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venerdì 13 gennaio 2017

BIDONISTI MONTEPASCHI Altri nomi dalla lista nera: vip e Alitalia tra i debitori

Mps, la lista dei grandi debitori: tra i bidonisti Alitalia, coop rosse e top manager



A questo punto è praticamente certo: l’elenco ufficiale dei grandi gruppi che hanno preso i soldi da Mps e non li hanno restituiti, non verrà pubblicato. Non ha intenzione di costringere la banca senese a divulgare quei dati il governo di Paolo Gentiloni e ancora meno il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Non vuole chiederlo il Partito democratico e con lui la maggioranza del Parlamento che sul tema lancia ballon d’essai e molto fumo, baloccandosi con una commissione di inchiesta su tutte le banche che non potrebbe vedere i natali prima della fine della prossima estate e che non sarebbe in grado di arrivare a qualche conclusione nemmeno con la fine naturale della legislatura.

Per avere un pizzico di verità bisogna quindi ancora continuare ad affidarci alle poche carte che esistono sui finanziamenti accordati dal Mps a gruppi che per varie vicissitudini o non hanno onorato le scadenze, o hanno trasformato il debito in quote di capitale detenute dalla banca senese, o hanno visto apporre un pegno su proprie quote di capitale che spesso è stato esercitato con azioni pignoratizie.

Non è semplice trovare la documentazione che viene blindata all’interno dell’istituto di credito senese, con minacce a dipendenti che dovessero divulgarla. Ma qualcosa emerge almeno dai bilanci ufficiali di Mps e delle sue due principali controllate (Mps Capital Services banca per le imprese e Mps Leasing & Factoring) e in quelli di alcuni dei principali clienti che in questi anni hanno cercato e spesso ottenuto di ristrutturare la propria posizione debitoria. Fra i principali nomi che emergono da questa terza puntata dell’inchiesta di Libero c’è quello di una vecchia conoscenza della finanza italiana degli anni Ottanta e Novanta come Giuseppe Garofano (detto Pippo o il Cardinale), che fu presidente di Montedison e amministratore delegato del gruppo Ferruzzi all’epoca di Raul Gardini e venne arrestato dopo una breve fuga dal pool Mani Pulite nell’inchiesta sulla maxi tangente Enimont. Garofano era noto per essere un campione della cosiddetta finanza bianca, essendo assai vicino all’Opus Dei. Ma deve avere cambiato giri almeno per ragioni di business, visto che ha trovato una sponda in questi anni proprio nella banca rossa per eccellenza, Mps. L’incontro non proprio fortunato per i conti dell’istituto di credito senese è avvenuto grazie ai prestiti concessi a una società presieduta da Garofano, la Industria e Innovazione spa di Milano, quotata in borsa e attiva nel settore delle energie rinnovabili. La società è in concordato preventivo con riserva del tribunale di Milano, e ha anche qualche speranza di non morire, visto che esiste una offerta di acquisto da parte di Plc group. Mps è presente nel capitale con il 7,107% avendo convertito in azioni un credito vantato. Ma non è finita lì, perché la banca ha concesso una linea di credito a revoca «integralmente utilizzata e comprensiva degli interessi maturati e non pagati pari a 2,5 milioni di euro», mentre risultano scaduti e non rimborsati altri 2,836 milioni di euro di finanziamento ricevuto da Mps Capital services.

Proprio nel bilancio della controllata Mps che fa da banca per le imprese si trovano altre situazioni critiche. Ce ne è un’altra attiva nelle energie verdi come la Moncada Solar Equipment srl di Agrigento, che qualche anno fa inaugurò i suoi stabilimenti con la partecipazione dell’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il rapporto risulta in sofferenza con svalutazioni già cumulate per 1,7 milioni di euro. Altri quasi 3 milioni di euro di svalutazioni hanno riguardato il gruppo Targetti con le spa controllate Poulsen e Sankey classificate nell’elenco delle inadempienze probabili (una delle forme oggi con cui sono classificati i crediti in sofferenza). Altri 6,8 milioni di euro sono stati già svalutati nei crediti vantati dalla Marina di Stabia spa, che ha costruito il porto turistico di Castellammare di Stabia. Ancora 5,8 milioni di euro sono già stati persi con Stb spa, che è la società che gestisce le Terme di Chianciano, già finanziata con poco successo anche dalla capogruppo Mps. E ancora 4 milioni di euro si sono persi con la Gardenia Beauty spa, rettificati proprio nel corso dell’ultimo esercizio. E 2,8 milioni con la torinese Panini spa, che fabbrica complementi per computer.

