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mercoledì 23 aprile 2014

Renzi, trappola sui risparmi. La tassa sulle rendite finanziarie può essere retroattiva

La tassa sulle rendite finanziarie può essere retroattiva 

di Tobia De Stefano 



Nei meandri delle coperture trovate da Renzi per sbandierare la sua #svoltabuona si nascondo tre notizie per i risparmiatori italiani. La prima è positiva e prevede la possibilità (fornita dalla legge) di «scansare» l’aumento delle aliquote su azioni, fondi, obbligazioni, Etf ecc. dal 20 al 26% a partire dal prossimo primo di luglio. La seconda è che questa eventualità (in gergo tecnico si chiama affrancamento) possa rivelarsi una grande trappola. La terza, invece, è un dato di fatto: a oggi non è stato trovato nessun meccanismo che eviti la retroattività del salasso che andrà a gravare anche sui guadagni maturati negli scorsi anni. Insomma, è il caso di star attenti e non farsi ingannare dalle soluzioni in apparenza più vantaggiose.

Questo il ragionamento. Nel giro di pochi anni (il precedente aumento risale al 2012 con Monti) la tassazione sui capital gain di quasi tutti i prodotti del risparmio (sono esclusi i titoli di Stato) è passata dal 12,5 al 26%. Più che raddoppiata. Lo Stato, così, attraverso la procedura dell’affrancamento ha voluto offrire al contribuente la possibilità di scegliere cosa gli convenga fare. Se lo valuta opportuno può realizzare una sorta di cessione figurativa della partecipazione senza smobilizzare i titoli cha ha in portafoglio. Risultato: le plusvalenze saranno assoggettate all’imposta sostitutiva vigente fino a quel momento, cioè il 20%, mentre per il periodo successivo il nuovo valore di carico di azioni, obbligazioni ecc. sarà uguale a quello che il mercato ha rilevato al 30 giugno 2014. Attenzione, però, perché il termine ultimo per agganciarsi all’operazione di affrancamento è il 30 di settembre. Questo significa che chi arriva a ridosso della scadenza vedrà applicarsi la nuova aliquota del 26% sul plusvalore che matura a partire dal primo luglio.

Avvertenze a parte la norma ha una spiegazione molto evidente. Da una parte il legislatore ha voluto evitare vendite in massa nei giorni precedenti all’entrata in vigore delle nuove aliquote e dall’altro ha offerto una via d’uscita, come del resto era successo con il precedente rialzo di fine 2011, rispetto alle evidenti penalizzazioni nel passaggio da un regime più favorevole a uno sfavorevole.

Detto questo, resta da evidenziare che si tratta di un’operazione molto rischiosa. E qui arriviamo alla trappola nascosta. Potrebbe succedere, infatti, che le plusvalenze al primo di luglio diventino delle minusvalenze nei mesi a seguire. E che quindi per eccesso di zelo anche il più oculato dei risparmiatori si trovi a pagare il 20% per cento di tasse su un guadagno che al momento dell’effettivo smobilizzo dell’investimento non c’è stato.
Morale della favola: se entro il 30 settembre il risparmiatore decidesse di non avvalersi del cosiddetto affrancamento si troverà a pagare nei mesi a venire una tassa retroattiva sui guadagni passati (perché il 26% vale anche per i guadagni maturati negli scorsi anni) senza che sia previsto nessun meccanismo correttivo per neutralizzare l’effetto inflazione che in alcuni casi potrebbe anche azzerare i guadagni. Se invece esercita l’opzione che gli garantisce il legislatore rischia di perdere i
suoi soldi se il titolo in futuro dovesse subire un brusco calo.

Una grave distorsione del sistema che va ad aggiungersi a quelle già evidenziate a più riprese da Libero negli scorsi giorni. Succede, infatti, che se sei un socio qualificato (nelle società per azioni i titolari di oltre il 20% dei diritti di voto nelle assemblee ordinarie, percentuale che scende al 2% per le società quotate) non sei soggetto alle nuove aliquote volute da Renzi, ma paghi l'Irpef solo sulla metà di quanto hai guadagnato (per la precisione il 49,72%). E così per un dividendo di 1.000 euro lordi, il socio non qualificato pagherà 260 (il 26% di 1.000), mentre quello qualificato si fermerà al massimo a quota 213,8 euro, considerando che i mille euro di guadagni vanno divisi per due e poi assoggettati all'aliquota massima del 43%.

