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martedì 14 marzo 2017

Massacrato a calci dagli immigrati Tragedia a "Striscia la Notizia" Altro che auto in doppia fila

L'inviato Abete aggredito e preso a calci da un gruppo di immigrati: ricoverato


Caserta, Luca Abete
picchiato a Piazza Pitesti: finisce all'ospedale

Luca Abete, inviato di Striscia la Notizia, è stato aggredito da un gruppo di ambulanti abusivi mentre si trovava in Piazza Pitesti a Caserta con i suoi operatori. Nella notte tra domenica e lunedì, si è presentato all’interno del mercato casertano per porre alcune domande ai venditori ambulanti che circondavano la piazza. Purtroppo, gli ambulanti non hanno apprezzato e sono piuttosto rimasti infastiditi dalla presenza delle telecamere di Striscia: si sono avvicinati con aria minacciosa alla troupe distruggendo a bastonate la telecamera e intimando allo stesso Luca Abete di allontanarsi dalla zona.

L’inviato, grazie ad alcuni presenti, è riuscito a rifugiarsi in un bar, ma non è bastato perché gli ambulanti l’hanno raggiunto e l’hanno preso a calci, facendolo cadere per terra. Gli aggressori sono scappati solo grazie all’intervento delle forze dell’ordine che, dopo aver fatto alcuni controlli, hanno scortato l’ambulanza al pronto soccorso più vicino, dove sono stati eseguiti i vari accertamenti per verificare eventuali lesioni: dalle prime analisi, Abete ha riportato varie contusioni a causa delle percosse subite, ma nessuna frattura.

A comunicare quanto è successo, è stato lo stesso inviato di Striscia che, dopo essere stato dimesso, ha postato un messaggio sul suo profilo Facebook, ringraziando le persone che sono intervenute salvando la vita ai lui e ai suoi operatori. Le riprese erano collegate a un servizio precedente, andato in onda lo scorso dicembre, che mostrava la piazza di Caserta totalmente invasa dai migranti abusivi intenti a vendere merce contraffatta.

Insomma, Caserta presenta parecchi problemi, altro che populismo e auto in doppia fila. 

Passano tutta la vita dentro la loro stanza Il dramma segreto dei ragazzini geni

Hikikomori, chi sono e cosa fanno i giovani geni chiusi in casa


di Alvise Losi



Non c'è una parola italiana per dirlo. E per spiegarlo servirebbe una frase intera: persona, spesso giovane, che decide di autoescludersi dalla società per vivere reclusa nella propria stanza per mesi, anni o anche tutta la vita. Un po' lungo. Per questo ci si riferisce a questi adolescenti come hikikomori, che in giapponese significa appunto «isolarsi». In Giappone gli hikikomori sono almeno mezzo milione e i primi casi sono noti dagli anni Ottanta e si parla già di seconda generazione, perché la prima è composta da adulti ormai di 40 o 50 anni.

In Italia invece è un fenomeno relativamente recente e, soprattutto, ben poco conosciuto persino dagli psicologi e dagli addetti ai lavori. Anche se in base alle stime degli addetti ai lavori i casi potrebbero essere tra i 30mila e i 50mila. Spesso gli hikikomori passano molto tempo online sul computer e per questo la loro patologia può essere scambiata come una dipendenza, da Internet nel caso specifico. O ancora l' idea di reclusione può essere associata a una forma di depressione. Ma non sono né depressi né dipendenti, perché togliendo loro Internet o il computer hanno una reazione negativa ma poi iniziano a fare altro. Sempre nella loro stanza.