La cifra più grossa per Mps Capital service - 42 milioni di euro - è stata svalutata però con la Fenice Holding spa, società che abbiamo già trovato fra i guai principali della banca capogruppo: appartiene alla famiglia Fusi che controlla anche la società di costruzioni Btp, che è insieme a Sorgenia il problema più grosso della banca senese. Fra i cattivi pagatori non poteva mancare la vecchia Alitalia quando ancora si chiamava Cai ed era guidata da Roberto Colannino. Anche in questo caso Mps è stata costretta a trasformare in capitale (circa il 3%) il credito vantato e non incassato.

Hanno ristrutturato il loro debito con il gruppo Mps, che quindi ha perso parte di quello che sperava di incassare e allungato le restanti scadenze anche altre importanti società come la Rbd (Rizzo-Bottiglieri-De Carlini) armatori, la Olidata computer, il gruppo di costruzioni Giusti per l’edilizia e il gruppo Acam nella provincia di La Spezia con le sue società controllate Acque e Ambiente. Consistenti le ristrutturazioni del debito con Mps della società informatica quotata Eems Italia spa (uno spinoff della vecchia Texas Instruments) e della coop rossa di costruzioni Coopsette, per cui negli anni sono state più volte riviste le posizioni debitorie.

Non rientra fra i cattivi pagatori la Navigazione libera del Golfo srl che ha sì un mutuo in corso con Mps, ma ha effettuato «i pagamenti alle scadenze pattuite, senza che vi sia stato alcun ritardo né che il mutuo sia andato in sofferenza».

Mps, i partiti sputano sugli italiani Feltri tombale: così ci fregheranno

Vittorio Feltri: Mps, i partiti difendono i paraculi


di Vittorio Feltri



Quale era la cosa più inutile (e stupida) che si potesse fare davanti allo scandalo del Monte dei Paschi, la banca più puttana del mondo che rubava ai poveri per regalare ai ricchi? Istituire una Commissione parlamentare di inchiesta. Un tipo di iniziativa diventata famosa perché totalmente inefficace ai fini di ricostruire e denunciare le magagne italiane. Tanto è vero che già mezzo secolo fa negli ambienti della Camera e del Senato si diceva scherzosamente (ma non tanto) che il modo migliore per affossare una vergogna nazionale fosse appunto quello di dare vita a una Commissione parlamentare di inchiesta. In effetti di Commissioni del genere ne abbiamo viste a decine e non ce n’è mai stata una che sia riuscita a fare chiarezza, informando i cittadini delle peggiori porcherie commesse nel nostro vituperato Paese.

Sarà così anche stavolta? Ovvio. Tanto più che stavolta tale Commissione, bene che vada, camperà poco tempo e non sarà in grado di combinare alcunché. Per il semplice motivo che verrà sciolta contestualmente alla scadenza naturale della legislatura, cioè entro un anno. Mettere in piedi un ambaradan simile pur sapendo che non porterà ad alcun risultato pratico è una idiozia. Anzi. Una presa per i fondelli. Non è gratuito il sospetto che i partiti siano ricorsi a questa “non soluzione” per proteggere i paraculi che hanno svaligiato il Monte senese, da cui si sono fatti prestare svariati milioni senza avere alcuna intenzione di restituire un euro. La politica in pratica invece di mirare a fare chiarezza e a svillaneggiare coloro che hanno depredato la banca dei misteri, fa di tutto e di più per nascondere sotto il tappeto i loro misfatti, che poi sono ladrocini della peggiore specie.

Ci eravamo illusi che gli apparati statali, prima di salvare l’istituto toscano in agonia, si premurassero di rendere noti i nomi dei saccheggiatori e provvedessero a perseguirli civilmente e penalmente; viceversa si stanno rivelando loro complici, il che ci induce a pensare che tra furfanti si sia stabilita una alleanza truffaldina. Non è una ipotesi, ma una certezza, a questo punto. Ma la cosa che più ci sorprende è la constatazione che anche i partiti di destra (Forza Italia compresa), avversari della sinistra che ha amministrato per anni il Monte, stanno al gioco sporco della Commissione di inchiesta, ossia il mezzo più idoneo per stendere un velo di oblio su quelli che non è esagerato definire furti o almeno inadempienze. Cosicché la situazione si aggrava suscitando allarme nella opinione pubblica, i cui interessi noi cerchiamo di tutelare, reclamando ancora la pubblicazione immediata dei nomi e dei cognomi degli insolventi, i quali si godono il bottino sottratto alla banca che hanno assaltato senza pagare il fio.

