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giovedì 8 giugno 2017

CAMERA, I CONTI NON TORNANO Si vota la legge elettorale, Grillo prepara il trappolone Ora rischia di saltare tutto

CAMERA, I CONTI NON TORNANO Legge elettorale, al primo voto già cento franchi tiratori contro la "maggioranza" Pd-M5S-FI-Lega



Pronti via... e mancano già 100 voti alla neo-costituita "maggioranza" Pd-M5S-FI e Lega sulla legge elettorale. Al netto degli assenti giustificati per le più disparate ragioni, i "franchi tiratori" che approfittando del voto segreto non hanno votato secondo le attese, sarebbero 66. Il voto era sulle questioni pregiudiziali opposte da centristi e Mdp. In linea teorica Pd, M5S, Fi e Lega dovrebbero contare su 449 deputati. Il Pd ne ha 292, M5S 88, Fi 50 e Lega 19. Le pregiudiziali di costituzionalità sono state bocciate alla Camera con soli 310 voti contrari. Quelli favorevoli sono stati 182, un centinaio, appunto, in più di quelli che dovevano essere in via teorica. Esultano i centristi di Ap, che denunciano come il patto sulla legge elettorale "non sia poi così forte".

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Dopo il voto sulle pregiudiziali, l'aula della Camera dovrà esprimersi sui 210 emendamenti ammessi al voto, per un totale di 100 votazioni il primo dei 100 che i piccoli partiti hanno ottenuto su circa 210 emendamenti. Il voto definitivo (sempre che tutto fili liscio, ma il voto sulle pregiudiziali lascia presagire il contrario) è stato preannunciato dal capogruppo del Pd a Montecitorio per lunedì. A gettare ulteriore benzina sul fuoco, Beppe Grillo ha annunciato sul suo blog che tra sabato e domenica il testo definitivo della legge così come uscirà dalla Camera, sarà nuovamente sottoposto agli iscritti.

I 5 Stelle puntano i piedi su voto disgiunto, preferenze e correttivo di governabilità: se l’aula della Camera respingerà queste modifiche alla legge elettorale (eventualità molto probabile dal momento che il Pd ha già annunciato che voterà contro tali emendamenti) e gli iscritti 5 Stelle bocceranno la riforma elettorale (nel nuovo voto online che si terrà nel weekend), allora salterà l’accordo raggiunto con Pd, Forza Italia e Lega. Lo conferma  il deputato M5S Carlo Sibilia la termine dell’assemblea dei deputati che ha deciso la nuova linea da seguire sulla riforma elettorale.

LO STATO VAMPIRO Grillo-Equitalia? Libero, la verità Ecco perché siete rovinati: di quanto vi ripuliscono il conto

Fisco, Equitalia contesta Grillo sul pignoramento dei conti



Non ci sono dubbi sul fatto che dal 1 luglio l'Agenzia delle Entrate potrà entrare e pignorare i conti degli italiani se hanno cartelle non pagate con Equitalia. L'annosa questione è tornata agli onori della cronaca solo pochi giorni fa, quando Beppe Grillo lo ha denunciato sul suo blog, ribadendo che "la nuova Equitalia made in Renzi avrà il potere di procedere al pignoramento dei conti correnti in modo diretto, prendendo i soldi direttamente dalla banche, senza dover richiedere l'apposita autorizzazione al giudice".

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L'informazione di Grillo è vera, anche se Equitalia non è del tutto d'accordo e in una nota del 5 giugno scorso ha voluto precisare: "l'azione di pignoramento presso terzi è disciplinata da una norma del 2005 (dl 203/2005 che ha introdotto l’art. 72 bis del DPR 602/1973)". La procedura di pignoramento può avvenire poi con precise condizioni, quali per esempio che il contribuente "non abbia dato seguito agli atti che sono stati notificati, né provvedendo al loro pagamento, neanche in forma rateale, né contestandone il contenuto".

Equitalia però non la dice tutta e fino in fondo. Come già scritto da Libero - quasi un mese prima, il 22 maggio - in un dettagliatissimo articolo firmato da Tobia De Stefano, per dare il via libera a questa prepotenza del fisco è stato determinante il decreto fiscale del 2016 (dl 193/2016) e l'ultima manovrina (dl 50/2017). Quel provvedimento ha unito numerose banche dati dello Stato, rendendo accessibili al fisco informazioni che prima richiedevano l'intervento di un giudice. Sulla carta l'obiettivo voleva essere la caccia ai grandi evasori, di fatto - è il sospetto più diffuso - questa operazione si trasformerà nell'ennesimo torchio imposto sulla testa dei contribuenti italiani.

