INCHIESTA CONSIP Il Prof. Dott. Marco Plutino ai nostri microfoni
di Gaetano Daniele
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Prof. Dott. Marco Plutino Docente in Diritto Costituzionale Università di Cassino |
Professore, l’inchiesta Consip apre un ennesimo squarcio sul malaffare.
Calma. L’inchiesta Consip si presenta come una indagine molto seria, con un impianto investigativo ben fondato e anche già con alcuni riscontri nella direttrice impresa-burocrazia. E’ anche praticamente accertata la violazione del segreto istruttorio avvenuta con la diffusione della notizia dell'indagine in corso e con la conseguente informazione circa la presenza di microspie per le intercettazioni ambientali e alle intercettazioni telefoniche, ma allo stato non ne conosciamo i responsabili. Esiste invece l’ammissione di un alto dirigente Consip di aver intascato una tangente di 100.000 euro per intervenire su una grossa gara pubblica. Mi consenta di notare che un malaffare emergente è di ritrovare ancora una volta su tutti i giornali i brogliacci delle intercettazioni e gli atti dell'inchiesta. Non possono che essere usciti dalle procure, per opera di qualcuno dei soggetti che a vario titolo vi lavora (magistrati, polizia giudiziari, personale amministrativo). E’ profondamente avvilente registrare che nessuno ha mai risposto per queste sistematiche fughe di notizie, spesso parziali e perciò oggettivamente orientate. Si tratta di veri e propri reati che hanno due conseguenze pesanti: possono pregiudicare le indagini, e ledono l’immagine di coloro che sono a vario titolo coinvolti nell’inchiesta. Una condanna anticipata davanti al tribunale dell’opinione pubblica, che spesso non trova riscontro nelle sentenze. Una inciviltà che va rimossa, anche con interventi legislativi. Cio doverosamente premesso, se vuole entriamo nel merito dell’inchiesta.
Ancora una volta una indagine dove emerge l'intreccio imprenditoria, servizi pubblici e politica.
Durante la guerra fredda l’Italia era un paese quasi socialista, di frontiera a tutti gli effetti, oltre le apparenze. Tutta la sua economia, anche quella privata, era pesantemente orientata e diretta dalla politica. Il quadro normativo oggi è profondamente cambiato ma la cultura impiega molto ad adeguarsi. La Consip, come agenzia che presiede alla centralizzazione degli acquisti della p.a., di per sé potrebbe anche essere un buon sistema e dare buoni risultati in termini di efficienza, esistono anche evidenze di riduzioni consistenti di spesa, come per il ministero della Giustizia, ma qui il punto è un altro. Personalmente ho un approccio tendenzialmente liberale, ma va realisticamente preso atto che non c’è grande differenza tra una centralizzazione degli acquisti tutta gestita direttamente dalla pubblica amministrazione e, come nel caso, una centralizzazione dove il pubblico si riserva il ruolo di regolatore e di controllore e per il resto affidata alle offerte di privati ad esito di gare. Il problema è l'intermediazione, il corteggiamento da parte delle imprese nei confronti dei decisori pubblici. Che di regola sono i burocrati. Però attenzione. I filoni di queste inchieste, ne abbiamo viste tante, sono sempre due e paralleli. Quello della direttrice impresa-burocrazia e quello della direttrice impresa-politica. Eppure nel contesto normativo attuale quasi tutta l'alta burocrazia è frutto dello spoil sisyem, quindi risponde alla politica, si intende entro gli obiettivi e al netto della legalità e della corretta gestione. Eppure a livello nazionale, forse a differenze che negli enti locali, gli imprenditori continuano a cercare con insistenza canali politici. E’ un nodo molto delicato che richiama un’altra precisa omissione legislativa.
Quale?
L’assenza di una legge di disciplina del lobbismo e in generale delle relazioni istituzionali tra politica ed economia. Di per sé non c'è nulla di strano che un imprenditore si presenti ad un politico palesando un interesse ad investire, o che attenda un ritorno per un finanziamento alla politica. Dipende dai casi, che possono essere molti diversi, ma il fattore dirimente è sempre e solo uno, la trasparenza dei rapporti. Non verrà mai troppo tardi una legge che fissi una regola chiara: gli imprenditori si incontrano nei palazzi istituzionali con regolare registrazione e oggetto dell’incontro, naturalmente lecito. E mi lasci anche notare che in tema di finanziamento ai partiti si è accantonato il finanziamento pubblico diretto senza una adeguata riflessione e la disciplina delle donazioni appare carente e assurdamente garantisce l'anonimato del donatore.
Immagino che di questo aspetto ne riparleremo. Intanto: il ministro Lotti dovrebbe dimettersi?
