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mercoledì 9 novembre 2016

Boccassini-Moric, il colpo di grazia: "Cosa ha fatto Corona con i soldi"

Corona, l'ultima pesantissima accusa. La vendetta tremenda di Nina Moric



La Guardia di finanza di Milano ha sequestrato l'appartamento di Fabrizio Corona a Milano. Il provvedimento è stato disposto dal Tribunale, sezione Misure di prevenzione, su richiesta del pm Paolo Storari e del procuratore aggiunto della Dda Ilda Boccassini, titolari del nuovo filone di inchiesta che il 10 ottobre scorso ha portato all'arresto dell'ex fotografo e della sua storica collaboratrice Francesca Persi, con l'accusa di intestazione fittizia dei beni.

Si tratta della casa di via de Cristoforis, in zona Corso Como-Porta Garibaldi, del valore di due milioni e mezzo di euro. "Dalle indagini - si legge in una nota delle Fiamme Gialle riportata dal Giorno - è emerso che Corona aveva formalmente intestato l'immobile a un prestanome, tale Marco Bonato, ex collaboratore e suo coimputato". Il suo acquisto, secondo la Procura, sarebbe stato effettuato con risorse finanziarie distratte da società fallite, per la precisione dalla Fenice srl, vicenda giudiziaria per la quale l'ex fotografo era già stato condannato in via definitiva con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Ma la Procura, riporta il Giorno, sostiene che ci siano "altri e più gravi aspetti di illiceità" come il rogito della casa effettuato a Reggio Calabria, a "oltre mille chilometri dal luogo in cui si trova l'appartamento", poi "l'interposizione fittizia anche sul versante della parte che ha venduto", e ancora "la destinazione di buona parte delle somme a un pregiudicato di origine calabrese, Vincenzo Gallo, parente di Domenico Gallo, imprenditore considerato da tempo nome noto delle costruzioni stradali, arrestato di recente nell'inchiesta sulle grandi opere".

Il provvedimento specifica poi che all'epoca dell'operazione immobiliare, Corona "era una persona che viveva almeno in parte di un flusso costante di somme provenienti da illeciti tributari (e dalle condotte di bancarotta ai danni della Corona's srl) cui era dedito abitualmente e come tale era persona socialmente pericolosa". Tra gli accusatori di Corona c'è l'ex moglie Nina Moric, che aveva dichiarato: "Fabrizio Corona ha acquistato diversi immobili, ma li ha sempre intestati a prestanome". 

L'intervista Esclusiva - Mps, l'uomo che conosce ogni segreto: "Chi l'ha uccisa, le faide. E Renzi..."

Pierluigi Piccini: "Chi ha ucciso Mps, le faide Pd e il futuro di Renzi"


Intervista di Pietro Senaldi
@PSenaldi



Monte dei Paschi l’hanno ucciso prima i Ds, che lo svilirono e lo svendettero facendone merce di trattativa politica, e poi tutti gli altri, che saccheggiarono la Rocca conquistata e ancora non hanno finito il poco nobile lavoro. È la visione di Pierluigi Piccini, sindaco diessino di Siena per undici anni, quando sul Monte splendeva ancora il sole, e poi alto dirigente di Mps France, in esilio. Dorato, dicono i maligni. Nonché forse vittima di uno dei primi esperimenti del Nazareno, molti anni prima che il patto trovasse il suo assetto istituzionale.

Che futuro vede per il Monte dei Paschi?

«Per l’aumento di capitale servono 5 miliardi ma più passa il tempo più è difficile che il mercato li dia».

I libri contabili dicono che il valore della banca è 9 miliardi...

«Il valore lo fa il mercato, che lo sta fissando a 700 milioni».

I potenziali acquirenti giocano al ribasso per comprare meglio?

«Forse fino a qualche tempo fa. Poi il titolo è salito quando ha ripreso quota l’ipotesi di Passera. Sfumata quella è crollato di nuovo, stavolta non perché è ripartita la corsa al ribasso bensì per il motivo opposto: la difficoltà a reperire potenziali acquirenti lo ha indebolito e quindi lasciato in balìa della speculazione».

Cosa ha cambiato il quadro?