Ecco perché non demordiamo. Il governo esponga al pubblico ludibrio i personaggi che hanno approfittato della bischeraggine dei banchieri, e solamente dopo averli puniti adeguatamente provveda a tappare i buchi di bilancio con i nostri quattrini. E sottolineo nostri. Siamo dispiaciuti dell’infarto che ha colpito il premier Gentiloni e gli auguriamo una pronta guarigione, ma anche dal suo letto di dolore egli agisca in favore della gente sacrificando l’onorabilità dei ricchi che hanno troppo sgraffignato a danno della collettività. 

giovedì 12 gennaio 2017

Mps, i ricconi che non ripagano i debiti Toh...chi spunta: altri nomi clamorosi

Mps, i ricconi che non ripagano i debiti Toh...chi spunta: altri nomi clamorosi


di Franco Bechis



Fuori i nomi di chi ha preso i soldi da Mps senza restituirli o facendolo solo in parte? Lo slogan fa presa sul mondo politico, ma quando poi si debbono prendere le relative decisioni, non sono pochi a sfilarsi. I problemi sembrano esserci soprattutto in casa Pd, dove qualcuno ha pure presentato una interrogazione parlamentare al ministro Pier Carlo Padoan chiedendogli di tirare fuori quell’elenco dei grandi debitori. Un gesto che consente buona pubblicità a basso prezzo, ma non impegna nessuno, e lascia al titolare dell’Economia la scontata risposta di una difesa della privacy «a meno che si cambino le norme esistenti». Ma quando si va al sodo, la musica cambia. E ieri la commissione Finanze del Senato che ha il potere di approvare un emendamento al decreto legge salva banche, che leghi l’intervento finanziario dello Stato alla pubblicazione dell’elenco dei grandi debitori, si è ben guardata dal farlo. E a Libero con onestà si dice contrario alla messa in piazza di quell’elenco un renziano importante come il presidente della commissione Bilancio di palazzo Madama, Giorgio Tonini: «A me non piacciono queste guardonate. Già stano scappando tutti i capitali dall’Italia...».

Visto che dalle istituzioni e dalla politica difficilmente si otterrà quell’elenco che i vertici della banca senese proteggono da qualsiasi curiosità, tocca a noi continuare a scavare e proporre non quei primi 100 nell’elenco delle sofferenze di Mps, ma la lista di chi ha avuto più di una difficoltà a restituire i soldi avuti in prestito. Ecco la seconda puntata.

L’ARMATORE E LE COOP ROSSE
C’è il capitolo di Grandi Navi veloci dell’armatore Gianluigi Aponte, con un debito in continua ristrutturazione. L’ultima operazione in pool bancario che aveva all’interno Mps è dei primi mesi del 2016, ed è ammontata a 320 milioni di euro di nuova finanza, per ristrutturare un debito pre-esistente di pari entità (312 milioni di euro). Mps ha in pegno il 22,08 per cento del capitale sociale della compagnia di navigazione che nel 2015 ha fatturato 307 milioni di euro registrando una perdita di 15,7 milioni. Situazione simile sempre all’interno del gruppo Aponte con la società Navigazione libera del Golfo srl: il pegno esercitato da Mps in questo caso è addirittura sul 78,59 per cento del capitale sociale.

Pegno Mps anche sul 50 per cento del capitale sociale di Enerco distribuzione della famiglia Casellato di Padova. Energia e fonti rinnovabili sono i settori in cui probabilmente Mps ha perso più soldi in assoluto. Come nella disavventura di Scarlino energia, società che gestisce il locale inceneritore e che appartiene alla coop rossa Unieco, in concordato preventivo e su cui pende dall’estate scorsa anche una procedura di fallimento e una indagine per bancarotta fraudolenta da parte della procura della Repubblica di Grosseto. Anche in questo caso Mps ha in pegno il 50 per cento del capitale sociale, ma rischia di farsene assai poco. Pignorata invece da parte di Mps capital services una quota azionaria della Amalfitana gas della famiglia Mazzitelli.