Del resto, è sbagliato considerare la nostra tassazione sul risparmio troppo bassa rispetto alla media dei Paesi Ocse. Nel fare questi calcoli, infatti, si omette di dire che di recente abbiamo introdotto anche una mini-patrimoniale sugli investimenti che nel 2014 è passata dall’1,5 al 2 per mille all’anno. Il famoso bollo che non si applica sui guadagni, ma sul capitale. Che sommato agli altri balzelli porta, nei casi peggiori, il carico fiscale sul risparmio poco sotto il 50%.

Il "trucco" di Padoan: adegua le tasse alla Ue solo se sono più alte

Il "trucco" di Padoan: adegua le tasse alla Ue solo se sono più alte


di Gian Maria De Francesco


Il ministro difende la nuova aliquota sulle rendite: è nella media europea. Ma fa finta di non vedere il minor carico fiscale globale degli altri Paesi



L'innalzamento della tassazione sulle rendite finanziarie al 26 per cento? «È un adeguamento alla media europea e non ci risulta che l'attrattività finanziaria dell'Italia possa venire intaccata». Parola del ministro Pier Carlo Padoan che ieri a Radio anch'io ha decantato le magnifiche sorti e progressive in tema di fiscalità del governo di Matteo Renzi. Più che dell'Italia il titolare del dicastero di via XX Settembre ha parlato di un luogo dell'immaginario collettivo. «Siamo in una situazione in cui gli investitori guardano con estremo interesse all'Italia», ha detto riferendosi ai esempio ai titoli di Stato (ieri nuovi minimo per lo spread tra Btp e Bund), alle dismissioni dei beni pubblici (sempre in cantiere) e, in generale, agli investimenti.

Ma le cose stanno veramente così? O, piuttosto, quella che viene raccontata è una storia che differisce molto dalla realtà? Partiamo proprio dall'adeguamento dell'aliquota sulle rendite finanziarie (Btp esclusi, sui bond governativi il prelievo resterà al 12,5%) dal 20 al 26 per cento. L'obiettivo del governo è rastrellare almeno 2,5 miliardi (2,9 miliardi le stime iniziali) per finanziare in parte il taglio dell'Irap sulle imprese. Come ha detto l'ottimo Padoan si tratta di un «adeguamento alla media europea». E, in effetti, a ben guardare i principali Paesi del Continente il margine per aumentare il «drenaggio» ci sarebbe. In Germania la tassazione è al 26,375%, in Francia si arriva addirittura al 34,5%, mentre in Gran Bretagna e in Spagna il prelievo varia in funzione del reddito e può arrivare a un massimo rispettivamente del 28 e del 27 per cento.

Inutile baloccarsi sul valore costituzionale del risparmio, sul fatto che si tratta di somme che «sopravvivono» ad altre forme di tassazione, eccetera eccetera. Proviamo a ribaltare la prospettiva: chi investe in azioni, titoli e quant'altro è un ricco renditiere che va penalizzato, mentre è più importante la salvaguardia del lavoro e dei suoi frutti, altra architrave costituzionale. Ebbene, come ha reso noto l'Ocse, circa due settimane fa l'Italia è uno dei Paesi più ostili al lavoro. Non solo perché non ci sia ma perché il cuneo fiscale sui dipendenti con due figli è tra i più elevati nel G20.

Lasciamo perdere isole felici come la Svizzera (9,5%), gli Stati Uniti (20,3%) e il Canada (18,7%), bisogna chiedersi perché un nucleo familiare con due bambini a carico in Italia nel 2013 si sia visto «rastrellare» il 38,2% dell'imponibile contro il 33,8% della Germania, il 34,8% della Spagna e il 27% della Gran Bretagna. Aliquote totali che, secondo il Centro studi di Confindustria, salgono al 42,3% per il nostro Paese che in questa lettura sopravanza pure la Francia (38,6% a fronte del 41,6% stimato dall'Ocse). Probabilmente per il ministro Padoan «l'adeguamento alla media europea» è un concetto variabile un po' come le targhe alterne. D'altronde, i tentennamenti sull'estensione del bonus da 80 euro anche a incapienti e lavoratori autonomi o sul rinnovo della cassa integrazione in deroga chiariscono l'impotenza dinanzi al Leviatano dei conti pubblici.
Senza contare che nella classifica della Banca mondiale per aliquota totale sui redditi delle imprese l'Italia ha un primato assoluto: il 65,8% contro il 64,7% della Francia e il 56,8% della Spagna. La Germania è al 49% e la Gran Bretagna al 34. Anche in questo caso i modelli da seguire devono essere ben altri se il promesso taglio dell'Irap verrà effettuato a rate.

