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lunedì 6 marzo 2017

PERCHÉ LA LIRA È MORTA "Berlino era rovinata, ma..." I tedeschi? Vergogna svelata

Becchi smaschera i tedeschi: "Così con la Lira li rovinavamo"


di Paolo Becchi


Secondo molti economisti l'euro fu costruito sulla base di due principi : la stabilità dei prezzi che assieme all'equilibrio di bilancio avrebbe dovuto favorire la crescita economica e l'idea che l'adozione di una moneta unica avrebbe contribuito alla convergenza della crescita nei diversi Paesi che l'avessero adottata e del reddito pro-capite. Non vi è dubbio che questi siano i principi "liberisti", per dare loro la caratterizzazione ideologica che li contraddistingue, posti a fondamento del Trattato di Maastricht, ma sono economicamente validi?

Innanzitutto occorre sottolineare che non c'è una correlazione positiva tra equilibrio di bilancio e crescita. I principi di Maastricht si fondano su un presupposto che non trova riscontro nell'analisi economica, ovvero che ridotti livelli di deficit sul Pil aiutino la crescita. Basti pensare a come è stato individuato il criterio del limite del 3% sul Pil, deciso «in meno di un'ora e senza nessuna base teorica», come racconta il suo inventore, il francese Guy Abeille. Quel parametro del 3% è stato del resto ampiamente contestato. In secondo luogo va osservato che con la lira il reddito procapite dal 1968-1998 era cresciuto del 104%. Dal 1999 (anno in cui viene fissato il cambio irreversibile con l'euro di 1936,27 lire), al 2016 è invece calato dello 0,75%.

Non è su questo che intendo insistere dal momento che oggi molti ammettono che nessuno di questi due principi si è realizzato. Ma allora è lecito chiedersi: perché quei principi dovevano essere giusti se in pratica sono stati così clamorosamente smentiti dai fatti? L'idea che spesso si avanza è che i principi fossero buoni e i cattivi siamo stati noi italiani, che non siamo stati abbastanza bravi ad applicarli. Ora, se con il cambio fisso un Paese rinuncia all'opzione della svalutazione, ci deve essere una contropartita in termini di redistribuzione fiscale. Se questa viene a mancare non c'è nulla in caso di crisi che possa impedirgli di subire un tracollo che porterà, alla fine, all'emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame. Sono cose nella letteratura ampiamente ribadite da validi economisti che mettevano in discussione il modo in cui si intendeva procedere all'introduzione della moneta unica. E invece abbiamo condiviso la moneta ma non il debito, e questo ci è costato circa 35 miliardi di euro all'anno.

Se noi oggi ci troviamo con la povertà crescente questo è dovuto proprio alla costruzione dell'euro. Per molti invece la colpa continua ad essere non dell'euro, ma del fatto che noi italiani non siamo stati in grado di accettare le «nuove sfide poste dalla globalizzazione». Mettiamo banalmente a confronto la produzione industriale dell' Italia e della Germania, prima e dopo l'introduzione della moneta unica. Prima l'Italia aveva una produzione industriale superiore a quella tedesca e in crescita tra gli anni 1992-1995, proprio grazie alla svalutazione della lira. Dopo l'euro, dal 2002 in poi, inizia il sorpasso della Germania nei confronti dell'Italia, e il meccanismo è dovuto ai differenziali di inflazione più bassi della Germania con i quali ha acquisito competitività rispetto alle nostre merci. L'Italia nei primi anni dell'euro aveva un' inflazione più alta della Germania, e impossibilitata ad operare una svalutazione del cambio, che le avrebbe consentito di recuperare il terreno perduto nei confronti della produzione industriale tedesca, ha cominciato il suo declino industriale. Prima dell'euro eravamo superiori alla Germania, dopo l'euro ha prevalso invece la Germania che ha sfruttato una moneta fortemente sottovalutata. Mi pare dunque evidente che sia proprio la fissità del cambio ad aver prodotto i problemi che abbiamo oggi.

