Vittorio Feltri: Renzi usa Alfano e poi lo getta. C'è sotto qualcosa di personale?
di Vittorio Feltri
La rissa tra Matteo Renzi e Angelino Alfano forse è divertente per chi ama i pettegolezzi politici, ma non ha molto senso alla luce della realtà storica. Con la nuova incasinatissima legge elettorale (lo abbiamo scritto ieri e lo ribadiamo) l’Italia del terzo Millennio torna alla Prima Repubblica, avendo (pare definitivamente) adottato il sistema proporzionale: chi prende tanti voti si piglia tante poltrone. Chiedo scusa per la brutale semplificazione, a cui ricorro per non rompere gli zebedei ai lettori con un linguaggio tecnico incomprensibile a chi non abbia tempo da perdere. Vorrei ricordare a lorsignori che tuttavia, per mezzo secolo anche i partiti piccoli ebbero diritto d’accesso al Parlamento. Giusto o sbagliato che fosse, così fu.
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Adesso invece si provvede a creare uno sbarramento: la formazione che non raggiunge almeno il 5 per cento fischia l’Aida a casa sua e non a Montecitorio né a Palazzo Madama. La regola è una furbata che nega la rappresentanza politica alle esigue minoranze allo scopo di distribuire tutti i seggi ai giganti (si fa per dire). Roba legittima, intendiamoci. Ma quando Renzi, dopo aver usato il Nuovo Centrodestra quale stampella del proprio governo, sbatte Alfano nella pattumiera non compie un gesto elegante, semmai conferma di essere arrogante e incline a esercitare la professione poco nobile dello sfascia carrozze.
Tra l’altro Matteo sbaglia allorché scaricando Angelino afferma: caro mio, se tu hai fatto per dieci anni il ministro (della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri) e non sei in grado col tuo partitino di superare il 5 per cento, si vede che non meriti di rimanere in politica.
La battuta è efficace, ma non tiene conto che ai tempi della egemonia democristiana (anni Sessanta, Settanta e successivi) lo Scudocrociato per stare in sella si avvaleva (oltre che dei socialisti) anche dei socialdemocratici e dei repubblicani che avevano dimensioni alfaniane. Rammento che La Malfa e Spadolini occuparono per lustri poltronissime governative e istituzionali pur appoggiando i glutei sul 2/3 per cento dei consensi popolari.
Facendo le dovute proporzioni, non si capisce perché Alfano non possa aspirare col suo piccolo seguito a rimanere in Parlamento. O c’è sotto qualcosa di personale che impedisce a Matteo di accettare Angelino, nei confronti del quale dovrebbe avere motivi di gratitudine per averlo aiutato a stare a galla tre anni? Dica chiaramente che gli è antipatico, però non tiri in ballo lo sbarramento, che è una specie di calcio di rigore concesso dall’arbitro per sudditanza psicologica verso il più forte o il più ricco. Dare la mano a chi ti ha dato la sua è un dovere. Secondo noi.
Un appunto va mosso anche a Silvio Berlusconi che ieri ha detto: bisogna votare subito poiché da dieci anni (quasi) gli italiani non scelgono il governo. No, amico. Rechiamoci immediatamente alle urne, siamo felici e contenti, ma il Cavaliere ci risparmi simili boutade.
Col proporzionale di cui egli è innamorato, gli elettori non indicheranno né il premier né la maggioranza che lo sosterrà. Si limiteranno a dare la preferenza ai partiti, i quali, una volta insediati, faranno le loro pastette per sostenere un esecutivo non certo imposto dai cittadini. La partitocrazia trionferà.