Per restare nel campo delle coop rosse, dove Mps ha la leadership assoluta nella concessione di finanziamenti che poi non tornano mai indietro, qualche settimana fa è stato ristrutturato il debito esistente con Holmo, la holding che attraverso la controllata Finsoe ha le leve di comando del gruppo Unipol: un’operazione costata 190 milioni di euro insieme a Carige. Sempre a braccetto con Carige per altro nell’ultimo anno Mps è stato protagonista di una altra operazione di ristrutturazione e rimodulazione delle scadenze del debito con uno dei gruppi più importanti dell’agroalimentare, come quello della famiglia ligure Orsero, leader italiano nella commercializzazione della frutta.

In compagnia con altri importanti istituti di credito Mps ha parzialmente graziato nell’estate scorsa il gruppo emiliano Ceramiche Ricchetti che era esposto con il pool bancario di cui faceva parte l’istituto senese per 90 milioni di euro, pari a circa la metà del fatturato consolidato (180 milioni). Con Unicredit e Banca Intesa nel 2016 Mps ha poi accettato la terza ristrutturazione in pochi anni del debito di Stefanel, l’imprenditore del settore moda che non riesce ad uscire dalla crisi industriale. L’esposizione della banca senese però è limitata a una ventina di milioni di euro.

Altro guaio della banca senese è l’intreccio debiti-azioni esistente alle porte di Napoli con il Cis e l’Interporto di Nola. Il grande centro commerciale di Gianni Punzo in cui sono azionisti grandi firme della moda (in primis il gruppo Yamamay della famiglia Cimmino) non ce l’ha fatta a ripagare i 272 milioni di debiti che aveva con un gruppo di banche di cui faceva parte pure Mps. Così circa la metà (149 milioni di euro) sono stati trasformati in patrimonio del Cis, e il resto è stato rimodulato allungandone in modo consistente le scadenze. Stessa crisi per l’Interporto che è controllato dalla Cisfi spa (stessi azionisti del Cis, a cominciare da Punzo e i Cimmino). Qui il debito era assai più alto - 339 milioni di euro - ed è stato ristrutturato portandone le scadenze al 2034-2035. Le banche hanno trasformato parte del loro credito in azioni, e oggi Mps ne controlla il 7,54 per cento, che si aggiunge al 100 per cento del capitale in pegno di una controllata Cisfi, la Aliport srl.

Dopo varie ristrutturazioni del debito con il pool di banche che la finanziava, ha chiuso i battenti ed è stata messa in liquidazione la Sila Holding industriale di Torino, attiva nella componentistica per auto e uno dei grandi fornitori del gruppo Fiat. Anche in questo caso Mps deve leccarsi le ferite, avendo ricevuto in pegno il 28,15 per cento del capitale sociale in cambio degli ultimi finanziamenti erogati inutilmente per cercare di salvare l’azienda e nella speranza di vedere la restituzione almeno parziale del credito erogato negli anni.

RIECCO GLI EX «FURBETTI»
Identiche difficoltà nell’erogazione del credito ci sono state con molte società del gruppo Semeraro di Lecce: dalla Fin-Beta srl dove Mps ha in pegno l’intero capitale sociale, al Borgo Materdomini (in pegno alla banca senese il 44,32 per cento del capitale sociale). In Basilicata a Potenza addio soldi prestati alla famiglia Matteo per il loro pastificio Triticum, e a Mps non è restata altra strada che pignorare il capitale sociale dell’azienda. Pignoramento avvenuto anche per il 60 per cento del capitale di Rosso Corsa di Giancarlo Altieri, concessionario auto di Formia in provincia di Latina. E pure per il re del Brunello di Montalcino, Biondi Santi, in difficoltà anche lui a restituire i prestiti ottenuti da Mps che ha così fatto scattare il pignoramento sul 21,97 per cento della loro società agricola Greppo. Ormai perduti i finanziamenti all’Italian group Costruzioni di La Spezia, che ha chiuso i battenti nel 2005. E a Mps dei soldi concessi all’egiziano Khalil Khaled Mohamed Sawy sono restati in mano solo i 9.500 euro pignoratigli, pari al 95 per cento del capitale sociale dell'azienda di costruzioni.

