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sabato 25 aprile 2015

Caivano (Na): Commemorazione 25 aprile, presenti Papaccioli e Sirico, assente Simone Monopoli Forza Italia

Caivano (Na): Commemorazione 25 aprile, presenti Papaccioli e Sirico, assente Simone Monopoli Forza Italia 




Commemorazione dei Caduti
Caivano (Na)

25 Aprile, ore 10.30, Piazza Cesare Battisti, commemorazione dei caduti, è un giorno fondamentale per la storia d'Italia ed assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall'8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica sociale italiana e l'occupazione nazista. Tutti presenti? No!. I cittadini di Caivano si aspettavano di trovare tutti i candidati sindaco, uniti nell'unico dolore. I valori di libertà e democrazia devono essere comuni a tutti, insieme appunto, al rispetto per le istituzioni. Presenti solo il candidato sindaco del Partito Democratico, Luigi Sirico, e il candidato sindaco della Lista Civica "NOI CON PAPACCIOLI", dott. Giuseppe Papaccioli. Grande assente, il dott. Simone Monopoli di Forza Italia. 

Giampaolo Pansa: "Resitenza? Vi spiego tutte le falsità"

Pansa: tutte le falsità sulla Resistenza


di Giampaolo Pansa 



Gli anniversari dovrebbero essere aboliti. Soprattutto quando celebrano un evento politico che si presta a una giostra di opinioni non condivise. Accade così per il settantesimo del 25 aprile 1945, la festa della Liberazione.  Una cerimonia che suscita ancora contrasti, giudizi incattiviti e tanta retorica. A volte un mare di retorica, uno tsunami strapieno anche di bugie e di omissioni dettate dall' opportunismo politico. Per rendersene conto basta sfogliare i quotidiani e i settimanali di questa fine di aprile. È da decenni che studio e scrivo della nostra guerra civile. Ma non avevo mai visto il serraglio di oggi. Una fiera dove tutto si confonde. Dove imperano le menzogne, le reticenze, le pagliacciate, le caricature. È vero che siamo una nazione in declino e che ha perso la dignità di se stessa. Però il troppo è troppo.

Per non essere soffocato dalla cianfrusaglia, adesso proverò a rammentare qualche verità impossibile da scordare. La prima è che la guerra civile conclusa nel 1945, ma con molte code sanguinose sino al 1948, fu un conflitto fra due minoranze. Erano pochi i giovani che scelsero di fare i partigiani e i giovani che decisero di combattere l' ultima battaglia di Mussolini. Il «popolo in lotta» tanto vantato da Luigi Longo, leader delle Garibaldi, non è mai esistito. A perdere furono i ragazzi di Salò, i figli dell' Aquila repubblicana. Ma a vincere non furono quelli che avevano preso la strada opposta. L' Italia non venne liberata da loro. Se il fascismo fu sconfitto lo dobbiamo ad altri giovani che non sapevano quasi nulla di un Paese che dal 1922 aveva obbedito al Duce e l' aveva seguito in una guerra sbagliata, combattuta su troppi fronti. La vittoria e la libertà ci vennero donate dalle migliaia di ragazzi americani, inglesi, francesi, canadesi, australiani, brasiliani, neozelandesi, persino indiani, caduti sul fronte italiano. E dai militari della Brigata Ebraica, che oggi una sinistra ottusa vorrebbe escludere dalla festa del 25 aprile.

Gli stranieri e gli italiani si trovarono alle prese con una guerra civile segnata da una ferocia senza limiti. Qualcuno ha scritto che la guerra civile è una malattia mentale che obbliga a combattere contro se stessi. E svela l' animo bestiale degli esseri umani. Tutti gli attori di quella tragedia potevano cadere in un abisso infernale. Molti lo hanno evitato. Molti no. Eccidi, torture, violenze indicibili non sono stati compiuti soltanto dai nazisti e dai fascisti. Anche i partigiani si sono rivelati diavoli in terra. 

