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mercoledì 31 maggio 2017

LA RELAZIONE DI VISCO Bankitalia, il siluro alla politica "Sono stati gli anni peggiori...": la frase-bomba sulle elezioni

LA RELAZIONE FINALE DI BANKITALIA: "Basta campagna elettorale, serve..."



La vera priorità per l'Italia in questo momento non è tanto quando si andrà a votare, ma cosa si ha intenzione di fare una volta eletti. Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nelle Considerazioni finali, forse le sue ultime, del suo mandato ha invocato una "veduta lunga" alla politica italiana. Evita quindi di prendere posizione nel dibattito tra voto anticipato o fine naturale della legislatura, lanciando un monito al mondo politico: "Il consenso va ricercato con la definizione e la comunicazione di programmi chiari, ambiziosi, saldamente fondati sulla realtà".

Gli ultimi anni per l'Italia, secondo Visco, sono stati "i peggiori della sua storia in tempo di pace", con le conseguenze della doppia recessione "più gravi di quelle della crisi degli anni '30". Senza dimenticare i fardelli che l'Italia porta con sé, come il crescente debito pubblico e l'annosa questione dei debiti deteriorati nella banche.

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Davanti a tutto questo, Visco insiste che la data delle elezioni diventa un falso problema. La politica invece dovrebbe distaccarsi da una campagna elettorale perenne, che costringe a politiche di corto raggio. Di fondo però Visco rimane fiducioso sul futuro, perché si ottengano: "risultati che servono l'interesse generale, tenendo conto di chi resta indietro e di chi arretra, liberando l'economia da inutili vincoli, rendite di posizione, antichi e nuovi ritardi".

All'ottimismo per i prossimi anni, Visco aggiunge la fermezza sulla posizione europeista di Bankitalia: "è un'illusione pensare che la soluzione dei problemi economici nazionali possa essere più facile fuori dall'Unione economica e monetaria".

LA MAGIA Fini, il conto dei miracoli: toh, cos'hanno scoperto sui soldi di Gianfranco

I dubbi dei pm sull'anomalia nei conti di Fini: diverse entrate, pochissime spese



Più che le redini del ministero degli Esteri, a Gianfranco Fini avrebbero dovuto dare la poltrona di ministro dell'Economia e delle Finanze, perché se avesse gestito i conti dello Stato come ha fatto finora con i suoi, probabilmente il Paese avrebbe scoperto prima questo talento dell'illusionismo contabile. La Procura di Roma ha notato alcune anomalie nei conti correnti dell'ex presidente della Camera, come riporta il Fatto quotidiano. Una stranezza di fondo emersa dopo il sequestro delle due polizze assicurative da un milione l'una, visto che Fini è accusato di aver concorso, con la sua compagnia Elisabetta Tulliani e il cognato Giancarlo, al riciclaggio e autoriciclaggio in relazione alla compravendita della casa di Montecarlo, proprio quella svenduta da An.

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Analizzando i conti di Fini, agli inquirenti è venuta in mente una solo e semplice domanda: ma se non spende mai niente, come fa a vivere? La magia è tutta qui, ci sono conti con pochissimi prelievi e costanti entrate, non risultano proprietà a lui intestate, per esempio una casa. Va bene, Fini è ospite della compagna, oppure è in affitto, quindi dovrebbe prelevare più o meno una volta al mese, magari con un bancomat. Nulla, per di più lo storico segretario Francesco Proietti Cosimi, in una dichiarazione ai magistrati, l'ha detto chiaro e tondo che Fini un bancomat non lo ha mai avuto.

Fino a oggi Fini è riuscito a mettere da parte tanto e bene. Un'abitudine che comincia 34 anni fa, quando ha aperto un conto al Banco di Napoli una volta entrato in Parlamento con l'Msi. Chiusa l'esperienza da presidente della Camera e quella parlamentare in generale, da quel conto è partito un bonifico da un milione verso un altro suo conto aperto presso il Monte paschi di Siena. Non ci sono particolari quantità di movimenti da quel conto al Banco di Napoli, se non in entrata: è lì che Fini si è fatto sempre versare lo stipendio da parlamentare, denaro poi congelato con le ormai note polizze vita. Per il suo vitalizio dalla Camera, invece, Fini ha scelto un conto alla Popolare di Milano ed è da lì che vengono accreditati gli addebiti mensili per l'ex moglie, Daniela Di Sotto.