Più seria la situazione dei finanziamenti concessi al gruppo Statuto, che divenne noto alla metà del decennio scorso per le scalate bancarie dei cosiddetti «furbetti del quartierino». Anche in questo caso non vedendosi restituire il credito concesso Mps non ha potuto fare altro che pignorare il capitale sociale della Danieli Management, che nel gruppo si occupava del prestigioso hotel Danieli di Venezia. Ma la banca senese ha in mano così solo il 33,33 per cento del capitale sociale che vale giusto 3.333,33 euro. Un po’ pochino rispetto alle linee di credito milionarie erogate.

Gentiloni: "Io sto male". Eppure... Il brutto retroscena sull'operazione

Paolo Gentiloni, il premier stava male ma nessuno gli ha creduto


di Stefano Re



La chiusura della diciassettesima legislatura - sinora sfortunata per tutti i suoi protagonisti - a causa di un motivo che nessuno si aspettava è apparsa per qualche ora un’ipotesi possibile. Il malore che ha colpito Paolo Gentiloni al ritorno dal viaggio a Parigi, lo ha costretto a ricoverarsi al policlinico Gemelli e a subire nella notte un intervento di angioplastica è sembrato poter cambiare, nel modo più brutale, i piani della politica. Metà giornata è trascorsa così, con le incertezze sulle condizioni del presidente del Consiglio che si sovrapponevano ai calcoli inconfessabili di chi spera o teme lo scioglimento anticipato delle Camere e alle immagini di Maurizio Crozza, che pochi giorni fa è apparso in tv nei panni di un Gentiloni il cui cuore è collegato a un «Renzimaker», usato dal segretario del Pd per far fibrillare il premier appena prova a governare sul serio. Inutile aggiungere che quel video che ha ricominciato a fare il giro del web. Tra chi ha voluto essere informato sulle condizioni di Gentiloni sin dalla mattinata c’era Sergio Mattarella: pure lui, evidentemente, preoccupato per la delicatezza della situazione.

È durata sino a metà pomeriggio, quando il policlinico Gemelli ha diffuso il bollettino medico che ha fugato ogni dubbio: «Il pieno successo dell’intervento è confermato dall’ottimo decorso clinico del premier in degenza in unità coronarica». Gentiloni resterà al Gemelli per alcuni giorni: sul pieno recupero non ci sono dubbi, ma i tempi sono un’incognita e intanto dovrà rinunciare agli impegni che aveva programmato per le prossime settimane, a partire dalla visita di Stato che avrebbe dovuto fare oggi a Londra.

È stato lui stesso a insistere per farsi controllare. Poco dopo le sette della sera di martedì, tornato dall’aeroporto di Ciampino, era nel suo ufficio quando ha avvertito un malore, il secondo dopo quello che lo aveva colto a Parigi durante il faccia a faccia con Hollande. A quel punto si è fatto visitare dal medico di Palazzo Chigi e al termine ha chiesto allo staff di farsi accompagnare in automobile al Gemelli, l’ospedale dei papi, con cui è convenzionata la Camera dei deputati. Durante tutto questo periodo Gentiloni è sempre stato vigile. L’elettrocardiogramma che ha effettuato in ospedale come primo controllo non mostrava anomalie, ma a quel punto lui stesso ha voluto sottoporsi ad altri esami e la coronografia che gli è stata fatta ha confermato la parziale ostruzione di un vaso sanguigno periferico. Da qui la scelta di impiantare lo stent durante la nottata. L’ostinazione del premier, dunque, sembra avere avuto un ruolo decisivo.

Resta da capire quanto potrà lavorare Gentiloni nei prossimi mesi, nei quali fatiche e stress non dovrebbero mancare, per uno che ricopre il suo incarico. Già il 18 gennaio è in programma il vertice con Angela Merkel a Berlino al quale, a fine mese, dovrebbero seguire le visite di Stato a Madrid e Lisbona. Impegni non confermati, al momento. Lo stesso malore che lo ha colpito appare dovuto al carico eccessivo di fatica. «Ha un po’ esagerato con la mole di lavoro», riferiscono fonti di governo alle agenzie. «Dall’inizio dell’incarico lavora dal mattino presto fino a notte fonda. Dovrebbe riposare di più, ma ha già detto di voler tornare lunedì», raccontano i suoi collaboratori.