In un libro di memorie scritto da un comandante garibaldino e pubblicato dall' Istituto per la storia della Resistenza di Vercelli, ho trovato la descrizione di un delitto da film horror. Una banda comunista, stanziata in Valsesia, aveva catturato due ragazze fasciste, forse ausiliarie. E le giustiziò infilando nella loro vagina due bombe a mano, poi fatte esplodere. La ferocia insita nell' animo umano era accentuata dalla faziosità ideologica. La grande maggioranza delle bande partigiane apparteneva alle Garibaldi, la struttura creata dal Pci e comandata da Longo e da Pietro Secchia. È una verità consolidata che tra le opzioni del partito di Palmiro Togliatti ci fosse anche quella della svolta rivoluzionaria. Dopo la Liberazione sarebbe iniziata un' altra guerra. Con l' obiettivo di fare dell' Italia l' Ungheria del Mediterraneo, un Paese satellite dell' Unione Sovietica. I comunisti potevano essere più carogne dei fascisti e dei nazisti? No, perché chi imbraccia un' arma per affermare un progetto totalitario, nero o rosso che sia, è sempre pronto a tutto. Ma esiste un fatto difficile da smentire: le stragi interne alla Resistenza, partigiani che uccidono altri partigiani, sono tutte opera di mandanti ed esecutori legati al Pci.

La strage più nota è quella di Porzûs, sul confine orientale, a 18 chilometri da Udine. Nel pomeriggio del 7 febbraio 1945, un centinaio di garibaldini assalgono il comando della Osoppo, una formazione di militari, cattolici, monarchici, uomini legati al Partito d' Azione e ragazzi apolitici. Quattro partigiani e una ragazza vengono soppressi subito. Altri sedici sono catturati e tutti, tranne due che passano con la Garibaldi, saranno ammazzati dall' 8 al 14 febbraio. Un assassinio al rallentatore che diventa una forma di tortura.
In totale, 19 vittime.

La strage ha un responsabile: Mario Toffanin, detto "Giacca", 32 anni, già operaio nei cantieri navali di Monfalcone, un guerrigliero brutale e un comunista di marmo. Ha due idoli: Stalin e il maresciallo Tito. Considera la guerriglia spietata il primo passo della rivoluzione proletaria. Ma l' assalto e la strage gli erano stati suggeriti da un dirigente della Federazione del Pci di Udine. Di lui si conosce il nome e l' estremismo da ultrà che gioca con le vite degli altri.

È quasi inutile rievocare le imprese di Franco Moranino, "Gemisto", il ras comunista del Biellese. Un sanguinario che arrivò a uccidere i membri di una missione alleata. E poi fece sopprimere le mogli di due di loro, poiché sospettavano che i mariti non fossero mai giunti in Svizzera, come sosteneva "Gemisto". Il Pci di Togliatti difese sempre Moranino e lo portò per due volte a Montecitorio e una al Senato. Anche lui come "Giacca" morì nel suo letto.

Tra le imprese criminali dei partigiani rossi è famoso il campo di concentramento di Bogli, una frazione di Ottone, in provincia di Piacenza, a mille metri di altezza sull' Appennino. Dipendeva dal comando della Sesta Zona ligure ed era stato affidato a un garibaldino che oggi definiremmo un serial killer. Tra l' estate e l' autunno del 1944 qui vennero torturati e uccisi molti prigionieri fascisti. Le donne venivano stuprate e poi ammazzate. Soltanto qualcuno sfuggì alla morte e dopo la fine della guerra raccontò i sadismi sofferti.

A volte erano dirigenti rossi di prima fila a decidere delitti eccellenti. Le vittime avevano comandato formazioni garibaldine, ma si rifiutavano di obbedire ai commissari politici comunisti. Di solito questi crimini venivano mascherati da eventi banali o da episodi di guerriglia. Uno di questi comandanti, Franco Anselmi, "Marco", il pioniere della Resistenza sull' Appennino tortonese, dopo una serie di traversie dovute ai contrasti con esponenti del Pci, fu costretto ad andarsene nell' Oltrepò pavese. Morì l' ultimo giorno di guerra, il 26 aprile 1945, a Casteggio per una raffica sparata non si seppe mai da chi.

