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mercoledì 12 febbraio 2014

Vinod Sahai: "Potevo aiutare i marò, mi fermò Roma"

Vinod Sahai: "Potevo aiutare i marò, mi fermò Roma"

Il rappresentante degli indiani d'Italia: "C'era la soluzione: un'istanza. Ma mi convocò l'allora ministro della Difesa"

Vinod Sahai era stato soprannominato «l'uomo che in India apre tutte le porte». A nome della comunità indiana in Italia, che si sente sotto accusa, aveva trovato una via d'uscita per i marò.

Il governo italiano era d'accordo, ma al momento cruciale ha fermato tutto, come rivela a Il Giornale.it

È vero che il caso dei marò si poteva sbloccare un anno fa?
«Certamente e più di un anno fa. Sono andato in India diverse volte in accordo con il ministero della Difesa italiano, come rappresentante dei 250mila indiani presenti nel vostro paese. A Delhi ho parlato con il premier, il ministro degli Interni e quello degli Esteri. Tutti avevano sottolineato che l'Italia stava esercitando solo pressioni politiche. Anche il presidente russo Vladimir Putin si era raccomandato sul caso dei marò. Le autorità indiane sostenevano di avere le mani legate, perché la Corte suprema era al di sopra dello stesso governo».
E lei aveva un'idea concreta in mente per uscire dall'impasse?
«Sono andato dal presidente della Corte suprema, Altamas Kabir, che già era coinvolta nel caso marò. Era stato assistente di mio suocero e mi disse chiaramente: “Non possiamo fare nulla se non ci viene chiesto con un'istanza”. Per questo motivo ho preparato una petizione a nome degli indiani che vivono in Italia. Spiegavo che volevamo mantenere gli ottimi rapporti fra i due paesi e garantire gli interessi della nostra comunità. Si chiedeva che la Corte suprema autorizzasse il governo indiano a trovare una soluzione extragiudiziale oppure che rinviasse il caso a un tribunale internazionale».
E poi cosa è successo?
«Nel settembre 2012 l'istanza era pronta, ma sono stato convocato a Roma. Il ministro della Difesa Di Paola mi ha chiesto di non presentare la petizione. Gli indiani avevano arrestato i marò e così non sarebbe stata l'Italia ma un rappresentante della comunità indiana a sbloccare la situazione. Gli ho detto: “Ma a voi dovrebbe solo interessare che tornino casa”. Non mi ha risposto».
Quante possibilità aveva di sbloccare la situazione con la petizione?
«L'istanza l'ho preparata solo dopo aver parlato con il presidente della Corte suprema e con i vertici dei ministeri interessati in India. Sarebbe stata senz'altro accolta».
Con il governo Letta nessuno l'ha interpellata?
«Ho scritto una lettera al ministro Bonino, spiegando tutto e dicendomi disponibile a riprendere in mano il caso. Non ho ricevuto alcuna risposta».
L'Italia ha compiuto altri errori in questi due anni?
«Diversi. L'Italia si sta muovendo solo politicamente. I ministri vanno in India pure se non serve a nulla, solo per far vedere in patria che fanno qualcosa. Le pressioni politiche sono state contro producenti».
Ma il caso è politico…
«L'opposizione si è avvantaggiata perché Sonia Gandhi è di origine italiana. Se i marò tornano a casa il suo partito perde sicuramente le elezioni».
Forse le perderà lo stesso. Il leader nazionalista indù, Narendra Modi, che vuole la testa dei marò, potrebbe diventare primo ministro. Cosa accadrà a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone?
«Se vinceranno le elezioni non ci sarà più motivo di agitare la propaganda. E allora troveranno una soluzione per far tornare a casa i marò oppure per rinviare il caso a un tribunale internazionale. Può anche essere che ci sia una condanna non esagerata, che poi i marò sconteranno in Italia. E se il presidente Napolitano vorrà graziarli Delhi non si opporrà».




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