Che lo spirito del premier sia battagliero lo dimostra anche il tweet che ha pubblicato in serata: «Grazie dell’affetto e degli auguri. Medici e personale sanitario bravissimi. Sto bene. Presto torno al lavoro». Ma a decidere saranno i medici. Intanto resterà ricoverato due o tre giorni, poi dovrà seguire le prescrizioni di chi lo cura. Giorgio Napolitano gli consiglia di cambiare stile di vita: «Deve prendersela un po’ tranquilla. Come dicono gli americani, “take it easy”».

Auguri gli sono giunti anche dai Cinque Stelle e da Matteo Salvini, oltre che da quasi tutti i leader dei Occidentali. Con Mattarella il premier si è sentito nel pomeriggio e Matteo Renzi gli aveva espresso «affetto e vicinanza» sin dal mattino. Silvio Berlusconi gli ha inviato «gli auguri più cordiali di Forza Italia e miei personali per una rapida e completa guarigione» e nel suo caso di certo non c’è stata ipocrisia: fosse per il Cavaliere, Gentiloni dovrebbe restare al governo sino alla scadenza naturale della legislatura.

Lotti: "Stavo per tirargli una testata" Rissa a palazzo: con chi ce l'ha

Consip, Luca Lotti: "Stavo per tirare una testata a Vanoni"



Si torna a parlare dell'inchiesta Consip, quella in cui risulta indagato Luca Lotti, il ministro dello Sport vicinissimo a Matteo Renzi. Ed emerge quanto detto da Lotti stesso il 27 dicembre scorso al pm di Roma, Mario Palazzi, al quale si era presentato dopo aver appreso di essere indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento per aver riferito dell'esistenza dell'inchiesta stessa. Il ministro - come rivela Il Fatto Quotidiano, che cita in esclusiva i verbali - racconta che il 21 dicembre, subito dopo aver confermato ai magistrati di Napoli che lo stesso Lotti era indagato, il presidente di Publiacqua Filippo Vanoni prese un treno per tornare a Firenze, fermandosi però prima a Roma: lo fece per riferire sempre a Lotti quanto aveva detto agli inquirenti, aggiungendo però di aver mentito ai pm sul coinvolgimento del ministro.

Ai pm, dopo aver specificato di conoscere Vannoni dal 2008 ma di "non averlo mai incontrato nel corso del 2016", Lotti conferma di averlo visto per caso "il 21 dicembre" alla stazione di Firenze. I due hanno poi preso lo stesso treno da Santa Maria Novella: Lotti è sceso a Roma Termini per la convocazione dei pm (tra i quali Henry John Woodcock) mentre Vannoni ha proseguito fino a Napoli, dove è stato interrogato dai magistrati campani in cerca di lumi sulla soffiata sull'inchiesta arrivata da alcuni soggetti (tra i quali ci sarebbe stato proprio Lotti).

Ma ciò che più interessa è la testimonianza di Lotti, che nel pomeriggio del 21 dicembre spiega: "Stavo rientrando in ufficio, ho trovato Vannoni, voleva parlarmi". E ancora: "Imbarazzato e con modi concitati, mi ha informato di essere stato sentito da Woodcock a Napoli e di avergli riferito di aver ricevuto da me informazioni riguardo l'esistenza di indagini su Consip; alle mie rimostranze - prosegue Lotti - circa la falsità di quanto affermato, lui ha ammesso di aver mentito e quando ho chiesto il perché si è scusato in modo imbarazzato, ottentendo una mia reazione stizzita, tanto da avergli detto 'non ti do una testata per il rispetto del luogo nel quale siamo', congedandolo.

Caivano (Na): Esclusiva / Pugno duro Antonio Angelino PD: "Mai..."

Intervista al Segretario PD, Antonio Angelino


di Gaetano Daniele


Seg. Antonio Angelino
Consigliere comunale PD

Buongiorno Segretario Angelino, Bilancio. 

Buongiorno a lei Direttore, e grazie per l'ospitalità sul suo Blog il Notiziario sul web. Sul bilancio che dire siamo in trepida attesa del parere dei revisori dei conti sullo schema di bilancio stabilmente riequilibrato, che dovrebbe arrivare oggi, solo allora potremmo avere un quadro chiaro e completo. 
Ad ora da un primo approccio, abbastanza superficiale possiamo notare solo un netto taglio ai servizi essenziali così come alla manutenzione ordinaria e sinceramente basta questo a farci seriamente preoccupare.