Negli anni Sessanta, andai a lavorare al Giorno, diretto da Italo Pietra che era stato il comandante partigiano dell' Oltrepò. Sapeva tutto del Pci combattente, della sua doppiezza, dei suoi misteri. Quando gli chiesi della fine di Anselmi, mi regalò un' occhiata ironica. E disse: «Vuoi un consiglio?
Non domandarti nulla. Anselmi è morto da vent' anni. Lasciamolo riposare in pace».

Un' altra fine carica di mistero fu quella di Aldo Gastaldi, "Bisagno", il numero uno dei partigiani in Liguria. Era stato uno dei primi a darsi alla macchia nell' ottobre 1943, a 22 anni. Cattolico, sembrava un ragazzo dell' oratorio con il mitragliatore a tracolla, coraggioso e altruista. Divenne il comandante della III Divisione Garibaldi Cichero, la più forte nella regione. Era sempre guardato a vista dalla rete dei commissari comunisti della sua zona.

Nel febbraio 1945, il Pci cercò di togliergli il comando della Cichero, ma non ci riuscì. Alla fine di marzo Bisagno chiese al comando generale del Corpo volontari della libertà di abolire la figura del commissario politico. E quando Genova venne liberata, cercò di opporsi alle mattanze indiscriminate dei fascisti.

Non trascorse neppure un mese e il 21 maggio 1945 Bisagno morì in un incidente stradale dai tanti lati oscuri. In settembre avrebbe compiuto 24 anni. Ancora oggi a Genova molti ritengono che sia stato vittima di un delitto. Sulla sua fine esiste una sola certezza. Con lui spariva l' unico comandante partigiano in grado di fermare in Liguria un' insurrezione comunista diretta a conquistare il potere. Scommetto mille euro che nessuno dei due verrà ricordato nelle cerimonie previste un po' dovunque. Al loro posto si farà un gran parlare delle cosiddette Repubbliche partigiane. Erano territori conquistati per un tempo breve dai partigiani e presto perduti sotto l' offensiva dei tedeschi. Le più note sono quelle di Montefiorino, dell' Ossola e di Alba.

Nel 1944, Montefiorino, in provincia di Modena, contava novemila abitanti. Con i quattro comuni confinanti si arrivava a trentamila persone. L' area venne abbandonata dai tedeschi e i partigiani delle Garibaldi vi entrarono il 17 giugno. La repubblica durò sino al 31 luglio, appena 45 giorni. Fu un trionfo di bandiere rosse, con decine di scritte murali che inneggiavano a Stalin e all' Unione Sovietica. Vi dominava l' indisciplina più totale. Al vertice c' era il Commissariato politico, composto soltanto da comunisti. Il caos ebbe anche un lato oscuro: le carceri per i fascisti, le torture, le esecuzioni di militari repubblicani e di civili. Ma nessuno si preoccupava di difendere la repubblica. Infatti i tedeschi la riconquistarono con facilità.

La repubblica dell' Ossola nacque e morì nel giro di 33 giorni, fra il settembre e l' ottobre del 1944. Era una zona bianca, presidiata da partigiani autonomi o cattolici. E incontrò subito l' ostilità delle formazioni rosse. Cino Moscatelli, il più famoso dei comandanti comunisti, scrisse beffardo: «A Domodossola c' è un sacco di brava gente appena arrivata dalla Svizzera che ora vuole creare per forza un governino pur di essere loro stessi dei ministrini».

La repubblica di Alba venne descritta così dal grande Beppe Fenoglio, partigiano autonomo: «Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre 1944». Durata dell' esperimento: 23 giorni, conclusi da una fuga generale. Sentiamo ancora Fenoglio: «Fu la più selvaggia parata della storia moderna: soltanto di divise ce n' era per cento carnevali. Fece impressione quel partigiano semplice che passò rivestito dell' uniforme di gala di colonnello d' artiglieria, con intorno alla vita il cinturone rossonero dei pompieri...».

In realtà la guerra civile fu di sangue e di fuoco. Con migliaia di morti da una parte e dall' altra. Dopo il 25 aprile ebbe inizio un' altra epoca altrettanto feroce. L' ho descritta nel libro che mi rende più orgoglioso fra i tanti che ho pubblicato: Il sangue dei vinti. Stampato da un editore senza paura: la Sperling e Kupfer di Tiziano Barbieri. Un buon lavoro professionale. Dal 2003 a oggi, nessuna smentita, nessuna querela, ventimila lettere di consenso, una diffusione record. Ma le tante sinistre andarono in tilt. E diedero fuori di matto.