Ritornando alla lira potremmo svalutare la nostra moneta, e dunque tornare ad essere competitivi, ma ecco pronta la replica: svalutando crescerà l'inflazione. Vale forse la pena soffermarsi su questo punto. La svalutazione è un deprezzamento del tasso di cambio nominale verso un'altra valuta; l'inflazione è l'aumento annuale di un determinato paniere di beni scelto dall'Istat come riferimento. È una fake non più tanto news sostenere che il deprezzamento dell' uno (il cambio) porti all'incremento dell' altra (l'inflazione). Non c'è nessuna evidenza empirica che dimostri che una svalutazione del cambio comporti necessariamente un aumento dell' inflazione. A questo proposito basta citare la svalutazione della lira verso il marco del 1992, quando era legata ancora allo Sme, l'accordo di cambi fissi dell' epoca. Prima del 1992 il cambio fisso era di 750 lire per marco; dal 1992 al 1995 la lira svaluta del 50% verso il marco, ma l' inflazione addirittura scende dal 5,2% del 1992 al 4,1% del 1994, per poi ritornare al 5,2% del 1995. Come si vede la svalutazione di per sé non ha prodotto l'incremento dei prezzi e lo stesso può dirsi anche per la svalutazione giapponese del 2012 o quelle di Gran Bretagna e Svezia del 2008.

Su quella svalutazione della lira rispetto al marco è davvero illuminante un discorso tenuto al parlamento tedesco nel 1998 da Ingrid Matthäus-Maier, ai tempi responsabile della politica fiscale della SPD: «Dobbiamo spiegare ai cittadini l'euro in maniera più comprensibile. Mi ricordo di un caso nel mio collegio elettorale nel 1994. Pochi giorni dopo la svalutazione della lira stavo visitando l'acciaieria Klöckner -Mannstaedt. Il morale era terra. Dobbiamo licenziare lavoratori, mi dicevano. La lira è andata giù. Cinque giorni dopo gli italiani avevano cancellato tutti gli ordini a quest'acciaieria tedesca. A causa della svalutazione della lira avrebbero dovuto pagare le fatture in marchi, per farlo servivano molte più lire di quante non sarebbero state necessarie prima. In seguito hanno deciso di spostare tutti gli ordini verso altri paesi. Questi esempi concreti ci mostrano che le turbolenze valutarie sono pericolose anche per il nostro Paese. Per questa ragione l'euro è una buona cosa, soprattutto per noi». Effettivamente qui la spiegazione dei vantaggi dell'euro per i tedeschi è chiarissima. Il cambio fisso ci ha sempre danneggiato, con l' euro ci sta distruggendo.

Lutto nel mondo dello spettacolo: morto a 21 anni il famoso rapper italiano

Addio a Josciua Algeri, muore il rapper e attore di Fiore



Il rapper e attore Josciua Algeri, 21 anni, è morto in un incidente stradale a Bergamo. Il giovane è rimasto ucciso nello schianto fra il suo scooter e un auto nella zona della fiera di Bergamo. Il giovane, un centinaio di metri prima di una rotatoria, avrebbe perso il controllo del mezzo finendo sulla corsia opposta.

Josh, come si faceva chiamare, abitava a Pradalunga con la compagna e una figlia di un anno e mezzo. Il ragazzo, che da minorenne aveva avuto problemi con la giustizia ed era stato detenuto nel carcere Beccaria, aveva recitato nel film Fiore, candidato ai David di Donatello.

Amgen: Luigi Uccella nominato responsabile delle risorse umane

Amgen: Luigi Uccella nominato responsabile delle risorse umane


di Matilde Scuderi

Luigi Uccella

Il comitato di direzione di Amgen, multinazionale americana leader nelle biotecnologie, accoglie un nuovo e fondamentale elemento: si tratta di Luigi Uccella, da poco nominato responsabile delle risorse umane dell'azienda. Padre di tre figlie, nasce a Napoli nel 1976, si trasferisce a Roma con la famiglia e vi completa gli studi laureandosi a pieni voti in giurisprudenza. Milanese di adozione, durante il percorso professionale consegue un executive Mba alla Bocconi. Inizia la sua carriera nel settore dei medical device quindici anni fa in Guidant Italia, dove si trova a gestire la fusione con Boston Scientific avvenuta nel 2006. La sua esperienza prosegue in Abbott Laboratories occupandosi di selezione, formazione e gestione delle risorse umane e supportando l’avvio della sede di Milano per la divisione vascolare.