"Loro da anni liberi e belli, lui crepa in carcere" Vittorio Feltri massacra i giudici: "Ci sputo sopra"

Vittorio Feltri: Riina in carcere, i brigatisti rossi a spasso da anni


di Vittorio Feltri



La polemica del giorno esalta la faziosità che serpeggia in Italia. Secondo la Cassazione, Totò Riina, condannato all'ergastolo per una serie di omicidi mafiosi, potrebbe uscire dal carcere di Opera dove è blindato in regime di 41 bis e sottoposto a torture quotidiane, come ha dimostrato Melania Rizzoli nell'articolo pubblicato ieri su Libero. Il boss è dietro le sbarre da oltre due decenni, ha 86 anni, non ha molto da vivere perché soffre di svariate malattie, cardiache e tumorali. Tenerlo in galera non è un atto di giustizia, bensì di gratuita crudeltà dato che egli non è in grado di fare male a una mosca, essendo ridotto a uno straccio.

I soliti cattivoni (politici e commentatori di pronto intervento) sono indignati all'idea che il detenuto venga spedito a casa sua in barella, preferiscono che costui patisca in cella pur essendo in stato preagonico. Sono duri e puri? Nossignori, sono ignoranti, non conoscono in che cosa consista il 41 bis e non hanno letto nemmeno una pagina di Cesare Beccaria (consigliamo a tutti di ripassarne il testo famoso, Dei delitti e delle pene). Altrimenti saprebbero che la prigione riservata ai criminali organizzati è una vergogna nazionale, per eliminare la quale nessuno muove un dito. Trattasi di isolamento perenne, un'ora di aria al dì, telecamere e luci sempre accese inquadrano anche il water e chi lo usa. La sorveglianza spietata è prevista 24 ore.

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Guantanamo, al confronto delle nostre strutture dedicate ai farabutti incalliti, è un ameno villaggio turistico. Fantastico. Il Parlamento è in procinto di approvare il reato di tortura da contestare ai poliziotti che eventualmente ricorrano ai muscoli per arrestare un delinquente. Però i deputati e i senatori consentono alle istituzioni di sottoporre a supplizi gli "ospiti" del succitato 41 bis. Non solo, non pensano neanche ad abolire le cosiddette pene accessorie. Esempio. Bossetti si è beccato l'ergastolo, che tuttavia non bastava: gli hanno aggiunto per sovrammercato un paio d'anni di isolamento. Mancavano due calci quotidiani nel didietro. Altro che culla del diritto, siamo la tomba della civiltà.

Torniamo a Riina. Lo hanno spacciato per capo dell'onorata società, lui analfabeta tenne in scacco per venti anni e passa carabinieri e agenti, i quali lo cercarono dovunque, in qualsiasi angolo della Sicilia tranne che nella sua abitazione nel centro di Palermo, e qui fu poi scovato. Vengono dei sospetti: o fingevano di dargli la caccia, oppure erano un po' storditi. Altra spiegazione non esiste.

Se il comandante supremo della mafia era davvero Totò, un nano capace a malapena di firmare, ci domandiamo con inquietudine per quale motivo gli intelligentoni della sicurezza non lo acchiapparono prima che ne combinasse di cotte e di crude. Un mistero ancora da svelare. Adesso che il nano è uno zombi, gli inflessibili giustizialisti insistono: fatelo marcire nella tomba di cemento che lo rinchiude. Deve patire.

Essi agirono diversamente con i bastardi delle Brigate rosse che fecero più vittime del morbillo. Non ne è rimasto uno sotto chiave. Tutti liberi e belli, uno è entrato a Montecitorio, alcuni insegnano (quali materie si ignora) addirittura all'università, scrivono brutti libri, concionano in centinaia di conferenze pubbliche. Pluriassassini come Viscardi di Prima linea sono stati scarcerati subito, restituiti al consorzio umano quasi che fossero dei ladruncoli di ortaggi.

In effetti ci sono assassini e assassini, quelli politici, via dalle pazze carceri medievali: meritano la riabilitazione di fatto; quelli mafiosi, Riina docet, benché la vecchiaia e la malattia li abbiano stritolati, rimangano all'inferno a tribolare finché non avranno tirato le cuoia. Se questa è giustizia, ci sputiamo sopra.

mercoledì 7 giugno 2017

Totò Riina, vergogna totale Sapete dove vive adesso? Altro che fuori dal carcere...

Totò Riina, scandalo italiano: vive in un centro di eccellenza medico



Da circa due anni Totò Riina non di fatto rinchiuso in carcere, ma ricoverato all'ospedale Maggiore di Parma. Il dettaglio non da poco era stato chiarito dal suo avvocato, Luca Cianferoni, durante la trasmissione L'aria che tira su La7, nel pieno del dibattito scatenato dalla sentenza della Cassazione sul diritto a "una morte dignitosa" per i detenuti. In attesa che il tribunale di sorveglianza di Bologna si esprima sull'eventuale scarcerazione, Riina resta in una sorta di stanza segreta della clinica universitaria di Parma, dove è ricoverato dal 5 novembre. 