Come possa fare a vivere, insomma, un po' lo chiarisce l'ex segretario Proeitti Cosimi, al quale una volta i Pm hanno chiesto spiegazioni su un assegno a lui intestato fatto da Fini. Il meccanismo era semplicissimo: Fini non andava mai in banca, né aveva un bancomat, solo una carta di credito, così chiedeva al segretario di cambiare l'assegno a lui intestato e tornare con il denaro contante. 

ASSASSINO IMPRENDIBILE Igor, siamo alla farsa: "Cosa fare se lo incontrate" Guida della polizia per gli abitanti, l'importante è...

ASSASSINO IMPRENDIBILE Killer di Budrio, siamo alla farsa: "Cosa dovete fare se incontrate Igor", la guida della polizia per gli abitanti



"L'obiettivo primario è rimanere in vita" hanno dichiarato le forze dell'ordine a Molinella, nella sala del consigli comunale, durante un'assemblea dedicata ai possibili avvistamenti del killer di Budrio, Igor Vaclavic. Potrebbero essere quattro le possibilità di imbattersi in Igor. Gli agenti hanno stilato un prospetto delle cose da fare nel caso ci si imbattesse nel killer. 

La prima: trovare tracce di passaggio in casa, che possono essere mancanza di medicine, cibo o beni di prima necessità. In questo caso è bene non toccare nulla, in modo da non intaccare le prove e chiamare la polizia. 

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La seconda: vederlo, o comunque, riconoscerlo per strada. In tale occasione è necessario allertare subito il 112, memorizzare più dettagli possibili e, senza rischiare, provare anche a filmarlo o fotografarlo, se il mezzo lo consente.

La terza: trovarselo davanti. È sempre bene mantenere la calma, assecondarlo e non fare movimenti improvvisi. Se si è in presenza di bambini è meglio chiedergli di poterli portare altrove.

La quarta ipotesi, la più pericolosa: rientrare a casa e trovarlo fra le mura domestiche. Bisogna, in primis, cercare di farlo ragionare. Se ci sono dei bambini è meglio cercare di portarli in una stanza diversa e, appena possibile, o chiedere aiuto o lasciare che se ne vada e chiamare subito il 112.

Insomma, il vademecum della polizia non sembra niente che una persona dotata di buon senso non possa fare in perfetta autonomia.

GIALLO RISOLTO Neonato gettato dalla finestra, confessa la mamma a Torino Perché l'ha ucciso: straziante

GIALLO RISOLTO Torino, neonato lanciato dalla finestra dopo il parto. La mamma confessa: perché l'ha ucciso




Ha confessato dopo una notte di interrogatori. Valentina Ventura, 34 anni ha ammesso di aver partorito da sola a casa sua e il 30 maggio, dopo poche ore, ha ucciso suo figlio neonato a Settimo Torinese. Non aveva detto a nessuno di essere incinta, non lo sapeva nemmeno suo padre. "È solo gonfiore di pancia", ripeteva secondo quanto riporta Repubblica.

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La donna non ha retto alla tensione e ha gettato il bambino fuori dalla finestra con ancora il cordone ombelicale. Ha poi giustificato l'azione alle forze dell'ordine sostenendo di aver paura che il bambino fosse affetto da un morbo neurodegenerativo di cui sono affetti sia il marito sia la primogenita. Il neonato è stato trovato sul selciato davanti a casa da un netturbino che ha subito allertato i soccorsi, ma per il piccolo non c'è stato nulla da fare. La Ventura è sotto inchiesta per omicidio aggravato. Le indagini sono coordinate dal pm Lea Lamonaca. 