Nel 2008 entra in Amgen. Negli anni successivi vengono lanciate le iniziative di flexible benefit, di 'bimbi in ufficio' e il progetto di smart working (iTime) in favore del lavoro flessibile. Grazie a ciò, le risorse umane dell’azienda ricevono, nel 2014, il premio Hr innovation award dal Politecnico di Milano. Il suo percorso di sviluppo è caratterizzato da ruoli di crescente responsabilità, anche a livello internazionale. Lo scorso anno, ha ricoperto l’incarico di hr operations manager per Europa, Turchia e Paesi del Medio Oriente e Africa e dell’area Asia Pacifico presso la filiale olandese con sede a Breda. "Il piano di crescita interna che ha portato alla nomina di Luigi Uccella è una conferma che Amgen punta sugli uomini e sulle donne di valore - afferma Francesco Di Marco, amministratore delegato della multinazionale in Italia - in un momento di crescita dell’azienda, la professionalità e l’umanità di Luigi sono doti preziose che, sono certo, daranno impulso al senso di appartenenza e al coinvolgimento delle nostre persone". Uccella punta sulla valorizzazione dei talenti, attraendoli dall’esterno, se necessario, o sviluppandoli all’interno e sulle politiche in favore delle pari opportunità e del 'ponte generazionale', la tutela, cioè, dei lavoratori maturi e l’inserimento dei giovani in azienda. "Sono emozionato e al tempo stesso molto motivato da questa nuova sfida - dichiara Luigi Uccella - in pochi anni abbiamo reso Amgen una delle aziende migliori in cui lavorare in Italia, smontando il mindset tradizionale del controllo; vogliamo continuare a generare una cultura diffusa dell’innovazione delle regole e delle modalità di organizzazione del lavoro attraverso progetti di bilanciamento vita privata e professionale".

Astrazeneca: Francesca Patarnello entra nel senior management team

Astrazeneca: Francesca Patarnello entra nel senior management team


di Matilde Scuderi

Francesca Patarnello

Novità per l'azienda biofarmaceutica Astrazeneca: Francesca Patarnello è la nuova vice president market access & government affairs, presso la filiale italiana ed entra quindi a far parte del senior management team della società. Nel suo nuovo ruolo Francesca Patarnello riporterà direttamente a Pablo Panella, presidente e amministratore delegato di Astrazeneca Italia, e avrà la responsabilità di contribuire al rafforzamento della strategia aziendale per garantire l’accesso al mercato degli innovativi farmaci messi a disposizione da Astrazeneca Italia, in modo da offrire un beneficio concreto ai pazienti nel più breve tempo possibile. Francesca sarà inoltre responsabile della comunicazione esterna e del government affairs, con l’obiettivo di rafforzare il dialogo con media e istituzioni.

Nei suoi 25 anni di carriera, ha maturato un’importante esperienza nel settore farmaceutico nell’ambito della ricerca clinica e del market access e ha ricoperto posizioni di crescente responsabilità: laureata in scienze statistiche ed economiche presso l’Università degli studi di Padova, Francesca Patarnello inizia nel 1988 in Farmitalia Carlo Erba e successivamente in Fidia nel campo della ricerca clinica. Nel 1999 entra in Glaxo Smith Kline e, dopo un rapido percorso di crescita, viene nominata pharmacoepidemiology, health technology assessment & clinical safety director nel 2005 e payers & evidence solutions, access to medicine director nel 2011. In questi anni Francesca ha l’opportunità di sviluppare una forte competenza nell’ambito dell’accesso, raggiungendo importanti risultati per i prodotti gestiti. Nel 2014 Francesca entra in Amgen nel ruolo di value access & policy director, con la responsabilità della definizione delle strategie di prezzo e di accesso nonché la gestione del government affairs, della comunicazione e della patient advocacy.

Nel suo percorso professionale è riuscita sempre a innovare in un ambito che, specialmente negli ultimi anni, ha visto un crescendo di complessità e sfide sempre più elevate. Oggi Francesca - che in passato ha ricoperto una serie di incarichi accademici presso le Università di Bologna, Catania, Novara, Padova e Verona -  è uno dei massimi esperti del suo settore e lo dimostrano anche  le numerose pubblicazioni sui temi dell’innovazione dei farmaci, dell’health technology assessment e del market access di cui è co-autore. Attualmente è inoltre all’interno del board del centro studi e ricerche sulle biotecnologie sanitarie e settore biotech (Cesbio)  dell’Università Bocconi e del Piemonte Orientale per Assobiotec. 

Veneto e Lombardia autonome Ora anche Forza Italia si schiera

Veneto e Lombardia autonome. Ora anche Forza Italia si schiera


di Tommaso Montesano



Il principio «è giusto, sacrosanto. Al punto che, oltre alle Regioni, andrebbe applicato anche ai Comuni. Se fossi veneto, voterei a favore del referendum promosso da Luca Zaia. A una condizione, però: che sia conservato un meccanismo di compensazione solidale a favore delle aree più deboli». Il forzista Osvaldo Napoli, già vicepresidente dell'Anci, consigliere comunale di Torino, risponde così al governatore leghista, che ieri dalle colonne di Libero ha tracciato la strada che porta all'autonomia fiscale del Veneto.