«Mps non è più l’unica banca che va al mercato. In Italia ci sono molte banche appetibili, in più bisogna tener conto che le popolari dovranno trasformarsi in società per azioni».

Perché si sono erette barricate contro Passera?

«Passera è stato bocciato dalla politica, non si voleva far entrare un estraneo nel sistema Toscana. Hanno giocato contro anche il rapporto finanziario di ferro che da sempre c’è tra Mps e Mediobanca e quello politico tra governo e Jp Morgan».

È passato il momento buono?

«Passera credo che non abbia abbandonato l’ipotesi Monte, benché valuti anche altre soluzioni. Quanto a Mps, se la raccolta non dovesse andare in porto, si apriranno due strade: la nazionalizzazione, che piacerebbe alla Ue e alla Bce ma non a Renzi, o la svendita a un gruppo finanziario internazionale».

Perché il governo ha puntato tutte le fiches su Jp Morgan?

«La poesia racconta di una cena con Blair da cui sarebbe partito l’innamoramento del premier per la banca americana. Più prosaicamente io ritengo che Renzi voglia rimanere presidente del Consiglio il più a lungo possibile ma non disdegni di pensare anche al futuro più lontano. Io gli credo quando dice che dopo la politica farà un altro lavoro».

Cioè?

«Jp Morgan è una bella assicurazione sulla vita».

Come ha fatto la banca più vecchia d’Europa a ridursi così?

«Questo è noto. Lo sciagurato acquisto di Antonveneta dal Banco Santander di Botin nel 2007 ha causato a Mps un debito di 17,5 miliardi. Antonveneta è stata pagata agli spagnoli 9 miliardi, ossia circa 3 miliardi in più di quanto questi non avessero sborsato per acquistarla solo due anni prima dagli olandesi di Abn-Amro. Per non parlare del buco dei crediti non esigibili».

Il grande errore dell’allora presidente di Mps Mussari…

«Errore? Non lo chiamerei così. L’acquisto fu fatto senza neppure vedere lo stato dell’arte di quel che si comprava. Penso piuttosto che Mussari sia stato tradito dalla propria ambizione, anche politica. Se il suo fosse stato un semplice errore, dubito che poi gli avrebbero dato la presidenza dell’Abi e che sarebbe stato in corsa per quella dello Ior».

Qual è allora la sua interpretazione dei fatti?

«Botin, allora presidente dell’Imi, perse molto nella fusione tra San Paolo-Imi e Intesa. Il sistema doveva in qualche modo risarcirlo».

Fu D’Alema a imporre Mussari alla Fondazione Mps nel 2001, sacrificando lei. Una mossa decisiva per le sorti future dell’istituto, visto che la fondazione controllava il 54% della banca…

«Nel 2001 Mussari fu scelto per fare la fusione Mps-Bnl, che però fallì due volte. Io, dopo 11 anni da sindaco di Siena, con gradimento altissimo, sarei stato il candidato naturale per quel posto ma mi opponevo alla fusione perché puntavo a fare del Monte il centro di un polo federativo aggregante con base in Toscana. Ma non posso dire che D’Alema mi scaricò perché lui non mi prese mai. Sono piuttosto uno dei tanti orfani di Veltroni, che non capì mai l’enorme scontro finanziario in atto in Italia in quegli anni. L’operazione Mps-Bnl era caldeggiata da Fazio e Amato, per consolidare la piazza finanziaria romana. Per quanto mi riguarda, arrivò dal ministero del Tesoro, allora guidato da un ministro Pd, una lettera che impediva la mia nomina alla fondazione».

Sta di fatto che il matrimonio non si fece mai, perché?

«Nel 2001 fallì perché la Fondazione non voleva scendere sotto il 50% e perché non si trovarono gli assetti bancari di governance. Nel 2006, con molta probabilità furono il premier di allora Prodi e la finanza cattolica a stoppare l’operazione. Il quadro era cambiato totalmente e Bnl era assegnata ad altri».

E a Siena che accade?

«Dopo aver scongiurato il pericolo Bnl il gruppo dirigente senese si sentì fortissimo, iniziò un raffreddamento con il Pd romano e, con Mussari in testa, giocò la sua partita, che portò all’acquisto di Antonveneta e alla crisi di Mps. Con la benedizione del governo di centrodestra, che sfornò una serie di decreti fiscali ad hoc che ancora nel 2010 aiutarono Mps a chiudere i bilanci in utile».