Segretario Angelino, Scuole al gelo e alunni in classe con le coperte. Come sono gli impianti?

La questione scuole è un po' la fotografia di questa scellerata amministrazione, è inaccettabile vedere ogni volta il sindaco che rincorrere i problemi, senza mai prevedere o meglio programmare come invece si dovrebbe l'anno scolastico. È successo così per la mensa, così per l'assistenza è così anche per i riscaldamenti. Veda direttore, in politica si può discutere e avere visioni diverse su tutto, ma quando di mezzo ci sono i bambini ci vorrebbe molta più competenza e serietà.

Segretario Angelino, cosa ci dobbiamo aspettare da questo 2017.

L'anno nuovo porta con se, solitamente, anche nuova speranza. Speriamo. Anche se dalle prime battute non sembra essere cambiato nulla. Abbiamo una squadra di governo composta da pochi "privilegiati"chiusa e arroccata nelle stanze del comune, completamente autoreferenziale, che agisce per nome e per conto di tutti senza però sentire il parere di nessuno. Basti guardare il rapporto che questo cerchio magico ha con l'opposizione consiliare, oppure con i cittadini mai coinvolti in nessun processo di decisione partecipata, o ancora con i dirigenti comunali, da un momento all'altro scaricati per poi essere nuovamente riabilitati in caso di necessità. Tutto questo è assurdo, si è svilito ogni senso e significato della Politica come gestione attenta oculata e responsabile della Res Pubblica.

Segretario Angelino, problema ambientale. A che punto siamo?

I Caivanesi sono stanchi ed hanno ragione, ormai sono 18 mesi che a fronte di sacrosante richieste di servizi minimi ed ordinaria amministrazione vengono risposti con giustificazioni e scarico di responsabilità. Sulla raccolta ed il servizio di smaltimento dei rifiuti, si è palesata tutta l'inefficienza di questa amministrazione che non avendo la benché minima idea, e non avendo nessun progetto in materia innovativo da proporre al paese, si è trascinata a colpi di proroghe del servizio, nel nome di una gara europea mai portata davvero a compimento, che non hanno fatto altro che peggiorare gli standard minimi del vecchio progetto di raccolta differenziata, riportando il nostro paese ai minimi storici di raccolta. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti ed il danno che si sta compiendo anche per ciò che attiene al decoro urbano della nostra comunità è inquantificabile. Se poi ci metti che una parte della maggioranza, tende a far passare dei servizi minimi di ordinaria amministrazione, che dovrebbero essere garantiti poiché profumatamente tassati, come chissà quale risultato ottenuto per i cittadini, allora davvero non c'è speranza, ed i cittadini non possono che essere sfiduciati dal dilettantismo che li governa.

Il sondaggio del disastro (per Grillo): effetto-Monti, dove precipita / Cifre

Sondaggio, il calo del M5s dopo il pasticcio europeo



No, l'effetto-referendum non c'è stato, per il Movimento 5 Stelle. Colpa dei disastri di Virginia Raggi, certo, e anche dell'ultimo disastro in salsa europea con l'addio e frettoloso ritorno a Nigel Farage (nel frattempo, il flirt coi "montiani" di Alde). E così, ora, Beppe Grillo e soci si leccano le metaforiche ferite lasciate dai sondaggi. Il quadro lo offre un articolo de Il Tempo, che offre una media di tutti i sondaggi politici sui partiti. Si scopre così che il M5s, il 10 gennaio, crolla al 28,9% su base nazionale, rispetto al 29,7% dello scorso 20 dicembre.

Dunque gli altri partiti, con il Pd che nonostante le turbolenze è in netta risalita: oggi viene dato al 30,2% contro il 29,% del precedente 20 dicembre. Stabile la Lega Nord, che guadagna lo 0,1% e si porta al 12,9%: meglio di Forza Italia, che lascia per strada un altro 0,3% e si assesta al 12,5 per cento. Dunque Fdi-An di Giorgia Meloni, data al 4,5%, Sinistra italiana al 3,7% e Ncd-Udc al 3,2 per cento.