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sabato 11 febbraio 2017

Patata bollente, Grillo sputtanato: ecco cosa diceva lui di Boschi, Boldrini e Montalcini

Patata bollente, Grillo sputtanato: ecco cosa diceva lui di Boschi, Boldrini e...


di Gianluca Veneziani



Ma come, Beppe, proprio tu. Tu che, tra blog e social, hai sparso perle sessiste un po' dovunque, senza fare distinzioni di età, di partito, di avvenenza fisica, e che hai attaccato ripetutamente le parlamentari in quanto donne, le donne in quanto parlamentari e le donne in quanto donne, ora fai il piangina e gridi allo scandalo per il titolo di Libero sulla Raggi alle prese con una «Patata bollente»?

Che la coerenza non fosse il tuo forte lo avevamo già intuito, ma pensavamo che ciò si limitasse a faccende tutte politiche, al fare i giustizialisti con gli altri e i garantisti con i propri, alla convinzione che «tutti gli indagati sono uguali, ma i nostri sono più uguali degli altri». E invece no, ci sbagliavamo, perché i cortocircuiti e le continue giravolte fanno parte del tuo modo di essere e di scrivere e forse della natura stessa del Movimento, che ha inventato insieme la post-verità e il suo rovescio. E in questo ci vuole talento, bisogna riconoscerlo.

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Sai com'è, però. Uno dei maggiori problemi del web, della tua amata rete, è che le cose che dici e scrivi rimangono, e puoi rinnegarle, cancellarle o rimangiartele quanto vuoi, ma là restano, scripta manent in Internet. E ci sarà sempre qualcuno pronto a tirarle fuori e a rinfacciartele, alla prima occasione buona. Come noi, stavolta.

Ecco, dunque, tu che ora ti ergi a paladino della Raggi vilipesa sessualmente da Feltri&Senaldi, dovresti ricordarti di quella volta in cui, con un post su Facebook, ti chiedevi «cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?» e linkavi un video, sotto il quale i commentatori si scatenavano, dicendosi pronti o a «trombarla» in prima persona o a «portarla in un campo rom e farla trombare con il capo villaggio». Non era sessista quel post? E soprattutto non se lo ricorda la Boldrini, che ora invece prende le parti del Movimento e in un tweet scrive «Piena solidarietà alla sindaca Raggi per volgarità sessista del quotidiano #Libero»? Eppure parliamo di quella stessa Boldrini, contro la quale voi del Movimento avevate fatto querela per diffamazione, avendo lei definito gli interventi sul blog di Grillo degni di «potenziali stupratori».

Ma ci si dimentica subito delle offese date e subite quando si tratta di fare fronte comune contro uno stesso nemico: un giornale di destra. E perciò è probabile che si sia scordata degli insulti pure Maria Elena Boschi contro la quale tu, Grillo, avevi ritwittato un post non proprio sobrio secondo cui il vero lavoro dell' allora ministra delle Riforme era battere sulla strada. «#Boschidovesei», lanciavi l'hashtag su Twitter, dopo l'affaire Banca Etruria. E subito rilanciavi la risposta di un tuo follower: «In tangenziale con la Pina». Quando si dice lottare contro il sessismo...

Non fu l'unico caso. Perché le donne del Pd sono state da te a lungo associate ad attività che esulavano, come dire, dalla prassi politica. Ad esempio quella Debora Serracchiani, da te accusata sul blog di avere troppi incarichi al suon di «Serracchiani mille mani» (avevi avuto la decenza di non specificare, allora, cosa facesse con quelle mani), e ancora più direttamente offesa con il retweet «#SerracchianiBugiarda stuprati le orecchie».

Uno può pensare che sia normale prendersela con le donne più in vista, con quelle che, al momento, rappresentano bersagli da attaccare sul piano personale per colpirle sul piano politico. Ma allora come giustificare gli attacchi immotivati a figure di lungo corso e ormai di secondo piano, che non sono più un vero ostacolo per la conquista del potere?