LA MANO DI BERLINO Merkel, golpe anti-Draghi Il piano: vuole massacrarci, lo farà quest'uomo / Foto

LA MANO DI BERLINO Bce, il golpe della Merkel: fuori Draghi e dentro Weidmann, l'uomo con cui vuole massacrarci


di Fausto Carioti



Scordiamoci Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella. Mettiamo Mario Monti e i suoi successori a palazzo Chigi nella categoria cui appartengono: quella degli irrilevanti. L'unico santo protettore che ha avuto l'Italia negli ultimi cinque anni e mezzo è Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea dal novembre del 2011. Se oggi non siamo in ginocchio come la Grecia, il merito non è dei governicchi che si sono succeduti a Roma, ma dell'intelligenza con cui il banchiere de noantri, dal grattacielo di Francoforte, è riuscito a proteggere il nostro paese e gli altri grandi indebitati di Eurolandia.

Ecco il gelato del futuro!

Un gruppo di bambini ha scoperto il gelato del futuro. Il risultato è sconvolgente! 



Ora immaginiamo cosa succederebbe ai conti pubblici e ai depositi bancari italiani se al posto dell'attuale capo della Eurotower arrivasse uno che si comporta in maniera diametralmente opposta. Uno che non si sa dove finiscono le sue idee e iniziano quelle di Angela Merkel, perché sono le stesse. Uno convinto, al pari della cancelliera, che Draghi sia stato troppo generoso con noi e che in questi anni il nostro paese abbia «abusato» della flessibilità concessa. Un'Europa definitivamente "berlinizzata" e un'Italia kaputt: quello che avremo dal novembre del 2019, se la Merkel riuscirà a portare Jens Weidmann, suo ex consigliere e oggi numero uno della Bundesbank, sulla poltrona che adesso è occupata da Draghi. Finora la presidenza della Bce non è mai andata a un tedesco, proprio per evitare che il paese economicamente e politicamente più forte avesse in mano anche la leva della banca centrale. Una regola non scritta, che però è diventata obsoleta nel nuovo ordine europeo, dove chi comanda non intende più nascondersi.

Così a Berlino hanno rotto gli indugi e dato il via alla sfida finale, quella che stabilirà i rapporti di forza per i decenni a seguire. La cancelliera ha deciso che l'Europa dovrà essere una sorta di protettorato tedesco, pronto a occupare parte dello spazio lasciato libero dalla scelta isolazionista di Donald Trump e a svolgere un ruolo molto più importante nello scenario mondiale. Se necessario, anche opponendosi a Stati Uniti e Russia. La nomina di Weidmann è un pezzo essenziale del mosaico e le probabilità che vada in porto sono alte. Olanda, Francia e Italia, i tre paesi dell'euro con la più solida tradizione bancaria, hanno già visto un proprio uomo ai vertici dell' Eurotower, e dunque sono fuori gioco; la Spagna a questo giro pare accontentarsi della vicepresidenza e i paesi del Nord Europa fanno già blocco con la Germania.

Per l'Italia è iniziato così il conto alla rovescia. I messaggi che il presidente della Bundesbank e attuale numero due della Bce ha inviato in questi anni non lasciano spazio alle illusioni. Weidmann ha detto che le aspettative di chi aveva scommesso sul proseguimento degli sforzi di risanamento dell' Italia dopo l' entrata nell' euro sono «andate deluse», che il nostro paese ha violato il patto di stabilità più volte di quante lo abbia osservato; in aperta polemica con Draghi ha sempre sostenuto che il quantitative easing (il programma di acquisto dei titoli degli Stati di Eurolandia messi sotto pressione dai mercati) è inutile e sbagliato, e ha bocciato come «ultraespansiva» la politica monetaria della Bce, invocando la sua «normalizzazione». Sarebbe sbagliato, però, ridurlo a un semplice "falco": Weidmann è la prosecuzione della Merkel sotto altre forme.