Più lettori conquistavo, più venivo linciato sulla carta stampata, alla radio, in tivù. Mi piace ricordare l' accusa più ridicola: l' aver scritto quel libro per compiacere Silvio Berlusconi e ottenere dal Cavaliere la direzione del Corriere della Sera. Potrei mettere insieme un altro libro per raccontare quello che mi successe. Qui preferisco ricordare i più accaniti tra i miei detrattori: Giorgio Bocca, Sandro Curzi, Angelo d' Orsi, Sergio Luzzatto, Giovanni De Luna, Furio Colombo, qualche firma dell' Unità, varie eccellenze dell' Anpi, del Pci e di Rifondazione comunista.
Tutti erano mossi dalle ragioni più diverse. Se ci ripenso sorrido.

La meno grottesca riguarda l' ambiente legato al vecchio Pci. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la svolta di Achille Occhetto nel 1989, gli restava poco da mordere. Si sono aggrappati alla Resistenza. E hanno inventato uno slogan. Dice: la Resistenza è stata comunista, dunque chi offende il Pci offende la Resistenza. Oppure: chi offende la Resistenza offende il Pci e gli eredi delle Botteghe oscure.

Ecco un' altra delle menzogne spacciate ogni 25 aprile. Insieme alla bugia delle bugie, quella che dice: le grandi città dell' Italia del nord insorsero contro i tedeschi e li sconfissero anche nell' ultima battaglia. Non è vero. La Wehrmacht se ne andò da sola, tentando di arrivare in Germania. In casa nostra non ci fu nessuna Varsavia, la capitale polacca che si ribellò a Hitler tra l' agosto e il settembre 1944. E divenne un cumulo di macerie. In Italia le uniche macerie furono quelle causate dai bombardamenti degli aerei alleati.

Che cosa resta di tutto questo? Di certo il rispetto per i caduti su entrambe le parti. Ma anche qualcos' altro. Quando viaggio in auto per l' Italia, rimango sempre stupito dalla solitaria immensità del paesaggio. Anche nel 2015 presenta grandi spazi vuoti, territori intatti, mai violati dal cemento. È allora che ripenso ai pochi partigiani veri e ai figli dell' Aquila fascista. E mi domando se avrei avuto il loro stesso coraggio se fossi stato un giovane di vent' anni e non un bambino. Si gettavano alle spalle tutto, la famiglia, gli studi, l' amore di una ragazza, per entrare in un mondo alieno, feroce e sconosciuto. Erano formiche senza paura e pronte a morire. L' Italia di oggi merita ancora quei figli, rossi, neri, bianchi? Ritengo di no.

Lo Stato dove le tasse non esistono Il sogno a pochi chilometri dall'Italia

Liberland, lo Stato senza tasse a poche ore dall'Italia: come chiedere la cittadinanza





"Vivi e lascia vivere". "Qui non si paga alcuna tassa". Due semplici motti che definiscono lo Stato del Liberland, un fazzoletto di territorio tra la Serbia e la Croazia, a qualche ora di macchina dall'Italia, con una semplice bandiera: uno scudo, un'aquila, un albero, il sole. Simboli di libertà, prospoertià ed energia. Sette chilometri quadrati che in passato sia Serbia sia Croazia hanno rivendicato per sé, e che ora sono la plastica costruzione di un sogno: uno Stato senza gabelle né imposte, il più giovane d'Europa nonché del mondo intero.

200mila richieste - Certo, i problemi non sono pochi: nessuno ancora lo ha riconosciuto, e ci si chiede quanto possa durare. Il creatore del Liberland è Vit Jedlicka, euroescettico ceco certo del fatto che si potesse creare una nuova entità statale fondata sui principi dei diritti individuali, della proprietà privata e del rispetto delle opinioni altrui. E, come detto, senza tasse. O meglio, le tasse sono "volontarie" e utilizzate esclusivamente per la realizzazione di alcuni progetti finanziati dalla "collettività". Jedlicka ha vinto delle peculiari elezioni democratiche, e ora pensa in grande: nel giro di pochissimi giorni duecentomila persone hanno fatto richiesta per ottenere la cittadinanza.