Gente come Rosy Bindi che nel 2012, in una poco allegra dichiarazione, definisti una sessuofobica nonché una povera sfigata che non aveva mai conosciuto i piaceri della carne. «La Bindi», dicevi, «problemi di convivenza con il vero amore non ne ha probabilmente mai avuti. Vade retro, Satana. Niente sesso». Al confronto, la punzecchiatura del Cav che la definiva «più bella che intelligente» era una carezza... A proposito di Cav, sei stato pure capace di postare un'immagine di pessimo gusto con Mara Carfagna, Ruby e Nicole Minetti che si toccavano gli attributi, in compagnia di Gad Lerner, che a sua volta si ravanava i gioielli di famiglia; un fotomontaggio del tutto gratuito rispetto al contenuto del post in cui sostenevi che in politica non serve la gavetta... Ma in quel caso era l'immagine a parlare, più delle parole. Non fu l'apice del trash sessuale, perché fosti in grado di prendertela anche con l'allora 92enne (sic!) Rita Levi Montalcini, l'illustre scienziata italiana, accusandola dopo la sua nomina a senatrice a vita (era il 2001) di aver ricevuto il premio Nobel solo perché al soldo di una casa farmaceutica che le aveva comprato il premio, e chiosando in modo invero elegante: «Vecchia puttana!».

E vabbè, dici, sono le donne il pallino fisso di Beppe Grillo, che sotto sotto deve essere pure un po' misogino. E invece no, perché Beppe-il-paladino-delle-donne-contro-Libero sa berciare anche contro gli omosessuali, gay in politica come Vendola che - siccome riceve un vitalizio di oltre 5mila euro - merita, a suo giudizio, tweet pesantemente omofobi. Ai tempi Grillo lanciò prima l'hashtag #BabyVendola, contro la sua baby-pensione, e poi ritwittò il post «Vendola vaffanculo! Ah no, ti piacerebbe»... Che classe. Se gli tocchi la Raggi, va su tutte le furie. Ma se si tratta di bersagliare ogni altra donna o omosessuale, che si insulti pure. Forse la spiegazione sta in una battuta di Crozza, parafrasata: per lui la Raggi non è una donna. È una grillina

Caserta: Mozzarelle di bufale con latte adulterato: sequestrate tre aziende

Mozzarelle di bufale con latte adulterato: sequestrate tre aziende



Operazione della guardia di finanza nei confronti di allevatori, rivenditori di latte e titolari di caseifici nel Casertano. L'accusa è di contraffazione del marchio DOP per la mozzarella di bufala e latte adulterato. Un primo bilancio dell'inchiesta "Aristeo" vede già il sequestro di tre delle aziende coinvolte nella frode, oltre agli arresti e alle misure interdittive intraprese. L'indagine è coordinata dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, diretta da Maria Antonietta Troncone, e affidata ai militari della guardia di finanza della compagnia di Marcianise, guidati dal capitano Davide Giangiorgi.

Renzi convoca il Consiglio di guerra La mossa: il Pd vuole la sua testa e lui...

Renzi convoca il Consiglio di guerra. La mossa: il Pd vuole la sua testa e lui...


di Renato Farina




Renzi è deciso a far saltare il banco. La direzione del Partito democratico convocata per lunedì a Largo del Nazareno sarà il luogo del redde rationem interno e per vedere se Grillo, Salvini e Meloni sono di parola come lui. Dicono: Renzi è impazzito.

Non è mai stato savio, peraltro. Un paio di volte l'azzardo folle ha funzionato. L'ultima volta, il 4 dicembre della sua bastonatura, molto meno, per usare un eufemismo. Ha sbattuto la crapa e le chiappe sul fondo della piscina, e vuole saltar fuori al volo, anzi gli sembra già tardi per la rivincita, e allora via, alle armi, prima di essere spolpato dai vecchi pescecani (D'Alema, Bersani, Sposetti, Cuperlo) e dai giovani scotennatori turchi (Orlando, Martina, Orfini), e poi messo nel sacco dal furbo alleato Franceschini. Ha i numeri per imporre la sua tattica: voto subito.

In direzione ha la maggioranza assoluta, a differenza che nei gruppi parlamentari dove prevalgono i franceschiniani. Perciò più che una direzione sarà un consiglio di guerra. Nessun congresso faticoso, con riunioni, tessere, spostamento di truppe cammellate dalla Puglia o dalla Campania per sostenere il perfido Scipione l'Emiliano.

In direzione lancerà una proposta di legge elettorale da prendere o lasciare, provvederà all'umiliazione della sinistra interna, e - in ragione non delle idee convincenti ma della forza cogente - metterà di fronte Franceschini e Orlando a una proposta indecente: confermarsi fedeli e dunque dotati di posti per i propri famigli nel Parlamento futuro o perdere rappresentanza nelle liste.