Oltre alla Fondazione, Mussari le sfilò anche uno dei suoi più fidati collaboratori, David Rossi…

«Era il mio portavoce quando facevo il sindaco. Gli proposi di seguirmi a Parigi, dove ero diventato direttore generale aggiunto di Mps France ma non lo fece. Era un senese doc, non voleva tagliare il cordone ombelicale con la città».

Che ricordo ha di lui?

«Molto intelligente, sensibile, preparato, colto. Mussari lo scelse perché aveva disperato bisogno di un intellettuale. Siena è città esigente e David era un grande biglietto da visita. In più, era un profondo conoscitore delle trame e degli equilibri cittadini, nonché portatore di conoscenze maturate al mio fianco negli anni delle mie sindacature».

La sua morte, un volo dal suo ufficio in Mps nel marzo 2013, è ancora avvolta nel mistero…

«Sono convinto che nella sua fine c’entri un elemento soggettivo fortissimo. Era rimasto senza protezioni, vedeva l'impero crollare, si sentiva corresponsabile del fallimento».

Quindi è convinto del suicidio?

«Per nulla, conoscendolo. Amava troppo la vita. I vini, i vestiti, i quadri, era un raffinato. Al di là di quello che sarà il giudizio dei magistrati, che le confesso ormai per me è relativo, il senso comune senese è convinto che si tratti di un omicidio».

La città è sempre più in crisi?
«Il reddito di Siena è composto tuttora da rendite parassitarie, finanziarie e da settori di evasione fiscale. Sono poche le rendite da lavoro».

Ma il disastro Mps non ha messo in ginocchio solo Siena…

«Sono in ginocchio parti consistenti dei ceti medi toscani. Anche perché al disastro Mps si è aggiunto quello di Etruria. Il sistema politico toscano è orfano, senza banche di riferimento».

Il Pd ne pagherà il prezzo?

«Lo sta già pagando, e Renzi se ne è reso conto, tant’è che dopo Etruria ha rivisto alcuni suoi importanti rapporti politici. Arezzo e Grosseto sono già passate al centrodestra. Prima che il partito però, il prezzo lo stanno pagando i cittadini».

Che effetto hanno avuto in Toscana gli scandali bancari? 

«Hanno impoverito i ceti medi, tolto soldi ai risparmiatori, ridotto in difficoltà le aziende. La forza della sinistra è sempre stata la capacità di venire a patti con i ceti medi ma oggi, dopo aver messo loro le mani nelle tasche, il Pd è entrato in rotta di collisione con i suoi elettori».

Al premier non si possono però imputare le colpe di questo…

«La tutela del risparmio non è il suo forte. Il decreto salva banche ha creato un clima di sfiducia verso gli istituti di credito che rischia di ucciderli. Se poi si aggiunge il bail-in...».

Ma Renzi cosa poteva fare?

«Avrebbe dovuto aprire una procedura fallimentare su Etruria, così tutti i creditori avrebbero avuto pari diritti. Lui invece ha creato risparmiatori di serie A e di serie B».

Ritiene che il Pd si spaccherà?

«Non dove e finché ha il potere, che è l’unica cosa su cui si regge».

Il referendum sulla riforma costituzionale sembra dilaniarlo…

«Il referendum è un ulteriore elemento di lotta interna al partito. La critica a Renzi è sulla gestione del potere. Lo incolpano di essere troppo esclusivo, di affidarsi solo al Giglio Magico, il solito, ristretto, gruppo di fidatissimi. Gramsci lo avrebbe accusato di cesarismo».

Come ha fatto un centrista come Renzi a espugnare Firenze e la regione rossa?

«La presenza di Renzi all’interno dell’organizzazione del partito sul territorio regionale non è forte. In Toscana Renzi non c’è, se non nella gestione del potere. Quanto a Firenze, esausta dall’amministrazione di Domenici e tutto ripiegata sulla gestione dell’esistente, e per questo già definita “la bella addormentata”, per Matteo fu facile conquistarla, anche grazie all’appoggio di settori non proprio di sinistra alle primarie del Pd. Renzi non fu un attacco ai poteri storici di Firenze, fu una sostituzione della rappresentanza di questi, e in un certo senso un loro consolidamento».