Ha lavorato per lei, come consigliere economico, per cinque anni, e quando nel 2011 la cancelliera forzò la mano per imporlo - lui, il suo protetto - alla guida della Bundesbank, facendo carne di porco dell' autonomia della banca centrale tedesca, il settimanale Der Spiegel lo dipinse come un individuo «pragmatico e flessibile»: «Sia che stesse trattando per il governo l' acquisto di una parte della quota della Daimler nella società aeronautica Eads, sia che stesse preparando i sussidi per salvare la casa automobilistica Opel, Weidmann ha sempre dimostrato di essere un leale, efficiente e silenzioso servitore della cancelliera». Anche da banchiere, ha offerto la sua rigidità in esclusiva all' Italia e a pochi altri paesi, comportandosi in modo molto più "politico" nei confronti delle banche tedesche, che in pancia hanno derivati e altri titoli su cui il suo istituto non ha mai fatto davvero luce.

I due la pensano all'unisono su tutto, inclusa la «opportunità» rappresentata dall'arrivo in Europa di centinaia di migliaia di immigrati: per Weidmann «la Germania ha bisogno di ulteriore forza lavoro per potere garantire il mantenimento del proprio benessere», ed è la stessa cosa che sostiene la sua dante causa. L'altro suo sponsor per la poltrona di capo della Bce è Wolfgang Schäuble, il potente ministro delle Finanze. Luterano, leader della Cdu (la Democrazia cristiana tedesca) prima della Merkel, Schäuble nei giorni scorsi ha detto che «il crescente numero di immigrati musulmani non rappresenta una minaccia, ma un'opportunità di apprendimento per i cristiani e tutti coloro che vivono in Germania». È il secondo pilastro su cui a Berlino vogliono costruire l'Europa di domani: conti pubblici rigidi e confini flessibili, anzi spalancati, per la gioia delle imprese manifatturiere tedesche, sempre a caccia di manodopera a basso costo.

NESSUNO SE LI FILA Aboliamo il voto all'estero: chi sono e quanto costano senatori e deputati / Foto

NESSUNO SE LI FILA Aboliamo il voto degli italiani all'estero: chi sono e quanto ci costano i senatori e i deputati


di Tommaso Montesano

Laura Garavini (PD)



Fabio Porta (PD)
E dire che di materiale, negli ultimi tempi, ce n'è a sufficienza. Dall'offensiva jihadista in Europa, con l'attentato alla Manchester Arena, all'attivismo di Donald Trump in Medio Oriente (prima l'attacco alla Siria, poi la missione in Arabia Saudita), passando per le tensioni nel Mediterraneo alle prese con la stabilizzazione della Libia e i venti di guerra in Corea del Nord. Eppure a nessuno, a Palazzo Chigi, in Parlamento, tra gli addetti ai lavori, è passato per la testa di chiedere lumi, ad esempio, al senatore Francesco Giacobbe, eletto con 6.978 preferenze nella ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide, oppure alla deputata Francesca La Marca, sbarcata nell'Aula di Montecitorio dopo aver incassato 8.472 voti nella circoscrizione America settentrionale e centrale. Così come, mentre l'agenda di politica estera irrompeva nel dibattito politico italiano, non si è alzata la voce di Renato Turano, senatore del Pd emigrato negli Stati Uniti con la famiglia dal 1950, e neppure quella di Marco Fedi, il programmatore elettronico marchigiano giunto ormai alla terza legislatura proveniente dall'Australia.