"Un ordine spontaneo" - Il caso di Liberland sta facendo rumore, tanto che se ne è interessato anche il britannico Guardian: "Le cose si stanno dando un ordine spontaneo - ha spiegato Jedlicka al quotidiano -. La città di Gornja Siga è stata pianificata in tre giorni, e ora ci sono persone intenzionate a trasferirsi e a investire. Ciò che sembrava un sogno sembra sempre più possibili". Pochi i requisiti per diventare cittadini del Liberland: una fedina penale pulita, il rispetto per gli altri e per le loro proprietà, nessuna militanza in passato in partiti comunisti o nazisti. Jedlicka, spiega sempre al Guardian, ha come modello l'ex presidente Usa Thomas Jefferson, "la sua ricerca della libertà".

Il passato politico - L'euroscettico Jedlicka non è completamente nuovo alle cronache politiche. Per esempio si candidò con il partito di destra ceco Free Citizenz alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, ma rimase fuori dalle istituzioni continentali: il suo movimento ottenne un seggio, ma lui era soltanto al quarto posto in lista. Dunque, dopo il "fallimento europeo", ha pensato di mettersi in proprio. Di creare il suo Stato "tax-free". E a chi lo accusa di essere un utopico sognatore risponde: "Ogni Stato è stato fondato in terra di nessuno, e come la mente umana non ha limiti, non ce ne sono neppure al numero di persone che potrebbero vivere qui. Tutto dipende da quanto riusciremo a costruire in altezza".

La Costituzione - Una "terra di nessuno", dunque, pronta a diventare lo Stato più liberal del globo terracqueo. E per chi ne vuole sapere di più basta cliccare qui, per accedere al sito ufficiale del Liberland, con tanto di Costituzione e modulo per richiedere la cittadinanza. Inoltre, per chi decidesse di trasferirsi, verranno garantiti il diritto alla proprietà e, come detto, la possibilità di modulare autonomamente il proprio carico fiscale: ognuno paga quanto vuole, e se vuole. "Vivi e lascia vivere", appunto. Tanto che Jedlicka ha spiegato a Fox News, senza peli sulla lingua: "L'Europa ha bisogno di un nuovo paradiso fiscale. Ci serve un luogo in cui le persone possano vivere in pace e prosperare. La nostra convinzione è di poter creare lo Stato definitivo del pianeta. Mettiamo insieme le migliori parti della Rivoluzione americana e della Costituzione Usa. E le applichiamo". Ma non tutto è in discesa: per esempio, la vicina Croazia, ad esempio ha già detto di non essere intenzionata a riconoscere lo Stato di Jedlicka.

Il banchiere che terrorizza Renzi: così può farlo cadere quando vuole

Matteo Renzi terrorizzato da Mario Draghi: mister Bce è l'unico uomo che può far crollare il governo (premendo un pulsante...)





Proclama, promesse, riforme, cifre. Ottimismo. L'ottimismo di Matteo Renzi. Ma anche il premier ha una grande preoccupazione. No, non si tratta della minoranza del Pd che gli fa la guerra (o meglio, non solo). La sua preoccupazione, nonostante i "buoni rapporti" di facciata, ha un nome e un cognome. Il nome e il cognome dell'uomo, insieme ad Angela Merkel, più potente d'europa: Mario Draghi. Già, che farà Mario Draghi? E' la domanda che si pone il direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa, in un editoriale che si interroga su quale possa essere il futuro dell'esecutivo. E se le riforme poi non funzionassero? E se il Paese non crescesse al ritmo minimo che mister Bce ritiene inderogabile?