Cosa pensa del tentativo di D’Alema e Bersani di contrastare il potere del segretario-premier?

«Solo ora Bersani ha preso una posizione netta sul referendum, come invece ha già da tempo fatto D’Alema. Comunque, al di là dell’esito del referendum, necessitano di un cambio di passo altrimenti finiranno per consunzione anche nel caso vincessero la battaglia politica del No al referendum».

Ma come, se vince il No Renzi non è finito?

«Il voto è stato caricato di valori eccessivi. Renzi ha sbagliato a personalizzarlo e la sua retromarcia per quanto potente non è riuscita a cancellare le prime impressioni: la gente si recherà al seggio votando pro o contro di lui. Ma che vinca il Sì o il No, cambia poco, il sistema politico sarà capace di riassettarsi in fretta».

Cambia molto per Renzi però.

«Se perde, sarà costretto a gestire politicamente la sconfitta ma Renzi non finisce domani, potrebbe addirittura rigenerarsi dalla sconfitta, ormai è un uomo istituzionale. In politica si vince e si perde e chi ha obiettivi di cambiamento non si ferma di certo davanti alle sconfitte».

Aria di un nuovo Nazareno?

«A Berlusconi Renzi piace da sempre. Quando mi ricandidai a sindaco nel 2006 e con le nostre Liste Civiche prendemmo al primo turno il 33% dei voti, assistemmo a un piccolo Nazareno, forse furono le prove generali. Forza Italia si accordò con il Pd per sostenere Cenni, mio rivale».

La svolta gay di Chiara Appendino Il "coming out": cosa farà a Torino

La svolta gay di Chiara Appendino. Il coming out: ecco cosa farà a Torino



Trasferta a Londra per il sindaco di Torino Chiara Appendino dove sta partecipando al World Travel Market, la più importante fiera europea dedicata al turismo. L'altro ieri, lunedì 7 novembre, la Appendino, riporta il Corriere della Sera, ha promesso un circuito turistico lgbt: "Torino è tradizionalmente una città gay friendly e quindi abbiamo pensato di incentivare l'arrivo di questi turisti". Una categoria che, spiega Marcella Gaspardone, dell'ente promozionale di Torino e provincia, "amano viaggiare e spendere per cultura ed enogastronomia". Sul sito ci sarà quindi una sezione lgbt, accanto a quelle dedicate a bambini e famiglie, e verranno proposti pacchetti turistici a prezzi convenzionati in contemporanea con manifestazioni come il Gay pride o il Festival del Cinema omosessuale.

Bersani-Baffino, sondaggio horror: ecco quanti punti vale il loro partito

Sinistra Pd, i sondaggisti: il partito di Bersani e D'Alema vale il 5%


di Tommaso Montesano



Se la «ditta» di Pier Luigi Bersani dovesse effettivamente rompere con Matteo Renzi e correre da sola, in questo momento conquisterebbe sul mercato elettorale circa il 5%. Vale a dire quanto pesa, nelle attuali intenzioni di voto, tutta la galassia a sinistra del Pd renziano (Sinistra italiana, Sel, Rifondazione comunista). Un dato non esaltante, ma che comunque un danno ai dem lo provocherebbe. Con l’attuale legge elettorale, quell’Italicum in perenne odore di modifica, un 5% che cambia padrone a sinistra potrebbe mescolare le carte in tavola in ottica ballottaggio. Indebolendo il Pd, che scenderebbe al 25%, e indirettamente favorendo, data la prevalenza del M5S nei sondaggi (oltre il 31% secondo gli ultimi rilevamenti), il centrodestra unito, che con il suo 27% avrebbe la possibilità di sorpassare i democrat.

Discorsi teorici, avvertono i sondaggisti, visto che il destino della legge elettorale è appeso a quanto accadrà dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre. Fatto sta che negli istituti di ricerca l’analisi su quanto potrebbe incidere, e a favore di chi, l’eventuale scissione nel Pd è già in corso. Un dato è certo: il maggiore beneficiario, almeno come primo impatto, sarebbe il movimento di Beppe Grillo, che aumenterebbe il proprio vantaggio sul Pd. E anche il centrodestra, qualora trovasse una sintesi, per lo meno a livello numerico potrebbe tornare competitivo. La minoranza del Pd, infatti, è accreditata nei report che circolano negli istituti demoscopici di un consenso che oscilla tra il 5 e il 6%.