Idem per Gentiloni. Se vuol fare la fine di Dini, Monti o Letta provi a resistere, vada pur a piangere da Mattarella e Napolitano, ma finirà nella stanza dei salmoni affumicati; insomma prepari le valigie secondo tempi rapidi o nessun avvenire politico diverso dal soprammobile. Punto e a capo.

Ovvio. Girano altre narrative più quietiste. Ma quella che forniamo ci viene annunciata, con una costernazione dolente, da una fonte che non ruba le noccioline nella giungla dei peones, ma veleggia in altissimis, dove si ritiene la possibilità di decisioni più meditate non superiore al dieci per cento. Ovvio che porgere una notizia di questo tipo a chi poi - e sarei io - la scriverà non è innocuo.

Modifica il quadro. La comunicazione in politica è essa stessa politica. Come diceva Einaudi però è necessario conoscere per deliberare, e far sapere che minestrone sta per esserci servito è un modo perché chi può ragioni, e acconsenta o ponga rimedio. Lo diciamo a tutti, ma specie ai leader di centrodestra, ma anche a Grillo. Sicuri che votare ora, con queste leggi, sia consentire al popolo di esprimere in pienezza la sua sovranità? Se perdono tutti, anche il popolo perde, e le frattaglie di una sovranità confusa se le mangerà la volpe tedesca.

Renzi è arciconvinto che il rinvio a causa di assise internazionali e scadenze europee sia una scusa, e come tutte le scuse - diceva Manzoni - riveli una colpa. Una truffa. Per questo ribalta il tavolo e obbliga Gentiloni a essere molto gentilone con le sue pretese fiorentine e di andarsene. Quelle scuse sono le stesse panzane che Berlusconi sorbì due volte. La prima nel '95, con Dini, e finì bollito lasciando nel '96 il governo a Prodi. La seconda le accostò alle labbra con Monti, il Cavaliere alla fine capì, ma buttò il bicchiere della cicuta troppo tardi per impedire lo strazio di Bersani.

Renzi non vuole fare lo stesso errore del suo avversario di Arcore. Domanda. Il Fiorentino gioca d'azzardo, ma alla Lega e a Fratelli d' Italia conviene assecondare questa sfida mentre Forza Italia non ha ancora riaperto la ditta e il padrone aspetta di poter rientrare in partita dopo la sentenza di Strasburgo (autunno)? Se si va subito alle urne a giugno non si voterà con una legge che premi la coalizione, e il 40 per cento che dà la maggioranza assoluta sarebbe probabilmente un'utopia, ma comunque spingerebbe molti, attratti da un' ipotesi di governabilità, a scegliere tra i due partiti più grossi. Cioè 5 Stelle e Pd. Due poli grossi che se la giocherebbero. E il centrodestra? Sarebbe uno spezzatino di polo, anzi di pollo, una fricassea di pollastro, che se invece stesse insieme sarebbe potenzialmente il più grande e papperebbe anche il becchime degli altri. Fa così schifo vincere insieme? Meglio aver la soddisfazione di essere i migliori perdenti? Ma va'. Ah sì, forse anche il Pd si spacca. Sai che soddisfazione. Che si fa? Si organizza un nuovo Nazareno con la festa dei trombati ma felici?

"Niente acqua per quei bambini dell'asilo" L'ordine dell'Appendino: genitori infuriati

Torino, l'ordine dal Comune: "Niente acqua ai bambini non iscritti alla mensa"


di Claudia Osmetti




Agli studenti di Torino è negata pure l'acqua del sindaco". Anzi, della sindaca. All'ombra della Mole Antonelliana le caraffe delle mense scolastiche non sono per tutti. Nossignori: i bambini che si portano il pranzo al sacco da casa non possono usufruirne. Immaginate: arrivate a fine lezione stremati, magari l'ultima ora di matematica vi ha dato pure il colpo di grazia, prendete dalla cartella il panino al prosciutto che vostra madre vi ha preparato, iniziate a mangiarlo e vi viene sete. Ecco, a questo punto non avete soluzione: siete costretti a finirlo "a secco", come si suol dire. Insegnanti e inservienti non ci possono fare nulla, il diktat viene addirittura dal Comune: giù le mani dalla brocca.