Qui Pil - Le cifre, in verità, non autorizzano gli ottimismi dell'uomo da Rignano sull'Arno. Per Renzi l'Italia crescerà di due punti di Pil nei prossimi due anni, ma la verità è che l'1,6% di questa crescita stimata è diretta conseguenza del quantitative easing, la "siringata" di liquidità sui mercati europei orchestrata dal dominus Draghi. E se a quel 2%, poi, non si arrivasse? Se le aspettative della Bce non venissero rispettate, come potrebbe proseguire il suo percorso a Palazzo Chigi, mister Renzi? Draghi, è noto, è persona diretta, concreta, che si farebbe ben pochi scrupoli a bocciare l'Italia nel caso in cui il piano-Renzi non funzionasse. E a ben vedere dal super-Mario nazionale una stroncatura a Matteo, nel Rapporto annuale sul 2014 della Bce, è già arrivata: Draghi definì "piuttosto deludente" l'azione riformista dell'esecutivo tricolore.

"Una parola di Draghi..." - E poiché, come ricorda Cerasa, "una parola di Draghi può essere all'occorrenza benzina per i motori del governo", la stessa parola può anche essere "una mazza ferrata da consegnare agilmente agli oppositori del presidente del Consiglio di turno" (si pensi, per esempio, all'effetto che ebbero le valutazioni della Bce pre-Draghi nel 2011, quando fu de facto praticata l'eutanasia - a colpi di spread - al governo Berlusconi). Le preoccupazioni, insomma, per Renzi esistono. Esistono eccome, nonostante la (presunta) armonia con mister Draghi. Ed è a questo punto del discorso che le preoccupazioni del premier sul fronte-Draghi si legano a doppio filo alle preoccupazioni che gli crea la minoranza del Pd, quella minoranza che ha due esponenti di spicco: Romano Prodi ed Enrico Letta. Putacaso entrambi molto vicini a mister Draghi, entrambi con solide radici nel tessuto delle istituzioni europee.

Il Pdar - Cerasa ribattezza Pdar (Partito dell'alternativa al renzismo) il "correntone" di Prodi e Letta. Poi il direttore de Il Foglio spiega che se un domani le cose, per Renzi, non andassero bene, il neonato Pdar potrebbe anche riuscire ad attivare, proprio grazie a Draghi, il "pulsante finish dell'entusiasmo renziano". Certo, per ora si tratta soltanto di ipotesi, di voci, di sospetti. Ma un giorno, Renzi, i conti li dovrà pur fare. Non tanto con il Parlamento, ma piuttosto - e qui si torna al principio - con Draghi, con l'uomo più potente - e influente - d'Europa. Emblematica e sibillina la chiusa dell'editoriale di Cerasa: "Il capo del governo e il capo della Bce sono due uomini soli al comando. Ma, incidentalmente, uno tra i due comanda più dell'altro e di quell'uno diciamo che il fiorentino è una lingua che non conosce". Chiaro, no?

venerdì 24 aprile 2015

Caivano (Na): Papaccioli la vera ed unica alternativa a Monopoli

Caivano (Na): Papaccioli la vera ed unica alternativa alle altre forze politiche  



di Gaetano Daniele 





Vi spiego io cos'è la continuità:
Ancora qualche settimana alla chiusura delle liste ed è fatta. Solo allora si potrà fare il vero punto della situazione. Voltando lo sguardo a destra, troviamo il candidato del partito di Luigi Cesaro, Forza Italia, Simone Monopoli, da oltre 20 anni in politica, collezionando molte esperienze negative, per suo dire coerenti con il mandato cittadino. Secondo noi non è così. Ad ogni intoppo politico, Monopoli ha preferito le dimissioni alle battaglie. Non potrà mai rappresentare il nuovo perchè, appunto, dopo aver trascorso gli ultimi o quasi 20 anni in politica e, dopo aver governato gli ultimi 5 anni al fianco di Luigi Cesaro (giggin a pulpett) in Provincia e, oltre ad aver cambiato circa 5 partiti, dal Partito Liberale all'Udc, dall'Italia di Centro a Forza Italia, oggi, si ripresenta agli occhi dei caivanesi che non conoscono tutto il trascorso politico di Monopoli, come il nuovo che avanza, come il nuovo che fa pulizia all'interno delle liste e, in più, decanta di aver chiuso le porte in faccia alla vecchia politica. Vi spieghiamo perchè secondo noi non è vero, o meglio le ha socchiuse con la speranza che potessero accettare. 

