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martedì 22 aprile 2014

Di sinistra e anti-impresa: la nuova legge sul lavoro aumenterà i disoccupati

Di sinistra e anti-impresa: la nuova legge sul lavoro aumenterà i disoccupati

di Vittorio Feltri


Quella di cui trattiamo è una legge destinata a complicare ulteriormente la soluzione del problema principale del nostro Paese


Pasqua è alle nostre spalle, davanti abbiamo subito - oggi stesso - il decreto sul lavoro, che è al centro di polemiche destinate ancora una volta a creare disagi nella maggioranza renziana. Il provvedimento probabilmente passerà, ma chissà con quanta fatica e, forse, con troppi cambiamenti rispetto al testo originario. Bisogna sapere che su questa delicata materia i pareri sono contrapposti anche nell'ambito dei singoli partiti.

Il commento scatologico più calzante sarebbe il seguente: siamo nel casino più totale. Poiché, tuttavia, il premier vanta virtù taumaturgiche, non ce la sentiamo di escludere a priori che accada un miracolo, magari col ricorso alla solita fiducia da tutte le forze politiche detestata e da tutte praticata, e cioè che all'ultimo si trovi un accordo in grado di appianare ogni ostacolo. Ci rendiamo conto: prevale in noi un vago ottimismo. Se dovessimo però attenerci alla realtà che abbiamo sotto gli occhi, diremmo che quella di cui trattiamo sia una legge destinata a complicare ulteriormente la soluzione del problema principale del nostro Paese: la disoccupazione.

Infatti, pur riconoscendo la necessità di regolamentare le assunzioni a termine, nonché quelle a tempo indeterminato, per non trascurare quelle degli apprendisti, che oggi avvengono in modo caotico e tale da complicare i rapporti tra aziende e dipendenti, occorre aggiungere che il nodo è un altro: per creare posti di lavoro non è sufficiente modificare le norme da imporre agli imprenditori, ma serve incentivare la produzione, quindi i consumi e le esportazioni. E per fare ciò è indispensabile trasformare l'Italia da Paese inospitale a Paese ospitale per l'industria, l'artigianato e il commercio.

Come? Anzitutto consentendo alle ditte, grandi o piccole che siano, di essere concorrenziali, non soffocate da un fisco predatorio, e di riguadagnare la stima (perduta) dello Stato e della società: è assurdo considerare, per esempio, le cosiddette «partite Iva» fonti potenziali o, peggio, attive di evasione. Inoltre le aziende hanno bisogno non solo di pagare l'energia come e non più che in altre nazioni europee, ma anche di non dover sopportare un costo eccessivo del denaro e della manodopera.

Sembrano, i nostri, discorsi semplici o addirittura semplicistici; in realtà o se ne accoglie la sostanza oppure fra un anno, due o dieci saremo ancora qui a discutere sui metodi più adatti per il rilancio dell'economia, ignorando che essa si basa sulla contabilità della serva. Per vendere un prodotto sul mercato è obbligatorio che il suo prezzo sia alla portata di chi lo acquista, altrimenti il consumatore si rivolge ai cinesi, agli indiani o ai vietnamiti che praticano tariffe notoriamente più basse, e non importa se la qualità delle loro merci è più scadente. Chi ha pochi soldi in tasca, chi è disoccupato, chi ha un reddito basso non può concedersi il lusso di sottilizzare.

La piena occupazione non è una chimera. Per raggiungerla però sarebbe opportuno un cambio radicale di mentalità: meno spese, lavorare di più, sgobbare tutti, uniformarsi ai parametri della crisi per ripartire. Le liti nell'ambito del Pd e quelle fra il Pd, Scelta Civica e Ncd sulla riforma del lavoro sono utili esclusivamente a incrementare la disoccupazione. Che in effetti è in aumento.

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