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martedì 3 luglio 2012

Giustizia: Le Spese Assurde e i rimedi inutili.

Le Spese Assurde e i rimedi inutili...

di Dimitri Buffa






C’è un “non detto” che invece i giornali farebbero bene a “sbattere in faccia” alla pubblica opinione tutti i giorni a proposito del settore giustizia e della relativa “spending review”: se ci troviamo in questo stato pietoso in cui si dovranno tagliare centinaia di inutili sedi periferiche di tribunali e procure lo dobbiamo quasi esclusivamente alla demenziale riforma del “giudice unico”, voluta e fatta a suo tempo dal grande maestro di Paola Severino, Giovanni Maria Flick. Il quale un bel giorno, tra il 1997 e il 1998, riuscì a convincere il Parlamento, e la sinistra ancora prima, che la colpa dell’arretrato non fosse di giudici poco inclini allo stakanovismo ma del fatto che i tribunali giudicanti erano composti di tre persone. Quindi Flick elaborò il teorema dei “44 gatti in fila per sei con il resto di due”: dividiamo per tre ogni collegio e istiutiamo il giudice unico penale e civile. Tanto “chi se ne frega delle garanzie per le parti”, l’importante è liberare le pratiche dei magistrati dall’archivio. Detto fatto, i 9 mila magistrati d’Italia, circa il triplo di quelli inglesi e il doppio dei tedeschi, si trovarono, buona parte di essi, a decidere in perfetta solitudine. E si moltiplicarono le sedi decentrate anche nei posti più sperduti: non bastava un tribunale a Monza? Se ne sono creati altri due a Desenzano e a Desio.
Poi improvvisamente dopo quindici anni, cioè oggi, nuova folgorazione: le sedi distaccate costano troppo e sono inutili, accorpiamo di nuovo. Nel frattempo però cosa era successo? Che il giudice unico non solo non aveva eliminato l’arretrato ma aveva fatto ingolfare di ricorsi le corti di appello a causa di non poche sentenze di primo grado fatte coi piedi.
Totale ? Oggi il problema, grazie alla “scorciatoia” furbetta di Flick, si è spostato sulle corti di appello penali e civili.
Ed ecco entrare in gioco, la ministra tecnica, la allieva prediletta di Giovanni Maria, la Paola Severino, che sulla scia del maestro non ti inventa una nuova semplificazione: “troppa gente fa appello”. Cioè quella che era insoddisfatta dalle sentenze dei giudici unici che spesso lasciavano molto a desiderare (tra parentesi in Italia viene riformato oltre il 50% del contenzioso penale, civile e amministrativo in secondo grado, ndr) e quindi costruiamo “nuovi filtri”, anche economici ai ricorsi in appello. Il tutto, sempre, pur di liberare le scrivanie dei magistrati. Inutile dire che questa furbata non funzionerà, non renderà al cittadino il servizio giustizia per il quale paga tra l’altro anche le tasse e magari sposterà il carico sulla Cassazione. Poi, fra altri dieci o quindici, anni arriverà l’allievo prediletto della Severino, qualche promettente giovane di studio, che diventerà ministro tecnico e si inventerà una maniera di limitare anche il ricorso per Cassazione. Se pensate che tutto ciò sia un paradosso o magari una barzelletta di cattivo gusto ricredetevi: in Italia la giustizia funziona proprio così. Cioè non funziona. E ogni qual volta qualcuno vi farà una testa tanto con dichiarazioni roboanti gentilmente veicolate dalla informazione di giornali conformisti o di una tv pubblica che è una delle vergogne di questo paese voi non credetegli: la verità è che anche la gran parte dei giudici è “cittadina” di questa burocrazia che non si vuole, non si deve e purtroppo non si può cambiare. Alla faccia di ogni spending review. Naturalmente coloro che semplificano, come Flick e la Severino e tutti gli adulatori mediatici al seguito, sono gli stessi che poi accusano Marco Pannella (in sciopero della fame dagli inizi di giugno per la grande amnistia per la repubblica) e in genere i radicali di essere coloro che suggeriscono soluzioni semplificatorie, cioè l’amnistia.
Ma in un paese condannato dall’Europa quasi tutti i giorni per questo denegato servizio pubblico, la giustizia, che non si riesce a rendere ai propri cittadini, non sarebbe meglio ripristinare la legalità costituzionale nelle carceri in questa maniera e sgombrare altresì di scartoffie le scrivanie dei giudici, unici o collegiali che siano? Fra l’altro l’ipotesi suggerita da Pannella ha anche come “conditio sine qua non” la riparazione del danno per la vittima del reato laddove esista. Esempio: un truffatore ruba i soldi a una povera pensionata con qualche artificio, vuole l’amnistia per il suo reato che comunque cadrebbe facilmente in prescrizione in sette anni e mezzo, o dieci se è pregiudicato? Beh, prima risarcisce la vecchina con gli interessi. Invece cosa accade adesso? Che, se il truffatore è un Madoff dei Parioli, tanti per citarne uno di moda, sempre che venga preso, mette i soldi “al pizzo”, si fa un anno di carcere preventivo poi se ne va ai domiciliari e infine se il processo di Cassazione non arriva entro la data convenuta magari la fa pure franca. E si tiene i soldi della pensionata.
Tra quel truffatore e quella vecchina pensionata, magari vip, chi sarà più favorito dalla amnistia pannelliana? Ma l’Italia di oggi non è un paese per ragionamenti razionali, specie tra i politici, che poi utilizzano lo spauracchio forcaiolo, in maniera rigidamente bipartisan, per fare paura al proprio avversario. O per propagande becere sulla “certezza della pena”. E quindi l’amnistia non si fa e le prescrizioni impazzano a botte di 180 mila l’anno. Magari poi i politici del Pd che vengono intervistati da Radio radicale straparlano di “riforme strutturalI”, che invece non vedono mai la luce, proprio perché le legislazioni delle procedure penali e civili che si sono susseguite in questi decenni sono tutte basate sull’emergenza e la scorciatoia come quelle di Flick e della Severino. Il tutto porta a qualche corollario recentemente evidenziato dal dipartimenti per gli affari di giustizia nella propria relazione al ministero di via Arenula e poi trasmessa al Parlamento: le spese di giustizia in Italia, nonostante non funzioni un beneamato, sono state nell’ordine dei 470 milioni di euro nel 2011, di fronte ai 451 e fischia preventivati, con un passivo di oltre 19 milioni di euro. E per il 2012 nel solo primo quadrimestre sono stati spesi 138 milioni di euro con uno stanziamento annuo di 442 e rotti. A questi soldi va aggiunta una cifra spropositata per le intercettazioni telefoniche e ambientali che per il 2011 si è fermata a quota 260 milioni di euro, contro i 250 preventivati e con una nota di allegria perchè non si sono raggiunti i 300 milioni circa del 2010. In compenso per il 2012, nel primo quadrimestre sono stati spesi solo 83 milioni di euro in intercettazioni a fronte dei 240 scarsi messi a bilancio. Questa quindi è la condizione generale della giustizia penale e civile. Ci si può meravigliare se, per citare sempre Pannella, siamo diventati il grande paese pregiudicato in Europa? Quello che sta mettendo le basi per un vero e proprio Olocausto dello stato di diritto?


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