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giovedì 12 gennaio 2017

Mps, i ricconi che non ripagano i debiti Toh...chi spunta: altri nomi clamorosi

Mps, i ricconi che non ripagano i debiti Toh...chi spunta: altri nomi clamorosi


di Franco Bechis



Fuori i nomi di chi ha preso i soldi da Mps senza restituirli o facendolo solo in parte? Lo slogan fa presa sul mondo politico, ma quando poi si debbono prendere le relative decisioni, non sono pochi a sfilarsi. I problemi sembrano esserci soprattutto in casa Pd, dove qualcuno ha pure presentato una interrogazione parlamentare al ministro Pier Carlo Padoan chiedendogli di tirare fuori quell’elenco dei grandi debitori. Un gesto che consente buona pubblicità a basso prezzo, ma non impegna nessuno, e lascia al titolare dell’Economia la scontata risposta di una difesa della privacy «a meno che si cambino le norme esistenti». Ma quando si va al sodo, la musica cambia. E ieri la commissione Finanze del Senato che ha il potere di approvare un emendamento al decreto legge salva banche, che leghi l’intervento finanziario dello Stato alla pubblicazione dell’elenco dei grandi debitori, si è ben guardata dal farlo. E a Libero con onestà si dice contrario alla messa in piazza di quell’elenco un renziano importante come il presidente della commissione Bilancio di palazzo Madama, Giorgio Tonini: «A me non piacciono queste guardonate. Già stano scappando tutti i capitali dall’Italia...».

Visto che dalle istituzioni e dalla politica difficilmente si otterrà quell’elenco che i vertici della banca senese proteggono da qualsiasi curiosità, tocca a noi continuare a scavare e proporre non quei primi 100 nell’elenco delle sofferenze di Mps, ma la lista di chi ha avuto più di una difficoltà a restituire i soldi avuti in prestito. Ecco la seconda puntata.

L’ARMATORE E LE COOP ROSSE
C’è il capitolo di Grandi Navi veloci dell’armatore Gianluigi Aponte, con un debito in continua ristrutturazione. L’ultima operazione in pool bancario che aveva all’interno Mps è dei primi mesi del 2016, ed è ammontata a 320 milioni di euro di nuova finanza, per ristrutturare un debito pre-esistente di pari entità (312 milioni di euro). Mps ha in pegno il 22,08 per cento del capitale sociale della compagnia di navigazione che nel 2015 ha fatturato 307 milioni di euro registrando una perdita di 15,7 milioni. Situazione simile sempre all’interno del gruppo Aponte con la società Navigazione libera del Golfo srl: il pegno esercitato da Mps in questo caso è addirittura sul 78,59 per cento del capitale sociale.

Pegno Mps anche sul 50 per cento del capitale sociale di Enerco distribuzione della famiglia Casellato di Padova. Energia e fonti rinnovabili sono i settori in cui probabilmente Mps ha perso più soldi in assoluto. Come nella disavventura di Scarlino energia, società che gestisce il locale inceneritore e che appartiene alla coop rossa Unieco, in concordato preventivo e su cui pende dall’estate scorsa anche una procedura di fallimento e una indagine per bancarotta fraudolenta da parte della procura della Repubblica di Grosseto. Anche in questo caso Mps ha in pegno il 50 per cento del capitale sociale, ma rischia di farsene assai poco. Pignorata invece da parte di Mps capital services una quota azionaria della Amalfitana gas della famiglia Mazzitelli.

Per restare nel campo delle coop rosse, dove Mps ha la leadership assoluta nella concessione di finanziamenti che poi non tornano mai indietro, qualche settimana fa è stato ristrutturato il debito esistente con Holmo, la holding che attraverso la controllata Finsoe ha le leve di comando del gruppo Unipol: un’operazione costata 190 milioni di euro insieme a Carige. Sempre a braccetto con Carige per altro nell’ultimo anno Mps è stato protagonista di una altra operazione di ristrutturazione e rimodulazione delle scadenze del debito con uno dei gruppi più importanti dell’agroalimentare, come quello della famiglia ligure Orsero, leader italiano nella commercializzazione della frutta.