E così ai risparmiatori (ma anche alle imprese) toccherà sorbirsi da luglio l'aumento delle aliquote al 26%. Una mossa che scoraggia il risparmio, già fiaccato dalle «bravate» dei governi passati come la Tobin Tax (adesso allo 0,1%) sulle transazioni finanziarie voluta da Mario Monti per compiacere Angela Merkel e l'imposta di bollo allo 0,2% sui conti titoli nonché i 34,2 euro (100 per le persone giuridiche) sui conti correnti tradizionali e di deposito, eredità del governo di Enrico Letta. Sì, è proprio tutta una questione di «adeguamento alla media europea». Detta così non sembra neanche una brutta cosa.

Giornata del Libro, è festa nel mondo

Giornata del Libro, è festa nel mondo 



Si celebra oggi la Giornata mondiale del Libro e del diritto d'autore, istituita dall'Unesco nel 1996, per promuovere la lettura e la protezione della proprietà intellettuale. Iniziative e manifestazioni sono previste in tutto il mondo. La data del 23 aprile è stata scelta perchè è il giorno in cui, nel 1616, morirono tre importanti scrittori: Cervantes, Shakespeare, Garcilaso Vega. In occasione della Giornata, l'Associazione Italiana biblioteche promuove presso i cittadini e le istituzioni il tema della lettura digitale in biblioteca. 

Sondaggio Emg: cala il Pd, tiene Forza Italia, bene Fdi-An

Sondaggio Emg: cala il Pd, tiene Forza Italia, bene Fdi-An



Il consueto sondaggio del lunedì di Enrico Mentana, complice la Pasquetta, slitta al martedì. Un'ultima rilevazione, quella di Emg per il TgLa7, che offre molteplici spunti interessanti. Un dato su tutti: nonostante gli 80 euro e nonostante l'infinita sequela di promesse, dopo diverse settimane di ascesa, perde quota il Partito democratico, che cala dello 0,6% al 33,8 per cento. In parallelo, scende per la prima volta dal suo arrivo a Palazzo Chigi anche la fiducia nel premier, Matteo Renzi, che passa al 44%, in flessione di 1 punto percentuale.

Grillini e azzurri - Il Pd resta "al momento" primo partito con un significativo margine di vantaggio sul Movimento 5 Stelle, dato al 23,4% e in crescita dello 0,5 per cento. Forza Italia morta?? Non proprio!. Lo dicono i numeri: gli azzurri sono al 20,3%, in salita rispetto alla precedente rilevazione. Un dato che però ancora non risente degli effetti dell'impegno di Silvio Berlusconi (toghe permettendo) nella campagna elettorale per le Europee (si vota il 25 maggio): il Cav, infatti, ha appena annunciato il suo ritorno in televisione dopo 14 mesi, e giovedì sera sarà ospite di Bruno Vespa negli studi di Porta a Porta.

Altre formazioni - Tra gli altri partiti, tiene l'asse Ncd-Udc, dato al 4,9% e in calo dello 0,3 per cento. La Lega Nord, in calo dello 0,2%, viene data al 4,4 per cento. Buono il dato della rossissima lista Tsipras, quotata al 4% tondo tondo e in ascesa di 0,6 punti percentuali. Continua la cavalcata di Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale, oggi in crescita dello 0,2% al 3,7% e a un passo dal superare la soglia di sbarramento per entrare al Parlamento europeo (fissata al 4%). Quindi Scelta europea, stabile al 2,5%, i Verdi (riammessi) allo 0,7% e in calo dello 0,1%, l'Idv allo 0,7% in crescita dello 0,1 per cento. Gli altri partiti collezionano l'1,6%, in calo dello 0,2 per cento. Enorme la platea degli astenuti, al 33,6% e in crescita dell'1,4%; gli indecisi stanno al 19,5% (in calo del 3,2%) mentre l'1% del campione annuncia di voler votare scheda bianca (in calo dello 0,4 per cento).