E qui entra in ballo la salute dell’area bersaniana. Nel 2013, in base ai dati delle primarie che incoronarono Renzi alla guida del Pd, la “ditta” controllava circa un terzo del partito. Una fetta corrispondente, certificò Ilvo Diamanti, a quanti nel Pd «esprimono molta-moltissima fiducia nella Cgil». Da qui, visti i numeri raccolti dai democratici alle Europee dell’anno successivo, la conclusione: il peso elettorale della minoranza si attesta «intorno al 10%» degli elettori.

Da allora, tuttavia, ne è passata di acqua sotto i ponti. Il consenso del Pd, e di Renzi, è diminuito. Ma la “ditta” non ne ha tratto vantaggio. Al punto che dalle rilevazioni sul gradimento, tra gli elettori democratici, delle misure nel frattempo adottate dal governo, l’area critica si è nel corso del tempo assottigliata, attestandosi tra il 15 e il 20% del partito. Dai cinque ai dieci punti in meno rispetto al 2013. Da qui la stima sull’attuale forza elettorale intorno al 5% di Bersani e soci.

A sfavore della minoranza dem gioca il precedente, tutt’altro che positivo, di Sinistra italiana, fondata da altri fuoriusciti del Pd, che finora non è riuscita a rendersi riconoscibile dall’elettorato. «Il tema della diseguaglianza, da solo, non basta più. Anche a sinistra, gli elettori vogliano altro. Non certo il ritorno di Massimo D’Alema...», si lascia sfuggiare il direttore di un istituto di ricerca che lavora spesso con il centrosinistra. «Non a caso la scissione, spesso annunciata, finora non è mai avvenuta. Vedremo se questa sarà la volta buona...».

Il lutto: è morto Umberto Veronesi Grande medico, pessimo politico

È morto Umberto Veronesi



A 90 anni è morto il famoso oncologo Umberto Veronesi. Fondatore e presidente della fondazione a lui intitolata, è stato il direttore emerito dell'Istituto europeo di oncologia. In passato aveva diretto l'Istituto nazionale dei tumori di Milano dal 1976 e 1994. Sposato, padre di sette figli, aveva 16 nipoti.

Veronesi è stato anche politico, ricoprendo l'incarico di ministro della Sanità dal 25 aprile 2000 all'11 giugno 2001 nel secondo governo di Giuliano Amato. Era stato eletto senatore nella XVI legislatura con il Partito democratico, incarico ricoperto fino al 22 febbraio 2011. Nominato direttore dell'agenzia per la sicurezza nucleare italiana, si dimise un anno dopo in polemica con il governo di Silvio Berlusconi.

Quasi tutta la sua vita è stata dedicata alla prevenzione e alla lotta delle malattie tumorali. In particolare il suo impegno si era concentrato contro il carcinoma mammario, la prima causa di morte per tumore per le donne.

STATI UNITI, TRUMP PRESIDENTE Pernacchia al mondo, Clinton distrutta

Usa 2016, Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti: Clinton demolita



Un duello serratissimo, un testa a testa zeppo di colpi di scena. Ma ora Donald Trump è, di fatto, il nuovo presidente degli Stati Uniti. Una questione di minuti, manca solo l'ufficialità, poi la Casa Bianca sarà sua. Contro tutto e tutti. Contro tutti i pronostici. Contro Hillary Clinton, che ne esce demolita, così come ne esce distrutto Barack Obama. Ora cambia la storia.

La festa al quartier generale di Trump era già iniziata poco dopo le 5 del mattino, ora italiana, quando secondo il New York Times, aveva "il 95% di possibilità di conquistare la presidenza". Tutto merito, inizialmente, di Florida e Ohio, due Swing State dove si è imposto con due clamorose rimonte: in entrambi Hillary Clinton era data in vantaggio, salvo doversi piegare a The Donald, che ha conquistato anche il Texas. Trump, inoltre, ha sfiorato la vittoria in Virginia, che avrebbe quasi tagliato fuori dai giochi la Clinton; all'ultimo, però, il risultato è girato a favore dei democratici. Tutto si gioca in Michigan, dove Trump è in vantaggio: in caso di vittoria del repubblicano, la corsa alla Casa Bianca sarebbe quasi blindata, mentre per la Clinton sarebbe quasi finita.