LE CAUSE
Non esiste un identikit dell' hikikomori. Ogni persona ha la sua storia ed essendo un fenomeno che dipende molto dalla cultura del proprio Paese, i casi possono essere diversi. Anche se alcuni punti in comune ci sono: oltre all' isolamento, spesso uno dei primi sintomi sono le assenze da scuola. Non di nascosto e all'insaputa dai genitori, ma per un rifiuto dichiarato. In Giappone, dove è stato effettuato un censimento e il fenomeno è studiato da anni, i dati parlano di una prevalenza nei maschi rispetto alle donne, con un rapporto di nove a uno. Inoltre nella maggior parte dei casi si tratta di figli unici o primogeniti investiti di grandi responsabilità e aspettative da parte della famiglia, che spesso è di un livello sociale alto. Ma è anche vero che la società giapponese è molto meno individualista di quella occidentale e lì il peso di dover avere un determinato ruolo nella collettività può essere più difficile da sostenere», spiega Marco Crepaldi, psicologo sociale che ha studiato il fenomeno e ha fondato il blog Hikikomori Italia (www.hikikomoriitalia.it) per supportare i ragazzi e le loro famiglie. «In Italia molte storie sono accomunate da episodi di bullismo, che probabilmente da noi è una delle cause principali di questo fenomeno. I ragazzi non riescono ad affrontare il peso della scuola e magari la portano a termine con grandi fatiche e quando arriva il momento di inserirsi con atteggiamento proattivo nella società si spengono e non riescono più a fare nulla».

L' ESCLUSIONE
Uno dei problemi principali è la scarsa conoscenza che si ha del fenomeno in Italia, persino tra gli addetti ai lavori. «Molto spesso quando si va a parlare nelle scuole si scopre che ci sono degli hikikomori che non sapevano nemmeno di esserlo e magari semplicemente pensavano si trattasse di qualcosa che avevano solo loro», continua Crepaldi. «Ci sono tante sfumature di hikikomori, non si tratta di una patologia e non è possibile etichettarlo.

È una tendenza, più o meno marcata, all'isolamento. Un impulso a non voler far parte della società. E può essere in fase avanzata o iniziale, ma non va considerata una categoria chiusa solo per chi ha un problema molto grave. Anzi, prima viene capita più è possibile agire. Ho creato una chat a partire dal mio blog (www.hikikomoriitalia.it) dove i ragazzi parlano tra di loro e si sentono inclusi. Ci sono anche alcuni che mi hanno contattato e raccontato la loro storia e ne sono usciti e vogliono aiutare gli altri. Per i ragazzi è più importante trovare il modo di sentirsi meno soli, mentre i genitori hanno l'esigenza di trovare una soluzione».

COME INTERVENIRE
Non esistono percorsi certi e sicuramente efficaci per fare in modo che un hikikomori esca dal suo isolamento: ognuno fa storia a sé. Ma in Giappone hanno capito che è più efficace un' azione territoriale di sensibilizzazione su ragazzi, famiglie e comunità che interventi sui giovani che si isolano. «Non esiste una bacchetta magica», conferma Crepaldi. «Non basta una seduta psicologica a settimana o spostarsi dove ci sono enti che si occupano del fenomeno, come a Milano o a Roma, con costi economici e sociali molto alti e spesso anche inutili. L'obiettivo dovrebbe essere fornire interventi in ogni territorio, come a Cuneo dove è stato attivato un programma a livello comunale. Anche perché, nonostante manchino dati precisi, la diffusione è nazionale e non riguarda solo le grandi città dove magari può essere più difficile integrarsi nei meccanismi di una società sempre più competitiva.

Gli americani sapevano già tutto Renzi, ora spunta il dossier segreto

Gli americani sapevano già tutto. Renzi, ora spunta il dossier segreto



"Molti osservatori nel Nord suggeriscono che una delle più grandi sfide per Renzi saranno le divisioni all'interno del suo stesso partito politico". E' il giudizio premonitore che il consolato di Milano degli Stati Uniti invia al Dipartimento di Stato esattamente tre anni fa: il 20 febbraio 2014, alla vigilia dell'insediamento del nuovo esecutivo guidato dall'ex sindaco di Firenze. 

Il dossier - In quella fase i diplomatici americani stanno cercando di capire cosa sta accadendo in Italia - siamo alla fine del governo Letta - e cosa potrà succedere. Il consolato di Milano spiega quindi a Washington la situazione. Ecco il rapporto, svelato dalla Stampa, che si intitola Matteo Renzi's Ascent: Views from Northern Italy: "Con Matteo Renzi che si prepara ad annunciare a breve il suo gabinetto - si legge nel sommario - i nostri contatti nell'Italia settentrionale restano generalmente disposti a sostenerlo. Tuttavia ammettono l'esistenza di incertezze riguardo il suo programma, e l'ambiziosa agenda di riforme che ha annunciato. Molti osservatori nel nord suggeriscono che una delle più grandi sfide per Renzi saranno le divisioni all'interno del suo stesso partito politico".