"La grande bellezza" in Vaticano: attici di lusso, sauna party e champagne nell'auto blu

"La grande bellezza" in Vaticano: attici di lusso, sauna party e champagne nell'auto blu

di Rachele Nenzi

Dall'appartamento di Bertone all'alto prelato "fidanzato" con un coreografo: viaggio negli eccessi in Vaticano


Bella vita quella degli alti prelati. A leggere un articolo de il Fatto Quotidiano, infatti, non sembra che in Vaticano se la passino poi male, in barba al voto di povertà. Tutto inizia con l'appartamento dell'ex segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, che passerà la pensione in un lussuoso attico da 600 mq a pochi passi dal sobrio alloggio a Santa Marta scelto da Papa Francesco.

Nei giorni scorsi alcune fonti hanno rivelato al quotidiano di Travaglio e Padellaro altri dettagli "piccanti" della vita dei cardinali e di altri personaggi di rilievo in Vaticano. Come il capo della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, che vive in un appartamento molto spazioso e appena ristrutturato con affaccio su via di Porta Angelica. "Sopra il terzo piano è comparso all'improvviso un piano nuovo con tre finestre e due ampie vetrate, a cui si aggiungono due bagni con una vasca idromassaggio e una terrazza", racconta Valeria Pacelli, "Ma passeggiando all'interno delle mura vaticane, ci sono tanti sontuosi palazzi con all'interno appartamenti che vanno dai 200 ai 250 metri quadrati. Molti di questi sono abitati da cardinali che non li usano del tutto, lasciando molte stanze completamente chiuse".

Ma la vita di lusso all'interno della Chiesa non finisce qui. Sempre sul Fatto viene riportata la testimonianza di un altro prete. "Non avete idea di cosa accade, di come si comportano", rivela, raccontando di un alto prelato "ufficialmente fidanzato con un coreografo". I due - si legge ancora - sono "promotori di serate pensate intorno a una sauna installata dentro un appartamento nel centro di Roma, meglio non andare troppo lontani dal Cupolone, terzo piano di una palazzina vicino piazza Navona e di proprietà di una congregazione cattolica. La coppia trova anche il tempo per investire e seguire alcune attività commerciali, il futuro è sempre un'incognita". E ancora: "Un cardinale si è fatto anche montare il frigo bar dentro l'auto blu, lo champagne è sempre pronto". Insomma, "La grande bellezza" è solo un film, ma a quanto pare non si scosta molto dalla realtà.

martedì 22 aprile 2014

Rivellini: Grazie Berlusconi. Ancora in campo per difendere il Sud in Europa

Rivellini: Grazie Berlusconi. Ancora in campo per difendere il Sud in Europa


L’eurodeputato Enzo Rivellini, candidato alle elezioni europee del 25 maggio nella lista Forza Italia/Berlusconi, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «La ricandidatura è per me motivo di grande orgoglio e ringrazio il Presidente Silvio Berlusconi per la fiducia. Sarò in campo, come cinque anni fa, per difendere le ragioni del Sud in Europa. Un filo diretto ha segnato e continuerà a segnare il mio percorso politico, dal discorso in lingua napoletana tenuto nell’aula di Strasburgo nel 2009 alle tante iniziative intraprese per difendere i diritti della Comunità Meridionale. In un momento di anti-politica, giusta, i cittadini devono esprimere la propria preferenza e invito tutti a verificare il lavoro di ogni candidato, affinché al Parlamento Europeo ci vada una classe politica rappresentativa e non auto-referente. 

Se i cittadini mi confermeranno al Parlamento Europeo desidero battermi, senza inutili chiacchiere e senza "fantasmagorici" programmi, per quattro obiettivi ben precisi: 

1) abolizione della formazione professionale. E’ inutile buttare centinaia di milioni di euro per corsi di veline o giocatori di biliardo, ma bisogna destinare le risorse ad aziende serie che devono investirle in contratti a tempo determinato (sei ore di lavoro e due di vera formazione per insegnare il "mestiere" ai nostri giovani); 

2) regole comuni in tutti gli Stati aderenti all’Ue: stessa burocrazia, stessa sicurezza sul lavoro, stesso cuneo fiscale, per evitare che le nostre aziende chiudano in Italia per aprire in Paesi dell’Ue che tra l’altro ricevono contributi a fondo perduto che ricadono anche sulle tasche degli italiani; 

3) libero accesso ai fondi indiretti da parte di tutti gli Enti e le Associazioni di Categoria per evitare "tappi" regionali e tentare di sfruttare il 100% delle risorse comunitarie; 

4) proporre all’Ue (che ha legislazione sovrastante agli Stati nazionali) che le imprese titolari di concessioni o contributi, che diminuiscono per investimenti tecnologici la propria manodopera, rivedano i canoni delle concessioni. Tutto ciò perché non è giusto che la riduzione della propria forza-lavoro le aziende che hanno concessioni pubbliche la facciano ricadere sull’intera collettività».