Gli Stati a Trump - I primi dati della nottata sono arrivati da Stati in cui il grande favorito era Donald Trump, ed è stata confermata la vittoria del repubblicano. A Trump vanno Indiana e Kentucky con un ampio vantaggio, rispettivamente con 11 e 8 grandi elettori.  A The Donald anche West Virginia, Virginia, Georgia e Tennessee. Poi si è imposto anche in Oklahoma e Mississippi. Quindi al repubblicano Alabama, South Carolina, Alabama, Arkansas, Nebraska, Kansas, Wyoming, North Dakota, South Dakota, Louisiana, Montana e Missouri. Verso l'alba, per Trump, la vittoria anche in Idaho, Utah, Wisconsin e Iowa. 

Gli stati alla Clinton - Hillary si prende il Vermont e i suoi tre grandi elettori: tutto come previsto, lo Stato era andato ai democratici anche nelle precedenti elezioni. Alla democratica anche la Virginia (13 grandi elettori) alla fine di un fondamentale e serratissimo testa a testa. Inoltre, alla Clinton vanno Illinois, New Jersey, Massachussets, Maryland, Rhode Island, Delaware (in tutti questi Stati la vittoria di Hillary era ampiamente pronosticata). Dunque anche lo stato di New York, Connecticut, Michigan e Nuovo Messico. Importante vittoria anche in Colorado, ma per Hillary il distacco sembra quasi incolmabile. A seguire, le scontate vittorie democratiche in California e Hawaii e Oregon.

martedì 8 novembre 2016

"Come puoi guarire se hai il cancro?" L'orrore del medico italiano: radiato

"Il cancro non si può curare": la frase da brividi dello studioso



L'origine del tumore è psicologica. Le metastasi non sono dovute al cancro primario ma all'ansia e all'agitazione da questo generate. Questa in sintesi la teoria estrema, che fa molto discutere, dello psicologo Sergio Paccosi, che sposa le teorie di Hamer ma è stato radiato per le sue posizioni. Paccosi, scrive La Repubblica, è il primo psicologo italiano radiato perché professa i principi dall'ex medico tedesco, pure lui allontanato dal suo ordine professionale nel 1986 a causa delle sue tesi. Secondo il pensiero dello psicologo, che illustra sul suo sito internet, la malattia ha origini psicologiche: sarebbero i conflitti interiori a provocare il tumore.

Lo psicologo fa un esempio: "Una mamma è preoccupata perché la figlia di 14 anni incomincia ad interessarsi dei ragazzi ma non ne parla. Potrebbe reagire in diversi modi: farsi il sangue cattivo (varici); rodersi dalla bile (epatite); farsi venire pensieri neri (emicranie); non sopportare che possa avere contatti con ragazzi (eczema)". Altra teoria: "Tutte le malattie sono reversibili! Dal raffreddore al tumore. A seconda della misura del nodulo sappiamo così se il Conflitto è ancora attivo (continua a crescere), si è fermato (è rimasto della stessa misura), è in fase di riparazione (è diventato più piccolo)".

A segnalare all'Ordine degli psicologi toscani Paccosi è stata una sua collega che aveva in cura una sua ex paziente. Immediato il provvedimento discipinare a cui è seguita la radiazione. Paccosi farà ricorso per avere la sospensione. Il presidente dell' Ordine, Lauro Mengheri, invita gli psicologi a seguire le evidenze scientifiche. "Non si possono promettere guarigioni miracolose", dice, "attraverso teorie spacciate a torto come scientifiche. È un atto gravissimo che mette in pericolo la vita dei pazienti creando false aspettative che rischiano di fare interrompere le cure tradizionali e di provata efficacia. 

La psicologia è una scienza che si avvale di strumenti e metodologie validi, facciamo sostegno psicologico e di psicoterapia ai malati oncologici, ad esempio. Ma questo tipo di trattamenti non hanno niente a che fare con i principi di Hamer, rifiutati da tutto il mondo scientifico".