JPO COP AIX-MARSEILLE

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Angela Nissoli
(Centro Democratico)
Come sono lontani i tempi di Luigi Pallaro, el senador argentino che dal 2006 al 2008 tenne in scacco la fragile maggioranza del centrosinistra di Romano Prodi con il suo voto. Dall'inizio della legislatura i parlamentari eletti nelle varie circoscrizioni estere - sei senatori; dodici deputati - al netto delle presenze in Aula sono finiti nel dimenticatoio. Eppure costano alle casse pubbliche, tra stipendi e indennità, oltre quattro milioni di euro all'anno. Uscite alle quali vanno aggiunte le spese per i trasporti aerei per i parlamentari eletti nella circoscrizione estero: 660mila euro, solo nel 2016, per i deputati. Quanto ai senatori, è disponibile solo il dato generale: 7,6 milioni di euro per i «Servizi di mobilità, trasporto e spedizione» di tutti i 319 inquilini di Palazzo Madama. Il deputato eletto all'estero più presente in Aula - i dati si riferiscono al mese di aprile - è la democratica Laura Garavini: a Montecitorio, certifica l'associazione Openpolis, ha partecipato ad oltre l'87% delle votazioni elettroniche. Residente in Germania da 25 anni, Garavini ha in tasca la doppia tessera: a quella del Pd unisce quella della Spd tedesca, il partito socialdemocratico per il quale, nel 2013, è stata componente del "governo ombra" in occasione delle elezioni regionali in Assia.



Renata Buwno
(Camera USEI)
Quello con il più alto tasso di assenze, invece, è Ricardo Merlo, l'argentino arrivato al terzo mandato: sempre Openpolis rivela che alla Camera si è visto solo l'11% delle volte in cui l'Aula ha votato. Il resto del tempo, oltre l'80%, lo ha passato in missione. Nessuno ha viaggiato quanto lui a Montecitorio: basti pensare che il valore medio delle missioni dei deputati si attesta al 12%. Merlo nel 2017 ha fondato il Movimento associativo italiani all'estero (Maie), dopo aver promosso una scissione dalle Associazioni italiane in Sudamerica, nate nel 2006. Sigle che hanno sempre appoggiato la coalizione uscita vincitrice dalle urne. Tranne in un caso: quando a vincere fu Silvio Berlusconi. Il curriculum legislativo di Merlo non è da buttar via: come primo firmatario, ha presentato 17 proposte di legge. Ma 16 non hanno ancora iniziato l'esame. Tra queste, le «Disposizioni per il controllo della genuinità delle acque minerali» e l'istituzione di «un assegno di solidarietà in favore di cittadini italiani residenti all'estero in condizioni socio-economiche disagiate». Una sorta di reddito di cittadinanza per gli italiani oltre confine.



Renato Turano (PD)
Quanto a proposte di legge presentate, il più attivo è Mario Borghese, il deputato classe 1981 eletto per la prima volta nella ripartizione America meridionale con 14.300 preferenze: sono 21 gli articolati depositati alla Camera come primo firmatario. Viceversa quello che ne ha presentati di meno, appena tre, è Guglielmo Picchi, eletto per la terza volta - con l'allora PdL, adesso siede tra i banchi della Lega - con oltre 20mila preferenze. Dall'inizio della legislatura, Picchi ha partorito un disegno di legge per abolire l'Ordine dei giornalisti; uno per la «promozione, il sostegno e la valorizzazione delle associazioni e delle manifestazioni di rievocazione storica»; il terzo per la modifica al Codice della proprietà industriale. Appena meglio di Picchi ha fatto Francesca La Marca: quattro proposte di legge portano in calce la sua firma. Due testi si occupano dello stesso argomento, il «riacquisto della cittadinanza da parte delle donne che l'hanno perduta a seguito del matrimonio con uno straniero» (poi approvato in testo unificato nel 2015); gli altri chiedono l'istituzione della «Giornata nazionale degli italiani nel mondo» e «la gratuità delle prestazioni ospedaliere urgenti in favore dei cittadini residenti all'estero, temporaneamente presenti in Italia».



Alessio Tacconi (M5S)
Tra i sei senatori eletti nelle varie circoscrizioni estere, quattro di certo non hanno lasciato, almeno per adesso, ricordi indelebili tra i colleghi. Francesco Giacobbe, per esempio, in oltre quattro anni di legislatura ha presentato, come primo firmatario, appena un disegno di legge. Per modificare le «norme sulla cittadinanza», riconoscendola «ai figli di stranieri regolarmente soggiornanti nati in Italia». Lo stesso ha fatto il suo collega, pure lui del Pd, Renato Guerino Turano. L'imprenditore residente a Chicago si è fatto notare, in questa legislatura, per una proposta che «disciplina per l'elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati». Obiettivo: il superamento delle «liste bloccate», l'introduzione del voto di preferenza e il divieto di candidature plurime. Banale: la legge elettorale non è forse la specialità degli azzeccagarbugli nostrani?