Il candidato Sindaco Monopoli, dopo aver aperto la porta (come riporta un noto sito online N.M) a coloro i quali definisce il vecchio, gli presenta, per aggregarli al suo fianco, quindi offrendo una possibilità anche al vecchio di salire sul suo carrozzone, il conto, un documento, o meglio un contratto, non sappiamo neanche noi come definirlo, ah.. ecco, le regole antiribaltone..!. Una pseudo intesa, cioè, a non poter più cambiare partito o schieramento una volta eletti nella sua coalizione. In sintesi, il candidato Monopoli, propone alla vecchia gestione, alle cosiddette liste non troppo perfette, un patto. Un accordo: non tradirlo passando dall'altra parte come capitato negli ultimi anni. Una preoccupazione giustificata, visto il continuo salto in banco da parte di qualcuno, ma comunque resta il fatto che si è aperta la porta alla vecchia gestione, alla vecchia politica. E' un po come dire prima del matrimonio alla propria compagna: firma un documento dove all'interno dello stesso specifico che non potrai tradirmi in nessuna maniera. Anche se io prenderò decisioni sbagliate. Una democratura, direbbe qualche anziano direttore. In democrazia come si fa a proporre un documento del genere? Le alleanze si fanno seguendo accordi politici condivisi non firmando contratti a proprio vantaggio. In politica non comanda l'uno o l'altro singolo, in democrazia si accetta anche chi poi decide di cambiare idea, come capitò allo stesso Monopoli prima di passare dall'Udc all'Italia di Centro di Pionati a Forza Italia. Le scelte si prendono unanime. Insomma, giustamente, le parti avverse, dopo aver appreso la sorpresa, lasciano lo studio del dott. Monopoli, come riporta anche un altro sito d'informazione online, a braccia conserte, sconcertati della proposta ricevuta. Ci chiediamo se quei partiti decantati vecchi avessero accettato il contratto, oggi Monopoli si ritroverebbe al suo fianco i socialisti di Giamante e i moderati di Giacinto Russo a fiancheggiarlo in questa nuova tornata elettorale. Insomma, Oggi, questi, vengono definiti trasformisti e riciclati. E' giusto, si sono collocati in altre coalizioni, secondo Monopoli o secondo qualche politologo, al no dello stesso Monopoli, questi, dovevano ritirarsi dalla scena politica e andare a casa definitivamente. Un modo di vedere la politica particolare. Un pò come a dire: o con me o con nessuno. 

Le scelte sane, categoriche e perchè no, anche impegnative, si prendono a prescindere dal contratto antiribaltone. Se si definisce una lista vecchia, non la si lascia entrare, o peggio non gli si presenta il conto (contratto antiribaltone). Altrimenti tra il nuovo, Monopoli, e il vecchio decantato non c'è nessuna differenza, ma solo stili diversi di interpretare la propria politica. 

Insomma, per farla breve, l'unico autorevole che ha dimostrato di non scendere a nessuna forma di compromesso politico è stato il dott. Giuseppe Papaccioli di "NOI CON PAPACCIOLI". A differenza di questi che decantano di non vincere a tutti i costi, e poi si alleano con tutti o quasi tutti, Papaccioli scelse di lasciare, o meglio attese di vedere il coraggio dei traditori del popolo, coloro i quali lo sfiduciarono allo stesso modo dei fedeli di Mosè, quando non vedendolo più scendere dal Monte Sinai, gli voltarono le spalle, costruendo ed inneggiando un toro dalle corna d'oro.

Caivano (Na): Sel accoglie la proposta del candidato sindaco Pd, Luigi Sirico

Caivano (Na): Sel è nuovamente in coalizione 


La risposta di Sel all'apertura del candidato Sindaco del Pd, Arch. Luigi Sirico

Mariella Donesi
Coordinatrice Sel 

Abbiamo accolto con grande soddisfazione l'appello del candidato sindaco, Arch. Luigi Sirico, affinchè Sel restasse nella coalizione. E' stato un riconoscimento al lavoro e all'impegno profusi da Sel in questi mesi, perchè si realizzasse un progetto politico vero per la nostra città, con la scelta voluta e consapevole del candidato sindaco, Arch. Luigi Sirico, che rappresenta per Sel una garanzia. 

