato il Cavaliere lo porta a casa. Il gruppo dei ribelli vota no (con la sola eccezione dell’ex ministro Gianfranco Rotondi, il cui sì era comunque annunciato) ed evita la catastrofe diplomatica. Lasciare passare la cosa senza conseguenze, però, non si può. I diciotto dissidenti producono pertanto un durissimo documento indirizzato a Berlusconi dove si sostiene che il voto negativo è stato dato «non per disciplina di gruppo, ma per affetto e lealtà nei tuoi confronti» e che, quanto al resto, il gruppo parlamentare evidenzia «un deficit di democrazia, partecipazione ed organizzazione». Seguono diciotto firme pesanti, tra i quali nome del calibro di Santanchè, Ravetto, Parisi e Abrignani. Il segnale è duplice: da una parte si fa capire a Renzi che non tutto è perduto (e che in Senato potrebbero esserci sorprese), e dall’altra si alza il tiro contro il nemico interno, cioè Brunetta, chiedendone la testa.
E Berlusconi? Si vede costretto a fare viso così e così. L’ex premier verga una lettera di apprezzamento per il fatto che «oggi Forza Italia ha ripreso la sua autonomia tornando a fare opposizione a 360 gradi». Il rimbrotto ai reprobi è tutt’uno con la difesa di Brunetta: il no alle riforme è figlio di quanto deciso «durante il dibattito negli organismi di partito e all’interno dei gruppi parlamentari che, all’unanimità, hanno fatto proprie queste scelte». Ne consegue che «chi oggi ha ritenuto di dover esprimere le proprie riflessioni, avrebbe fatto meglio a farlo allora». Gran finale per il capogruppo: «Ringrazio Renato Brunetta», sostiene il Cav, «che si è assunto il non facile compito di argomentare le nostre scelte e del quale ho condiviso l'intervento in Aula». La resa dei conti è solo rinviata.
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