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Come riportato da Repubblica, la stanza di Totò 'u Curtu è sostanzialmente una cella blindata, dove l'accesso è consentito solo a medici, infermieri e guardie. Ampia solo cinque metri per cinque, la stanza gode di un affaccio sulla città di Parma. Negli ultimi tempi il boss avrebbe chiesto una radiolina e un calendario. Una richiesta che non potrà vedere soddisfatta, perché nella cella sono ammesse solo apparecchiature mediche.

Il capo di Cosa Nostra è tenuto sotto stretta osservazione dai medici, a causa di diverse patologie che si sono aggravate nel corso degli anni.  Al di là della "morte dignitosa" e del diritto a curarsi e non peggiorare le condizioni in carcere, che è un sacrosanto diritto costituzionale, stona un po' che il boss sia così "coccolato", mentre spesso e volentieri per un cittadino libero qualunque le liste di attesa negli ospedali pubblici sono lunghissime, spesso in edifici fatiscenti. Così come stona un po' che un paziente le cui condizioni "sono ormai gravissime", prenda parte ad ogni tappa processuale (in collegamento video in barella) e sia l'unico degli imputati o teste a non assentarsi mai, a non fermarsi per pranzare o bere.

In ogni caso la permanenza di Riina nell'ospedale di Parma non ha turbato la vita della struttura. L'ordine è quello di passare inosservati. Niente militari in divisa, niente mitragliette in vista. Gli spostamenti senza sirene. Adesso il Capo dei capi è in attesa del colloquio con i familiari, previsto una volta al mese. Ma il regime del 41bis vale anche in ospedale. La visita avverrà a un metro di distanza e non saranno permessi contatti fisici. Sarà tutto videoregistrato. Per i magistrati, Totò Riina è ancora in grado di mandare messaggi, è ancora riconosciuto come capo di Cosa Nostra.

‘Ndrangheta: e il bacio fra il boss e il senatore diventa spot

‘Ndrangheta: e il bacio fra il boss e il senatore diventa spot: affissioni e pubblicità virale contro il silenzio dei media e tv sul processo a Reggio Calabria


di Danilo Loria



Sfondo bianco e contorni neri che definiscono in modo inconfondibile gli insoliti testimonial. Si tratta di Paolo Rosario de Stefano, super boss della ‘Ndrangheta, la mafia più potente del mondo, e del senatore della Repubblica Antonio Caridi, secondo le accuse, uno dei tanti interlocutori della criminalità organizzata calabrese nello Stato. Sulla scia già tracciata dal colosso Benetton, a puntare ora su queste immagini forti è il giornalista Klaus Davi che si è affidato al pluripremiato creativo Pasquale Diaferia, coordinatore della realizzazione del concept realizzato per mano della nota artista di Zurigo Patrizia Pfenninger, la quale ha prestato volentieri la propria opera su questo tema. La campagna avrà una versione virale sul web e sono in programma anche una serie di affissioni in Calabria, a Roma e a Milano. Non è la prima volta che Klaus Davi e il suo coautore Alberto Micelotta si affidano ai guru del marketing per operazioni completamente autofinanziate. Qualche settimana fa, infatti, dei poster giganti invasero Milano con i nomi dei boss calabresi residenti nel capoluogo lombardo. Ora è il canovaccio degli annunci a spiegare la motivazione di questa nuova iniziativa: “A Reggio Calabria si celebra un processo epocale, denominato Gotha, al quale lavora da anni un magistrato coraggioso come Giuseppe Lombardo, secondo cui l’abbraccio mortale Stato e Mafia ha coinvolto anche membri molto influenti delle Istituzioni. Tra gli indagati il senatore Antonio Caridi che, secondo numerosi accertamenti, è stato uno degli ‘angeli custodi’ della latitanza del boss Paolo Rosario de Stefano. Uno dei tanti episodi di contaminazione fra organi istituzionali e crimine organizzato. L’evento giudiziario, però, si svolge nel quasi più totale silenzio mediatico, grazie al patto ‘Ndrangheta-Massoneria-Politica che sembra condizionare interi pezzi dei mezzi di comunicazione”. Klaus Davi si dice deciso ad andare avanti su questa strada: ”Sono inviso ad alcuni politici perché ricordo che la ‘Ndrangheta condiziona e orienta la loro agenda. Ma non temo ritorsioni. Per quanto possano tentare di soffocare una voce, ci sarà sempre un canale aperto attraverso il quale dare spazio alla verità. Confido, infatti, nelle parti sane della Repubblica che fortunatamente conservano la loro integrità”.