La lealtà e la stima per Luigi Sirico sono indiscusse, anche nelle ultime vicende, esse sono rimaste immutate. La scelta di andar via è stata solo un percorso obbligato, senza alcuna retorica, era vissuto con profonda amarezza sia politica, quanto umana, ma vi era una impossibilità oggettiva per Sel alla realizzazione di un progetto, in cui aveva creduto da sempre. 

Ringraziamo contestualmente il Partito Democratico per la disponibilità dimostrata con la sua apertura, per eliminare un ostacolo oggettivo, che non avrebbe permesso un cammino comune, intrapreso mesi fa. 

Tuttavia, riteniamo che la presenza di Sel, sia più incisiva per la propria identità politica, se collocata in un altro ragionamento, non partitico. 

Dichiariamo, inoltre, che la candidatura a sindaco della rappresentante di Sel è ufficialmente ritirata, in quanto non esistono più le motivazioni, per le quali essa era nata. 

L'impegno e l'entusiasmo sono gli stessi e contribuiranno a far sì che ci sia la vittoria dell'Arch. Luigi Sirico. 

Le compagne ed i compagni di Sel e la coordinatrice 
Mariella Donesi. 


Caivano (Na): Luigi Sirico, canididato Sindaco Pd, chiarisce quanto segue 

di Luigi Sirico 


Arch. Luigi Sirico
Candidato Sindaco PD

Le mie convinzioni politiche,  la mia storia personale e, non ultimo,  l'affetto che mi lega ai tanti compagni di SEL, mi hanno indotto a chiedere loro di  ripensare alle posizioni assunte negli ultimi giorni rispetto alla coalizione,  che sostiene la mia candidatura a sindaco. Non è retorica dire che sarebbe stato per me un dolore troppo grande vedere escluso dall'alleanza politica un partito che fin dall'inizio ha mostrato nei miei confronti lealtà e coerenza. Pertanto ho fatto un appello personale, sentito e convinto, alla segretaria di SEL e ai compagni che ella rappresenta, affinchè tornino a condividere una esperienza politico della quale sono stati, fin dall'inizio, i protagonisti principali. Nel contempo ho chiesto al mio partito la disponibilità piena a collaborare perchè fosse garantita la presenza di SEL nella competizione elettorale. Il PD ha manifestato la piena disponibilità ad accogliere tale richiesta, consapevole dell'importanza di preservare e rafforzare le idee gli ideali e i valori che SEL rappresenta.  

Partigiani contro Boschi "25 aprile senza di lei"

I partigiani: la Boschi al 25 Aprile non ce la vogliamo





E' bella, è brillante, è del Pd. Ma ai partigiani non piace. E non per il look a volte discutibile. Maria Elena Boschi sta lì agli entusiasti della festa della Liberazione (e questo potrebbe essere per lei motivo di vanto). Almeno a quelli di Alessandria. Narra infatti il quotidiano piemontese La Stampa, che qualche giorno fa il sindaco della città piemontese, Maria Rita Rossa del Pd, di invitare alla commemorazione del 25 aprile il ministro delle Riforme. Ma la risposta è stata picche. “Nulla di personale, solo una questione di opportunità politica.

Non condividiamo le linee della riforma costituzionale che questo governo sta portando avanti, in particolare la Boschi” ha dichiarato Roberto Rossi, vicepresidente provinciale dell'Anpi, l'Associazione nazionale partigiani italiani. “Immaginate cosa sarebbe successo il 25 aprile: allo stesso microfono la Boschi avrebbe difeso le riforme e noi le avremmo contestate. Non ci sembrava il contesto giusto per le polemiche” ha concluso Rossi. Insomma: la Boschi vuole cambiare la sacra costituzione frutto proprio di quell'Italia dominata dagli ex partigiani? Allora, non è degna del 25 Aprile. La bella Maria Elena Boschi è comunque in buona compagnia, visto che i partigiani alessandrini hanno opposto il loro "no" anche alla proposta del sindaco di invitare altri due ministri: quello della Difesa Roberta Pinotti e quello della Giustizia andrea Orlando. Peraltro entrambi ex PCI, ma oggi con Renzi, lo "sfascia-costituzione". Insomma, la morale è sempre la stessa. il 25 aprile è "cosa loro".