Personalmente ritengo che l’atteggiamento da tenere debba essere quello improntato al garantismo verso gli indagati ma al contempo senza alcun automatismo. Mi convince l'approccio pragmatico sinora tenuto dal Pd nei casi Cancellieri, Idem, Guidi, eccetera. Non necessariamente mi convince la soluzione dei singoli casi, ma credo che la politica debba assumersi la responsabilità di decidere alla luce delle carte disponibili, anche prima delle sentenze definitive e noto che non necessariamente una assoluzione implica una condotta politicamente impeccabile. Anche da questo punto di vista è importante che le carte escano tutte fuori e al momento giusto. Credo che i partiti dovrebbero dotarsi di organi interni deputati ad istruire le scelte, che poi devono assumere i gruppi dirigenti nella loro responsabilità. E’ una mia idea, forse un po’ stravagante allo stato dell’arte dei partiti. Vuole sapere di Lotti, quindi. Lo sfondo complessivo della vincenda appare ancora confuso, le accuse isolate e senza riscontri. La politica non può essere succube della prima accusa che capita. Lo status di indagato è un atto dovuto. Per me dovrebbe restare al suo posto. Vedremo.
L’inchiesta Consip riguarda gare con importi giganteschi?
Certo, direi impressionanti. Quindi gare a rischio per definizione. Da un lato chiediamo che la fornitura di certi servizi non sia spezzettata per esigenze di efficienza ed economicità (tipo gli appalti Global Service degli enti locali), dall’altro si mettono in piedi gare ed appalti “monstre” che ovviamente sono molto appetibili, sia in una ottica lecita che illecita. La sensazione forte è che in tal modo una classe di formali imprenditori sia ormai solo specializzata a costruire progetti impeccabili, partecipare a bandi, in una ottica già più discutibile a costruire relazioni e acquisire informazioni. Di “industriale” non c’è quasi nulla. L’abbiamo visto anche con i grandi appalti in campo ambientale o delle opere pubbliche. Alla fine l’imprenditore o il grande gruppo prende la commessa, ma l'esecuzione si disperde in mille rivoli. E’ un sistema che ha una sua logica, ma anche una sua fragilità. Ogni sistema ha i suoi limiti.
Nel contesto che lei descrive, personaggi come Buzzi o Romeo sono dei fenomeni.
Lei forse ironizza, ma lo sa quello che mi stupisce dagli spaccati di queste inchieste? Che ci saranno forse anche profili corruttivi (vedremo, in alcuni casi sono stati accertati, in altri no), ma che si tratta di personaggi tutt’altro che banali. In un certo senso sembrano sprecati. E’ la stessa sensazione che ho avuto ascoltando in radio udienze processuali ove veniva interrogato Odevaine. Uno che, come quel personaggio cinematografico, risolveva problemi un una situazione emergenziale, ma davvero. Poi magari c'è dell'altro. Ma spesso si tratta di soggetti con notevoli capacità organizzative e operative. Il problema è che in un sistema con scarsa etica pubblica ed elevatissima complessità normativa fa capolino l'intermediazione e la tentazione di barare può venire più facilmente. Controlli interni ed early warning sarebbero meglio delle inchieste.
Nell’inchiesta sono coinvolti due napoletani.
Già, pensavo fossero tre. Un cognome mi ha ingannato, ho appreso che la persona in questione è toscana.
Infatti. Partiamo da Alfredo Romeo.
Ne conosco il nome da decenni, ben prima dell'inchiesta Global Service napoletana di alcuni anni fa.
Come mai?
Romeo si fa da sé, nasce, se non ricordo male, piccolo immobiliarista di provincia. E’ comunista, vicino alla corrente migliorista. Per ragioni anagrafiche non vengo da lì, ma i riformisti ex Pci per me sono sempre stati un riferimento. Anni dopo incrociai il suo nome da consigliere di amministrazione della Fondazione Mezzogiorno Europa. Era fine anni 2000, una società di Romeo finanziò la Fondazione, qualche giornale provò a speculare qualche anno dopo quando Romeo finì indagato. CI fu anche una puntata di Report sulle fondazioni politiche. Un finanziamento legittimo e trasparente, la Gabbanelli diede atto che, mentre altri nascondevano le carte sia ai prefetti che ai giornalisti, Mezzogiorno Europa praticava una trasparenza assoluta. E si dedicava solo e unicamente alla cultura politica.
Va bene, ma restiamo un attimo su Romeo.
Romeo cresce come imprenditore, diventa un nome nell’immobiliare. Sceglie un settore complicato, passando dall’immobiliare puro alla gestione dei patrimoni immobiliari pubblici e poi alle forniture e servizi. Mi chiedo perchè persone come lui, che hanno mezzi e indubbie capacità imprenditoriali, non scelgano settori più tranquilli.
Come considera la sua posizione?
Non semplice, emergono molte, diciamo così, disinvolture e forse anche qualche riscontro ma pure quello deve superare il vaglio processuale. In Italia in campo processuale di scontato c'è sempre poco, anche per la questione degli strumenti deflattivi e della prescrizione.