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"Italiani di merda. Questa è..." Trieste, immigrati all'opera: cittadini presi a sprangate

Trieste, gli immigrati contro il corteo: "Italiani di merda, questa è Kabul"



Momenti di guerriglia urbana, paura, insulti, tensione. Tutto "merito" di un gruppo di immigrati infastiditi dall'iniziativa di Stop prima Trieste e Noi nazionalisti forconi, una manifestazione a cui hanno preso parte i cittadini per protestare contro l'invasione. Gli immigrati, infatti, hanno offeso e minacciato i triestini al grido di "Qui è Kabul, non è Italia" e "italiani di merda". Armati di spranghe metalliche, i richiedenti asilo - che stazionano in alcuni fatiscenti capannoni - hanno anche provato ad allontanare i cittadini.

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Giacomo Sturniolo, di Stop prima Trieste, a Il Gazzettino ha sottolineato che "non siamo qui per fare ronde o manifestazioni ma da privati cittadini, Caritas e Ics sono tanto bravi nel parlare di umanità nell'accogliere le persone mentre qui c'è un albergo a cielo aperto, volevamo parlare con un gruppetto e il risultato, dopo dieci minuti, è che stavano venendo alle mani". Dunque la testimonianza di Marco Prelz, dello stesso gruppo: "Cinque ragazzi ci hanno affrontato con delle spranghe dicendo Qui non è Italia, questo è Kabul. Non è ammissibile perchP significa che lo Stato ha fallito. Hanno anche tentato di colpire le due donne della comitiva. Non vogliono aiuto, sono volgari e offensivi".

"Ha fatto soldi portando immigrati e jihadisti in Italia" Va in galera: clamoroso, sapete chi è questa donna?

Simonetta Sodi, la donna arrestata: "Trasportava immigrati e jihadisti in Italia"



Una donna fiorentina è finita nell’inchiesta della Finanza di Palermo sull’organizzazione che trasportava persone clandestinamente dalla Tunisia alle coste siciliane della zona di Marsala. Simonetta Sodi, questo il suo nome, 55 anni, ora si trova in carcere. La donna aveva sposato nel gennaio scorso un immigrato tunisino, Jabranne Ben Cheikh di 28 anni, del quale secondo le accuse era diventata socia in affari.

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Secondo La Repubblica Jabrannee sarebbe stato a capo di un gruppo che trasportava migranti disposti a pagare migliaia di euro per viaggiare a bordo di gommoni velocissimi, che facevano la traversata dal nord Africa alla Sicilia in meno di 4 ore. Nei viaggi venivano trasportate anche sigarette di contrabbando. La donna avrebbe portato il denaro necessario, 10mila euro, per acquistare un’imbarcazione.

Quando Jabranne Ben Cheikh è finito in carcere per una storia di droga, lei lo ha sostituito in alcuni compiti, tenendo i contatti con alcune delle persone finite nell’inchiesta. Jabranne nel 2016 fu accusato di traffico di stupefacenti con una condanna a 6 anni di reclusione e 30mila euro di multa.

Ma il particolare grave è un altro. Secondo gli inquirenti, tra gli immigrati trasportati dall’organizzazione c’erano anche potenziali jihadisti, definiti "una seria minaccia alla sicurezza nazionale, poiché, in grado di fornire ai suoi utenti un transito marittimo sicuro, occulto e rapido".

In un'intercettazione tra un membro dell’associazione a delinquere, Amine Ben Alaya, e uno dei potenziali passeggeri in attesa di imbarcarsi, si ascoltano i timori di quest'ultimo di "essere arrestato dalla polizia tunisina" e "respinto dalle autorità di polizia italiane per ragioni di contrasto al terrorismo di matrice jiahdista”.

Il ruolo di Simonetta Sodi? La donna, fan e sostenitrice pubblicamente del Movimento 5 Stelle (come si vede nel suo profilo di Facebook), sarebbe stato cruciale quando il compagno è finito in gattabuia. Tramite la donna, "il giovane riusciva a dare indicazioni per proseguire l’attività criminosa". Simonetta Sodi "risulta aver svolto un ruolo fondamentale nel coadiuvare il marito nella direzione e promozione dell’organizzazione criminale investigata, operando attivamente nelle fasi di acquisto del gommone utilizzato per i traffici illeciti, del trasporto dei contanti utilizzati per la transazione e dell’intestazione del natante e del relativo posto barca, ed occupandosi della gestione dei natanti per conto del marito dopo l’arresto di quest’ultimo”.

La pagina di Facebook della Sodi è piena di foto romantiche di lei con il marito tunisino. Rivendica il suo amore contro tutti: "Quando decidi di stare accanto ad una persona, ti assumi la responsabilità di renderla felice, nonostante le sue debolezze ed i passi falsi nonostante la gente, i giudizi, nonostante tutto". Convinta lei.