Scarse possibilità - Un altro capitolo comincia con un interrogativo, Does He Have What It Takes?. Ovvero: ha le qualità necessarie a farcela? La risposta è incoraggiante solo in parte: "I contatti del Consolato ci hanno detto che sperano nel successo di Matteo Renzi, con la sua agenda per riformare l'Italia come nuovo primo ministro", "allo stesso tempo, molti credono che la maggioranza risicata di cui gode Renzi, gli interessi politici ed economici italiani profondamente trincerati, e la stessa inesperienza del capo del governo a livello nazionale, rendono scarse le sue possibilità di successo".

Interessi americani - Gli americani sono interessati a Renzi nella misura in cui toccano i loro interessi. Si legge in un successivo rapporto mandato dall'ambasciata al segretario di Stato Kerry: "Dopo otto trimestri consecutivi di declino - la più lunga recessione dalla Seconda Guerra Mondiale - la crescita economica italiana si è appiattita alla fine del 2013. La risalita dagli otto punti di percentuale persi durante quei due anni sarà lenta. Il settore delle esportazioni relativamente in salute potrebbe favorire un po' di ripresa, ma quest' anno non ci si aspetta più di una espansione dello 0,7%. Il tasso di disoccupazione ufficiale del 12,6% continuerà probabilmente a crescere nel 2015, e potrebbe non tornare ai livelli pre crisi per almeno un decennio".

LA VENDETTA ISLAMICA Chi è l'uomo che vuole morti i poliziotti-eroi di Sesto / Foto

Vendetta islamica: il tunisino sulle tracce dei due poliziotti eroi di Sesto



Un tunisino amico del terrorista di Berlino Anis Amri era sulle tracce di Luca Scatà e Cristian Movio, i due poliziotti che prima di Natale hanno prima fermato e poi ucciso in uno scontro a fuoco il jihadista a Sesto San Giovanni. Secondo quanto riporta il Messaggero Hisham Alhaabi, 37 anni, residente in Italia dal 2011 con regolare permesso di soggiorno, è stato espulso proprio per il sospetto che potesse vendicarsi dei due poliziotti-eroi. La sua era una vera e propria ossessione. Cercava notizie sui due agenti su Internet, con la concreta ipotesi di minacce o peggio. Alhaabi viene descritto dagli inquirenti come un "personaggio solitario", bracciante in un'azienda agricola di Borgo Podgora per 5mila euro l'anno. È legato ad Amri in quanto risiede in un casale di proprietà delle due sorelle di Campoverde una delle quali è compagna di Yacoubi Montasar, che a sua volta ha ospitato il terrorista tra 2015 e 2016. Non è un caso che il numero di Amri nel cellulare di Alhaabi sia quello più contattato. Islamico radicale, si era contrapposto ad Arafa Rekhia Nesserlbaz, imam moderato di Latina. ed è considerato l'elemento centrale della "cellula jihadista" che gravitava tra Roma e Latina, con cui Amri era in contatto.

Il ristoratore di Lodi ora è nei guai: perché il vicino di casa lo ha tradito

Sparatoria di Lodi, un testimone confessa: "Ho sentito due colpi". E il fratello della vittima perdona Cattaneo



Si complica la posizione di Mario Cattaneo, il ristoratore di Lodi accusato di omicidio volontario per aver sparato a un ladro che si era introdotto insieme a dei complici nel suo locale. Il procuratore capo di Lodi, Domenico Chiaro, ha rivelato l'esistenza di un altro testimone, vicino di Cattaneo, che ha dichiarato di aver sentito due colpi di fucile. Un colpo d'arma da fuoco in più rispetto alla versione del ristoratore, che ha affermato di essersi difeso dal romeno che lo ha aggredito. A questo dubbio si somma, come rivelato dal Corriere, il fatto che sia stato impossibile verificare al momento se la doppietta avesse sparato una o più volte, dal momento che l'arma è stata consegnata ai carabinieri molte ore dopo la sparatoria.