Veniamo ad Alfredo Mazzei, ascoltato nell’ambito dell’inchiesta senza essere indagato. Lei lo conosce.
Certo. Siamo grandi amici. La sinistra napoletana gli deve molto e con lui non è stata grata in passato e non lo è, ammesso che ci fosse, neanche oggi. Persona attentissima, generosa e sempre pronta ad ascoltare. Riferimento per tutti. Alfredo Mazzei nell’inchiesta è stato ascoltato come persona informata dei fatti, due anni fa. Mi pare che la sua posizione sia fuori dal focus dei magistrati.
Però ha rilasciato un'intervista che ha fatto scalpore.
Solo per chi la legge in modo superficiale, e oggi si fa così. Innanzitutto è giunta due anni dopo l’interrogatorio, nei quali ha mantenuto uno scrupoloso riserbo, tanto che anche io, per dire, non sapevo nulla della vicenda. Ha parlato alla stampa nelle ore in cui le intercettazioni erano ormai su tutti i tavoli dei giornali e prossime alla pubblicazione. Romeo arrestato nelle stesse ore. Credo un atto di difesa della propria onorabilità rispetto a ricostruzioni tendenziose. Che non sono mancate ugualmente.
Qualcuno ha dato anche una lettura politica della intervista. Incombe il congresso.
C'è un tempismo oggettivo, dipeso dalle fughe di notizie. Tenga conto che nonostante l’intervista alcune ricostruzioni hanno proseguito ad essere scorrette nei suoi riguardi. Definirlo imprenditore è falso e tendenzioso, essendo un commercialista che peraltro che non ha avuto come professionista alcun ruolo nella vicenda. Si è parlato poi di una busta chiusa datagli da Romeo per Renzi. Nessuna busta chiusa, la “missiva” era un foglietto, un appunto pieno di contumelie. Romeo lamentava ingratitudine, voleva essere riabilitato politicamente da Renzi dopo l’assoluzione a Napoli. Avendo letto l’appunto, Mazzei opportunamente non ha passato il foglietto a Palazzo Chigi, disfacendosene. Non ha fatto come Emiliano, insomma. Mattei è uomo di partito al tempo della latitanza dei partiti.
Ma ha parlato di Tiziano Renzi.
Ha parlato di Tiziano Renzi nel giorno in cui tutti i giornalisti ne parlavano a caratteri cubitali. Erano fatti vecchi. Alfredo Mazzei è stato ascoltato dai magistrati due anni prima: sei lunghe ore di interrogatorio entro una indagine durata mesi, se non anni, con intercettazioni telefoniche e ambientali di ogni tipo. In quella occasione ha dato conto di alcune intercettazioni, talune con frasi in dialetto di Romeo. Della presunta cena parla Romeo. Emerge da parte di Mazzei un pieno rispetto della legge e un modus agendi improntato alla difesa di Renzi rispetto a prospettive rischiose e, per lui, del decoro delle istituzioni. Ricapitoliamo quel che emerge da interviste e interrogatori: Mazzei non ha preso soldi nè ottenuto vantaggi di altro tipo; non ha mai lavorato con Romeo; ha messo in guardia Palazzo Chigi da incontri inopportuni (con Romeo, anche) alla luce degli elementi di cui disponeva e che che andava raccogliendo; ha fatto da tramite volentieri finchè ha potuto, poi si è defilato non appena ha compreso che si andava oltre la legittima richiesta di Romeo di riaccreditarsi presso ambienti di governo. Ripeto: è arrivato a sconsigliare incontri da parte di esponenti istituzionali con Romeo nonostante i finanziamenti passati di quest’ultimo. Credo che i magistrati abbiano appurato i fatti e ne abbiano giustificato la condotta. Alfredo Mazzei non è stato indagato, un atto in fondo semplice tanto più davanti a figure di reato evanescenti come il traffico di influenze, perché evidentemente non c’era ragione. Riprendendo quello che dicevo prima, la mia opinione è che si sia trattato di un lavoro politico, per quanto atipico. Ma del resto se un imprenditore o un uomo di cultura volesse interloquire, quale è il numero di telefono del Pd napoletano? E crede, per dire, che se Renzi va a Scampia senza che nessuno lo sappia al partito, questo poi sia un realistico tramite per un lavoro politico, prescindendo un attimo dal contingente?
Ma avrà sbagliato qualcosa?
Certo. I suoi pregi spinti al limite. Ma quando ha reputato che fosse cessata la chiarezza, per così dire, del contesto relazionale, si è concentrato sull'unico interesse inderogabile, preservare gli uomini delle istituzioni che, per inciso, erano i leader che ha sostenuto tra i primi. Rilegga l'intervista e vedrà che è così. Altro che speculazioni congressuali.