La tassa sulle rendite finanziarie può essere retroattiva
di Tobia De Stefano
Nei meandri delle coperture trovate da Renzi per sbandierare la sua #svoltabuona si nascondo tre notizie per i risparmiatori italiani. La prima è positiva e prevede la possibilità (fornita dalla legge) di «scansare» l’aumento delle aliquote su azioni, fondi, obbligazioni, Etf ecc. dal 20 al 26% a partire dal prossimo primo di luglio. La seconda è che questa eventualità (in gergo tecnico si chiama affrancamento) possa rivelarsi una grande trappola. La terza, invece, è un dato di fatto: a oggi non è stato trovato nessun meccanismo che eviti la retroattività del salasso che andrà a gravare anche sui guadagni maturati negli scorsi anni. Insomma, è il caso di star attenti e non farsi ingannare dalle soluzioni in apparenza più vantaggiose.
Questo il ragionamento. Nel giro di pochi anni (il precedente aumento risale al 2012 con Monti) la tassazione sui capital gain di quasi tutti i prodotti del risparmio (sono esclusi i titoli di Stato) è passata dal 12,5 al 26%. Più che raddoppiata. Lo Stato, così, attraverso la procedura dell’affrancamento ha voluto offrire al contribuente la possibilità di scegliere cosa gli convenga fare. Se lo valuta opportuno può realizzare una sorta di cessione figurativa della partecipazione senza smobilizzare i titoli cha ha in portafoglio. Risultato: le plusvalenze saranno assoggettate all’imposta sostitutiva vigente fino a quel momento, cioè il 20%, mentre per il periodo successivo il nuovo valore di carico di azioni, obbligazioni ecc. sarà uguale a quello che il mercato ha rilevato al 30 giugno 2014. Attenzione, però, perché il termine ultimo per agganciarsi all’operazione di affrancamento è il 30 di settembre. Questo significa che chi arriva a ridosso della scadenza vedrà applicarsi la nuova aliquota del 26% sul plusvalore che matura a partire dal primo luglio.
Avvertenze a parte la norma ha una spiegazione molto evidente. Da una parte il legislatore ha voluto evitare vendite in massa nei giorni precedenti all’entrata in vigore delle nuove aliquote e dall’altro ha offerto una via d’uscita, come del resto era successo con il precedente rialzo di fine 2011, rispetto alle evidenti penalizzazioni nel passaggio da un regime più favorevole a uno sfavorevole.
Detto questo, resta da evidenziare che si tratta di un’operazione molto rischiosa. E qui arriviamo alla trappola nascosta. Potrebbe succedere, infatti, che le plusvalenze al primo di luglio diventino delle minusvalenze nei mesi a seguire. E che quindi per eccesso di zelo anche il più oculato dei risparmiatori si trovi a pagare il 20% per cento di tasse su un guadagno che al momento dell’effettivo smobilizzo dell’investimento non c’è stato.
Morale della favola: se entro il 30 settembre il risparmiatore decidesse di non avvalersi del cosiddetto affrancamento si troverà a pagare nei mesi a venire una tassa retroattiva sui guadagni passati (perché il 26% vale anche per i guadagni maturati negli scorsi anni) senza che sia previsto nessun meccanismo correttivo per neutralizzare l’effetto inflazione che in alcuni casi potrebbe anche azzerare i guadagni. Se invece esercita l’opzione che gli garantisce il legislatore rischia di perdere i
suoi soldi se il titolo in futuro dovesse subire un brusco calo.
Una grave distorsione del sistema che va ad aggiungersi a quelle già evidenziate a più riprese da Libero negli scorsi giorni. Succede, infatti, che se sei un socio qualificato (nelle società per azioni i titolari di oltre il 20% dei diritti di voto nelle assemblee ordinarie, percentuale che scende al 2% per le società quotate) non sei soggetto alle nuove aliquote volute da Renzi, ma paghi l'Irpef solo sulla metà di quanto hai guadagnato (per la precisione il 49,72%). E così per un dividendo di 1.000 euro lordi, il socio non qualificato pagherà 260 (il 26% di 1.000), mentre quello qualificato si fermerà al massimo a quota 213,8 euro, considerando che i mille euro di guadagni vanno divisi per due e poi assoggettati all'aliquota massima del 43%.
Del resto, è sbagliato considerare la nostra tassazione sul risparmio troppo bassa rispetto alla media dei Paesi Ocse. Nel fare questi calcoli, infatti, si omette di dire che di recente abbiamo introdotto anche una mini-patrimoniale sugli investimenti che nel 2014 è passata dall’1,5 al 2 per mille all’anno. Il famoso bollo che non si applica sui guadagni, ma sul capitale. Che sommato agli altri balzelli porta, nei casi peggiori, il carico fiscale sul risparmio poco sotto il 50%.
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