Di sinistra e anti-impresa: la nuova legge sul lavoro aumenterà i disoccupati

Di sinistra e anti-impresa: la nuova legge sul lavoro aumenterà i disoccupati

di Vittorio Feltri


Quella di cui trattiamo è una legge destinata a complicare ulteriormente la soluzione del problema principale del nostro Paese


Pasqua è alle nostre spalle, davanti abbiamo subito - oggi stesso - il decreto sul lavoro, che è al centro di polemiche destinate ancora una volta a creare disagi nella maggioranza renziana. Il provvedimento probabilmente passerà, ma chissà con quanta fatica e, forse, con troppi cambiamenti rispetto al testo originario. Bisogna sapere che su questa delicata materia i pareri sono contrapposti anche nell'ambito dei singoli partiti.

Il commento scatologico più calzante sarebbe il seguente: siamo nel casino più totale. Poiché, tuttavia, il premier vanta virtù taumaturgiche, non ce la sentiamo di escludere a priori che accada un miracolo, magari col ricorso alla solita fiducia da tutte le forze politiche detestata e da tutte praticata, e cioè che all'ultimo si trovi un accordo in grado di appianare ogni ostacolo. Ci rendiamo conto: prevale in noi un vago ottimismo. Se dovessimo però attenerci alla realtà che abbiamo sotto gli occhi, diremmo che quella di cui trattiamo sia una legge destinata a complicare ulteriormente la soluzione del problema principale del nostro Paese: la disoccupazione.

Infatti, pur riconoscendo la necessità di regolamentare le assunzioni a termine, nonché quelle a tempo indeterminato, per non trascurare quelle degli apprendisti, che oggi avvengono in modo caotico e tale da complicare i rapporti tra aziende e dipendenti, occorre aggiungere che il nodo è un altro: per creare posti di lavoro non è sufficiente modificare le norme da imporre agli imprenditori, ma serve incentivare la produzione, quindi i consumi e le esportazioni. E per fare ciò è indispensabile trasformare l'Italia da Paese inospitale a Paese ospitale per l'industria, l'artigianato e il commercio.

Come? Anzitutto consentendo alle ditte, grandi o piccole che siano, di essere concorrenziali, non soffocate da un fisco predatorio, e di riguadagnare la stima (perduta) dello Stato e della società: è assurdo considerare, per esempio, le cosiddette «partite Iva» fonti potenziali o, peggio, attive di evasione. Inoltre le aziende hanno bisogno non solo di pagare l'energia come e non più che in altre nazioni europee, ma anche di non dover sopportare un costo eccessivo del denaro e della manodopera.

Sembrano, i nostri, discorsi semplici o addirittura semplicistici; in realtà o se ne accoglie la sostanza oppure fra un anno, due o dieci saremo ancora qui a discutere sui metodi più adatti per il rilancio dell'economia, ignorando che essa si basa sulla contabilità della serva. Per vendere un prodotto sul mercato è obbligatorio che il suo prezzo sia alla portata di chi lo acquista, altrimenti il consumatore si rivolge ai cinesi, agli indiani o ai vietnamiti che praticano tariffe notoriamente più basse, e non importa se la qualità delle loro merci è più scadente. Chi ha pochi soldi in tasca, chi è disoccupato, chi ha un reddito basso non può concedersi il lusso di sottilizzare.

La piena occupazione non è una chimera. Per raggiungerla però sarebbe opportuno un cambio radicale di mentalità: meno spese, lavorare di più, sgobbare tutti, uniformarsi ai parametri della crisi per ripartire. Le liti nell'ambito del Pd e quelle fra il Pd, Scelta Civica e Ncd sulla riforma del lavoro sono utili esclusivamente a incrementare la disoccupazione. Che in effetti è in aumento.