A denunciare la situazione è la pagina Facebook di "Caro Mensa", che raccoglie le lamentele delle mamme piemontesi. C'è chi è corso ai ripari mettendo nello zaino del proprio bimbo una bottiglietta d'acqua in più, ma c'è anche chi è costretto a bere dai rubinetti del bagno. L'acqua in questione è potabile, per carità, ma andare alla toilette per "mandare giù" l'ultimo boccone ha proprio del ridicolo. Tant'è: in diversi istituti torinesi oramai è la regola, la caraffa del refettorio la toccano solo quelli che pagano la mensa. Punto.


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Tutta colpa di un emendamento bocciato dal Consiglio comunale pentastellato. L'opposizione ci aveva pure provato ad ammorbidire i termini della questione, ma no, la giunta di Chiara Appendino non ne ha voluto sapere. E ha stroncato la proposta del capogruppo leghista Fabio Ricca: il Carroccio apriva alla possibilità di condividere quel benedetto bricco tra compagni di banco «quale che sia il tipo di pasto consumato e fermo restando che i bambini che fruiscono del pasto domestico dovranno essere muniti di bicchiere personale», ma alla fine a scrosciare è stata solo la polemica.

Risultato: la prossima gara per affidare il servizio mensa in città dovrà tenere conto della decisione anti-caraffa. Alla faccia dell'acqua pubblica. Che i genitori di Palazzo Carignano e dintorni non l'abbiano presa benissimo, invece, è pacifico: sui social network è spuntata anche la lista dei consiglieri contrari, perché «è giusto che si sappiano nomi e cognomi di chi ha respinto l'emendamento». Per una volta che Pd e Forza Italia si erano anche schierati compatti col fronte del sì. E se i grillini bollano come «strumentalizzata» l'intera vicenda, dall' altra parte politica alzano il tiro: «È pazzesco che si vieti ai bambini che portano il pasto da casa di poter bere come i loro compagni», attacca il leghista Ricca, «è una scelta stupida e ingiustificabile». Così una mamma si sfoga on-line raccontando che suo figlio mangia «diviso dai suoi amici, porta le bottigliette da casa e non può nemmeno usare la pattumiera, ma riporta indietro anche i tovaglioli sporchi». Il tutto per aver detto no al servizio mensa. Quello dell'acqua è solo l'ultimo capitolo della saga sui pasti scolastici: schiscetta sì o schiscetta no. A Milano, una settimana fa, un ragazzino di 11 anni era stato costretto a uscire dall' istituto che frequenta e a ripararsi (si fa per dire) per strada per consumare il pranzo casalingo. Almeno lui, però, aveva da bere.

"SCUSE PER LA PATATA?" Lezione a Raggi e Boldrini: Vittorio Feltri le zittisce così

M5S, Feltri risponde alla polemica su Patata bollente: "Io chiedere scusa? Rispettino le nostre idee"



Uno dei meriti che deve essere riconosciuto al titolo dedicato a Virginia Raggi in prima pagina di Libero ieri in edicola, "Patata Bollente", è di aver messo d'accordo buona parte dei dirigenti grillini con diversi pezzi grossi del Partito democratico. Da entrambi i partiti è arrivata la richiesta al direttore Vittorio Feltri di chiedere scusa al sindaco di Roma, una richiesta rigettata al mittente: "Ma perché dovrei chiedere scusa? - ha detto ad affaritaliani - Questo stesso titolo lo feci il 15 gennaio 2011 su Libero, dove ero tornato da poco come direttore editoriale, per il caso Ruby rubacuori. L’occhiello era: 'Silvio rischia grosso. Il titolo: 'La patata bollente. E ancora: 'Sul caso Ruby offensiva finale dei pm di Milano, processo al premier per sfruttamento della prostituzione minorile. Interrogate cento ragazze, 600 pagine di intercettazioni ma Berlusconi sfida i giudici: solo fantasie, lasciatemi governare o si va al voto. Lo stesso titolo, 'la patata bollente, fatto su Ruby e con foto di Ruby va bene, se invece lo facciamo sulla Raggi non va bene? Come mai?".