In compagnia con altri importanti istituti di credito Mps ha parzialmente graziato nell’estate scorsa il gruppo emiliano Ceramiche Ricchetti che era esposto con il pool bancario di cui faceva parte l’istituto senese per 90 milioni di euro, pari a circa la metà del fatturato consolidato (180 milioni). Con Unicredit e Banca Intesa nel 2016 Mps ha poi accettato la terza ristrutturazione in pochi anni del debito di Stefanel, l’imprenditore del settore moda che non riesce ad uscire dalla crisi industriale. L’esposizione della banca senese però è limitata a una ventina di milioni di euro.

Altro guaio della banca senese è l’intreccio debiti-azioni esistente alle porte di Napoli con il Cis e l’Interporto di Nola. Il grande centro commerciale di Gianni Punzo in cui sono azionisti grandi firme della moda (in primis il gruppo Yamamay della famiglia Cimmino) non ce l’ha fatta a ripagare i 272 milioni di debiti che aveva con un gruppo di banche di cui faceva parte pure Mps. Così circa la metà (149 milioni di euro) sono stati trasformati in patrimonio del Cis, e il resto è stato rimodulato allungandone in modo consistente le scadenze. Stessa crisi per l’Interporto che è controllato dalla Cisfi spa (stessi azionisti del Cis, a cominciare da Punzo e i Cimmino). Qui il debito era assai più alto - 339 milioni di euro - ed è stato ristrutturato portandone le scadenze al 2034-2035. Le banche hanno trasformato parte del loro credito in azioni, e oggi Mps ne controlla il 7,54 per cento, che si aggiunge al 100 per cento del capitale in pegno di una controllata Cisfi, la Aliport srl.

Dopo varie ristrutturazioni del debito con il pool di banche che la finanziava, ha chiuso i battenti ed è stata messa in liquidazione la Sila Holding industriale di Torino, attiva nella componentistica per auto e uno dei grandi fornitori del gruppo Fiat. Anche in questo caso Mps deve leccarsi le ferite, avendo ricevuto in pegno il 28,15 per cento del capitale sociale in cambio degli ultimi finanziamenti erogati inutilmente per cercare di salvare l’azienda e nella speranza di vedere la restituzione almeno parziale del credito erogato negli anni.

RIECCO GLI EX «FURBETTI»
Identiche difficoltà nell’erogazione del credito ci sono state con molte società del gruppo Semeraro di Lecce: dalla Fin-Beta srl dove Mps ha in pegno l’intero capitale sociale, al Borgo Materdomini (in pegno alla banca senese il 44,32 per cento del capitale sociale). In Basilicata a Potenza addio soldi prestati alla famiglia Matteo per il loro pastificio Triticum, e a Mps non è restata altra strada che pignorare il capitale sociale dell’azienda. Pignoramento avvenuto anche per il 60 per cento del capitale di Rosso Corsa di Giancarlo Altieri, concessionario auto di Formia in provincia di Latina. E pure per il re del Brunello di Montalcino, Biondi Santi, in difficoltà anche lui a restituire i prestiti ottenuti da Mps che ha così fatto scattare il pignoramento sul 21,97 per cento della loro società agricola Greppo. Ormai perduti i finanziamenti all’Italian group Costruzioni di La Spezia, che ha chiuso i battenti nel 2005. E a Mps dei soldi concessi all’egiziano Khalil Khaled Mohamed Sawy sono restati in mano solo i 9.500 euro pignoratigli, pari al 95 per cento del capitale sociale dell'azienda di costruzioni.

Più seria la situazione dei finanziamenti concessi al gruppo Statuto, che divenne noto alla metà del decennio scorso per le scalate bancarie dei cosiddetti «furbetti del quartierino». Anche in questo caso non vedendosi restituire il credito concesso Mps non ha potuto fare altro che pignorare il capitale sociale della Danieli Management, che nel gruppo si occupava del prestigioso hotel Danieli di Venezia. Ma la banca senese ha in mano così solo il 33,33 per cento del capitale sociale che vale giusto 3.333,33 euro. Un po’ pochino rispetto alle linee di credito milionarie erogate.

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