Il partito di Silvio Berlusconi studia le mosse dell' alleato: sì al modello local tax, ma garantendo comunque la stabilità del sistema. In soldoni: per gli azzurri la priorità è ridurre le tasse in tutta Italia, non solo nelle regioni settentrionali. «A Zaia dico: bene, benissimo la differenziazione fiscale; ottimo il principio che i soldi rimangono laddove si producono, ma che ne facciamo della parte debole del Paese?», si chiede Napoli: «Il Sud non compra niente dal Nord? Se al Mezzogiorno mancano le risorse, a rimetterci è anche il Nord».

Per Stefano Parisi, invece, fondatore e leader di Energie per l'Italia, «il referendum non è la strada». «Un federalismo fiscale che unisca autonomia e responsabilità è la priorità politica» per il movimento del candidato sindaco del centrodestra a Milano. Fatto sta che la consultazione promossa da Zaia «rischia di far fare al Veneto la stessa fine» di Matteo Renzi dopo il referendum del 4 dicembre, avverte Parisi. «Chi ha responsabilità di governo, oggi deve affrontare i problemi della sicurezza, dell'immigrazione e della crescita economica.

Abbiamo già perso sette mesi di tempo dietro al referendum di Renzi, ignorando i problemi del Paese...». Insomma, sì all'autonomia e al federalismo fiscale, ma senza «spaccare la popolazione».

Rispetto a Parisi, Forza Italia non intende comunque chiudere il canale di dialogo con il Carroccio. E la prova sta nel fatto che il capogruppo di Forza Italia in Regione, Massimiliano Barison, si è schierato a fianco di Zaia.

«Chiamandomi Cattaneo, non posso che essere un federalista convinto. È arrivato il momento di introdurre un meccanismo fiscale virtuoso, equo, ad esempio mettendo fine al regime delle Regioni a statuto speciale, un retaggio di settant'anni fa», aggiunge non a caso anche Alessandro Cattaneo, l'ex sindaco di Pavia che siede nell'ufficio di presidenza azzurro. «Il principio deve essere uno: si spende ciò che si ottiene dai cittadini. Il mio sogno è la local tax: il cittadino versa una sola imposta al proprio Comune, per poi giudicare i servizi di ritorno», spiega il responsabile Formazione di Forza Italia.

E il meccanismo di compensazione? «Una certa compensazione tra territori, attraverso il fondo di riequilibrio, può anche esserci, ma questo deve essere l'eccezione, non certo la regola».

Intanto Zaia fissa i termini della consultazione: «Annunceremo la data del referendum nel momento in cui firmeremo il decreto di convocazione delle urne. Entro, comunque, il 2017». Sfumata l'idea dell' election day, in coincidenza con le Amministrative: «Non ci facciamo prendere in giro ulteriormente».

Immigrati lombardi contro l'invasione: "Perché dovete restare a casa vostra"

Immigrati lombardi contro l'invasione: "Perché dovete restare a casa vostra"


di Giuseppe Spatola



Il giro di affari in Italia, secondo le stime, nel 2016 ha toccato i 4 miliardi di euro. Così il business dell’accoglienza non conosce crisi, diffuso da nord a sud senza regole ferree e lasciato in mano al paradiso delle cooperative che gestiscono ingenti fondi a volte senza una vera rendicontanzione.

Mentre le ondate di sbarchi assediano le coste italiane, ormai anche gli immigrati regolari residenti in Lombardia chiedono di fermare la «transumanza» del mediterraneo. L’esercito dei «regolari», quello che hanno lavorato per anni prima di sudarsi il permesso di soggiorno, chiedono in netta maggioranza e in maniera convinta lo stop a nuovi arrivi e controlli alle frontiere, in quanto ritengono che tra i cosiddetti migranti si nascondano «persone potenzialmente pericolose». «Solo il governo italiano non l’ha capito e al netto delle promesse di Gentiloni, Orlando e Minniti registriamo un pericoloso +57 per cento sugli sbarchi rispetto allo scorso anno», ha sbottato l'assessore lombardo alla Sicurezza, Simona Bordonali. «Sono ormai 14.319», ha aggiunto, «gli aspiranti profughi arrivati nel 2017».