Gianni Farina (PD)
Appena migliore il bilancio di Claudio Zin e Claudio Micheloni. Dal 2013 ad oggi il primo, medico nato a Bolzano, ma residente a Buenos Aires, ha depositato due disegni di legge. Entrambi dedicati al tema della cittadinanza. Quanto a Micheloni, tecnico edile residente in Svizzera, i provvedimenti sono quattro, tra cui spicca quello per modificare l'articolo 38 della Costituzione «in materia di pensioni di vecchiaia». Sette righe per stabilire che «ogni cittadino, raggiunti i limiti anagrafici minimi per il trattamento pensionistico, e sprovvisto dei mezzi necessari alle esigenze di vita, ha diritto ad un trattamento pensionistico». Fa decisamente gara a sé Aldo Di Biagio, forte dei 29 testi presentati che ne fanno uno dei senatori più produttivi. Ma il romano Di Biagio, residente a Zagabria ed eletto a Palazzo Madama con Scelta civica, è alla sua seconda legislatura: in quella precedente è stato deputato, sempre in quota estero, per Futuro e Libertà, il partito di Gianfranco Fini. E nel suo curriculum, dal 2001 al 2005, c'è anche l'incarico di Capo ufficio relazioni internazionali dell' allora ministro delle Politiche agricole, Gianni Alemanno. Insomma, Di Biagio mastica pane e politica, romana, da oltre 15 anni.

Ha vinto il bastardo di Budrio Stato sconfitto, brutta voce: perché non lo troveremo mai

Igor il Russo, l'ultima beffa del fuggitivo di Budrio



Quasi due mesi. Dopodomani saranno sessanta giorni dall'omicidio di Budrio compiuto da Igor Vaclavic, detto il russo, ai danni del barista Davide Fabbri. Tocca constatare, come ricostruisce Il Giornale, che ha vinto lui. Nonostante di due mesi di caccia all'uomo, la più costosa e massiccia tra quelle mai fatte in Italia, Igor è sparito. Puff. Non si trovare. 

Alla caserma dei carabinieri di Molinella dicono: "Il dispositivo operativo è lo stesso di un mese fa, nessuna riduzione. I giornalisti, molto presenti nei primi giorni di aprile, adesso non ci sono. L'attenzione mediatica è crollata. 

La “Cittadella della Pace”

A La Spezia, seguendo le parole di Papa Francesco, è nato un rifugio per chi fugge dalla guerra.



Se all'inizio tutto il paese era un posto di blocco unico, oggi i controlli sono radi.  Ieri, in tutta la vasta solo due posti di blocco: uno a Campotto, al ponte sul Reno, uno a Traghetto, verso il paese che le voci danno come ultimo avvistamento, Ospital Monacale.

Le speranze stanno svanendo. Ha smesso di crederci anche al bar Riccardina di Budrio c' è il bar dove il 1° aprile il serbo fece la sua prima vittima. Ci sono gli striscioni "Giustizia per Davide", "Davide un eroe", quello sì. Si sfoga la vedova di Fabbri: "È uno schifo, si devono vergognare. Lo Stato ci ha abbandonato. Questa caccia è una farsa. Per una settimana dopo la morte di Davide non si sono mossi, e anche quando hanno iniziato, poi cosa hanno fatto per davvero? Niente".

"Se avessero voluto davvero prenderlo", spiega la donna, affranta, "l'unica soluzione era mettere una taglia: e i suoi amici se lo sarebbero venduto subito. Invece i politici sono venuti qui in parata, hanno fatto il loro teatrino. Si devono vergognare tutti. E prima di loro i giudici che lo hanno liberato e gli hanno permesso di restare qui. Igor lo disse chiaramente a un suo amico: Resto in Italia perché qua tutto è permesso".