Lasciano il tempo che trovano le accuse di sessismo: "Poi che cos’è la patata? A Roma c'è sicuramente una questione scottante. E quindi è una patata bollente". Anche sul doppiosenso e il tono ironico del titolo secondo Feltri va riportato alla realtà: "Il doppio senso, eventualmente, lo attribuisce chi legge e non chi scrive".

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Tra gli indignati dell'ultim'ora non poteva mancare la presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha definito la prima pagina di Libero: "Volgarità da giornalismo spazzatura". Feltri non usa gli stessi toni esacerbati: "Sono opinioni e io rispetto tutte le opinioni. Per cui desidererei che fossero rispettate anche le mie, ma forse pretendo troppo".

Restano le proteste di sottofondo alle quali Feltri non ha nessuna intenzione di dare peso, ricordando poi come si sono comportati gli scandalizzati di oggi solo pochi anni fa: "Perché dovrei chiedere scusa? Di che cosa? Per la patata bollente? Ma stiamo scherzando? Che questa sia una patata bollente non c’è il minimo dubbio. Poi il salto dalla patata alla f..a è notevole. Da notare che il 15 gennaio 2011 io ero qua, quello su Ruby non fu un titolo di Belpietro, ma mio. Ma nessuno fece polemiche. Anzi, manco se lo ricordano perché di Ruby si poteva dire tutto. E di Berlusconi soprattutto, perchè Ruby senza Berlusconi sarebbe stata la signora nessuno. Non ci furono polemiche e nessuno disse niente. Nessuno parlò di sessismo. Due pesi e due misure, che differenza c’è tra la Raggi e Ruby? Non sono due persone entrambe degne di rispetto?"

LA PATATA S'INCENDIA Ora arriva la vendetta Raggi, cosa vuol fare ora

Patata bollente, arriva la vendetta. Parla la Raggi: cosa vuol fare ora



Dopo Beppe Grillo, anche Virginia Raggi non ha gradito il titolo in prima pagina di Libero dedicato a lei. Il sindaco di Roma si è affidata a un lungo post su Facebook per definire "Patata bollente" solo un attacco con "insulto volgare". La Raggi ne fa tutta una questione di sessimo, ad offenderla è stato il "retro-pensiero che offende non soltanto me ma tante donne e tanti uomini. Voglio soltanto svelare un segreto a questi fini intellettuali - ci illumina il sindaco - un sindaco può essere anche donna! Nel 2017 c’è chi, sfortunatamente, non riesce ancora ad accettare questa semplice idea. Deve farsene una ragione".

La Raggi però va ben oltre l'indignazione di circostanza, promettendo battaglia in tribunale a Libero: "Ah, dimenticavo - ha aggiunto - Quando chiederò il risarcimento per diffamazione, ovviamente, lo farò, aggiungerò anche 1 euro e 50 centesimi che ho speso per comprare per la prima ed ultima volta questo giornale".

L'effetto Raggi sui Cinque stelle Grillo, il sondaggio bollente / Cifre

Sondaggio Ixè, caso Raggi: il M5s perde il 2,3 per cento



Gli scandali capitolini costano caro al Movimento Cinque stelle che nell'ultima settimana ha perso quasi due punti e mezzo percentuali. Secondo i risultati di un sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani dell'Istituto Ixè fatte per Agorà, Rai tre, il Partito democratico resta il primo partito con il 31 per cento dei consensi (perde uno 0,1 per cento in una settimana) mentre il M5s è il secondo partito che perde il 2,3 per cento passando quindi dal 29,9 per cento al 27,6, complice la situazione del sindaco di Roma Virginia Raggi.

La Lega Nord si attesta invece al 13,3 per cento, mentre Forza Italia è al 12,5 per cento. Stabile la fiducia nel premier Paolo Gentiloni. Il presidente del Consiglio mantiene il 33% di fiducia degli italiani, 6 punti in più rispetto a quella del suo esecutivo, che sale dal 26 al 27 per cento. Matteo Renzi è al 30%, Matteo Salvini e Giorgia Meloni al 23%, Beppe Grillo al 17 per cento.

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Gli intervistati hanno anche risposto alla seguente domanda: "A quale politico farebbe condurre il Festival di Sanremo?". Anche questa volta Grillo, comico di professione viene battuto. Il 19 per cento ha infatti indicato Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia è considerato meglio di Renzi (18 per cento) e di Grillo, appunto (12 per cento). A seguire Salvini (6 per cento), e Gentiloni (2).