La dura presa di posizione degli stranieri contro i richiedenti asilo emerge chiaramente dai dati raccolti dall’Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità, pubblicati nel rapporto 2016 «L’immigrazione in Lombardia». «È noto come la maggioranza degli italiani sia totalmente contraria alla gestione del problema dell’immigrazione da parte del governo. Meno esplorata», ha continuato la Bordonali, «era l’opinione degli stessi cittadini di origine straniera rispetto a questi nuovi flussi». Opinione che è stata invece approfondita nella recente rilevazione ORIM attraverso alcuni quesiti posti alla popolazione straniera residente in Lombardia (campione di 3.303 unità su scala regionale).

Cosa emerge dalla ricerca? Da una parte c’è il «sì» netto all’accoglienza per chi scappa dalla guerra e dalle persecuzioni. Ma dall’altra parte c’è anche il muro di diffidenza sollevato dagli stessi immigrati nei confronti di chi si presenta come profugo ma alla fine non ha diritto all’asilo politico.

Dalle rilevazioni emerge come il 54 per cento degli immigrati residenti in Lombardia sia favorevole all’accoglienza solo nei confronti di coloro che scappano da guerre e persecuzioni e un ulteriore 12 per cento crede che non si debba più accogliere alcun migrante. Solo il 34 per cento degli stranieri ritiene che sia necessario accogliere tutti. Non solo. 56 immigrati su 100 inoltre sono molto (25 per cento) o abbastanza (31 per cento) d’accordo sul fatto che tra i migranti si nascondano terroristi e delinquenti. In larga maggioranza anche coloro che credono sia necessario ripristinare le frontiere nazionali europee e fare i controlli ai confini. Il 59 per cento degli immigrati residenti in Lombardia si dichiara molto o abbastanza d’accordo con questa affermazione. Insomma, un appello che arriva da chi ha cercato l’integrazione e non ha paura che gli sbarchi selvaggi sulle coste italiane minino la convivenza con gli italiani.

Del resto è evidente come la Lombardia sia oramai una regione multietnica. Basta scorrere i dati sulle iscrizioni scolastiche per comprendere come le scuole che hanno più del 30 per cento di alunni stranieri siano 789, pari al 10 per cento del totale, una quota doppia di quella registrata nel complesso del territorio italiano (5,1). Mantova, Cremona e Brescia presentano le quote più alte di scuole sopra la soglia del 30 di stranieri. In Lombardia, le scuole a maggioranza straniera sono 167, pari al 2,1 per cento delle scuole. 76 si trovano nell’area di Milano e Monza (3,1 per cento), 41 nel bresciano (3,7). Stranieri regolari che dicono no a sbarchi e clandestini.

Cosa sapeva Massimo D'Alema? "I ministri dicono che su Renzi..."

Inchiesta Consip, quando D'Alema diceva: "Renzi cadrà per mano giudiziaria



"Alcuni ministri raccontano che Massimo D'Alema, da qualche tempo, sostiene che il governo non cadrà per uno sgambetto del Parlamento, per un giochino delle minoranze, per un complotto delle opposizioni ma cadrà per mano giudiziaria, e il ragionamento fatto in privato dall'ex presidente del Consiglio è arrivato anche al ministero di Giustizia, terra di Andrea Orlando". Così Claudio Cerasa, oggi direttore de Il Foglio, in un retroscena scritto nell'estate di due anni fa sullo stesso giornale. Una fonte molto più che affidabile, che per altro non fu smentita. Insomma, già anni fa D'Alema, nemico giurato di Matteo Renzi, profetizzava guai giudiziari per l'ormai ex permier. O per la sua famiglia, così come sta avvenendo nell'ambito dell'inchiesta Consip dove è rimasto invischiato il babbo, Tiziano Renzi.

Una semplice profezia? Forse. Di certo Baffino di profezie se ne intende. Nel 2009, come sottolinea Il Giornale, quando al governo c'era Silvio Berlusconi, disse che "nella vicenda italiana potranno avvenire delle scosse". Pochi giorni dopo, putacaso, si scatenò a Bari la vicenda Patrizia D'Addario, un filone giudiziario che contribuì al logoramento del premier. Proprio come accaduto qualche anno dopo con Renzi: D'Alema "profetizza", i giudici colpiscono. E per inciso anche altri personaggi avevano previsto un futuro di guai all'ex premier. Si pensi a Claudio Velardi - toh, ex consigliere di D'Alema - che in un'intervista affermò: "Per il sistema, Renzi è peggio di Berlusconi, infatti i magistrati lo stanno già puntando. Negli ultimi vent'anni la magistratura si è abituata a primeggiare sulla politica e non intende rinunciare al proprio primato". Parole in anticipo sui tempi. Parole che i più maliziosi leggono con sospetto: sapevano qualcosa prima degli altri?