Nel frattempo - ai microfoni della Rai - il fratello del romeno ucciso, Nicolae Victor si è espresso sulla vicenda: "Io e la mia famiglia perdoniamo Mario Cattaneo davanti a Dio: non vogliamo vendetta ma solo giustizia". L'incontro è avvenuto fuori dall'istituto di medicina legale di Pavia, dove Nicolae si è recato per assistere all'autopsia del fratello. Stando a quanto rivelato, avrebbe ricevuto una telefonata il mattino seguente all'omicidio del fratello, in cui uno dei complici lo avrebbe avvisato sull'accaduto.


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Dal poliziotto, un'accusa terrificante: "Cosa ha voluto il sindaco De Magistris"

Scontri a Napoli, il poliziotto accusa: "Colpa di De Magistris, ci ha abbandonato"



Mantengono l'anonimato. Ma sono furiosi. Si parla dei poliziotti che, a Napoli, hanno dovuto fronteggiare teppisti e black bloc i quali, "benedetti" dal sindaco Luigi De Magistris, hanno esercitato tutta la loro violenza pur di non far parlare Matteo Salvini. "A pagare siamo sempre noi. Sempre noi. Sabato a Fuorigrotta abbiamo subito di tutto. Insulti, sputi, aggressioni: ci hanno lanciato sassi, spranghe di ferro, bombe carta, bottiglie - raccontano a Il Mattino -. In piazza due giorni fa c'erano sempre loro: i professionisti della guerriglia". Così gli agenti del IV Reparto mobile di Napoli.

Dunque, l'accusa si fa circostanziata. A puntare il dito ci pensa un ispettore che ha alle spalle 20 anni di ordine pubblico. "Nessun lamento. Siamo abituati ai sacrifici. A noi viene chiesto ogni giorno di tutto e di più. Sia chiaro: io non ce l'ho con l'amministrazione ma con i politici. La politica fa finta di non vedere". Ogni riferimento non è puramente casuale. E ancora: "I parlamentari si vadano a guardare i turni che siamo costretti a fare. Sabato alla Mostra d'Oltremare era schierato in completo tutto il Reparto; e molti di noi, ieri mattina, dopo appena sette ore di riposo, sono tornati in servizio allo stadio per la partita del Napoli con il Crotone".

Quindi Aldo e Bruno, due poliziotti che hanno meno di 30 anni. E che sono furibondi. "Quello che è successo è gravissimo. E però ciascuno si assuma le proprie responsabilità: a cominciare dal sindaco di Napoli, che volente o nolente ha avuto un ruolo fondamentale fomentando la piazza". Accuse durissime, dunque, da napoletano a napoletano, dagli agenti a Luigi De Magistris. Il sindaco, continuano "ha dimenticato, peraltro, che noi siamo gli stessi che ogni mattina siamo in servizio a palazzo San Giacomo per preservare e tutelare la sicurezza sua e dell'amministrazione comunale".


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Taxi, impossibile l'accordo con Uber: occhio, la data del nuovo sciopero

Ennesimo sciopero dei taxi proclamato per il 23 marzo



Proclamato dal "parlamentino dei tassisti" un altro sciopero: il 23 marzo dalle 8 alle 22. L'annuncio è arrivato nel giorno in cui è arrivato un secco "no" da parte delle sigle sindacali dei tassisti alla proposta di un incontro chiarificatore da parte di Uber. La Repubblica riporta le parole di Carlo Tursi, general manager di Uber Italia: "Credo sia giusto tentare la via del dialogo aprendo una porta a un confronto civile e onesto. Vi invito a discutere di proposte concrete che possano vederci collaborare da qui in avanti. Troppo tempo è stato speso su un confronto che non guarda al futuro ma solo al passato, penalizzando anche i consumatori che di questo non hanno colpe. Noi vogliamo guardare al futuro e vorremmo farlo anche con voi".

Immediata la replica di Federtaxi, affidata alla voce del portavoce nazionale Federico Rolando: "Solo un imberbe cadrebbe ancora in questi giochetti comunicativi".

In merito allo sciopero si è espressa anche l'Unione Nazionale Consumatori, nella figura del presidente Massimo Dona. "I tassisti sono liberi di scioperare nel rispetto della legge, ossia rispettando i 10 giorni di preavviso. Sciopero legale, quindi, ma incomprensibile. Ci sfuggono le ragioni della protesta, visto che i tassisti sono stati ricevuti al ministero, a differenza di chi come noi rappresenta gli utenti".

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