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mercoledì 7 settembre 2016

L'intervista - Banche e terremoti, mazzata di Boldrin: "Nel declino l'Italia ci sguazza sempre"

Banche e terremoti, la mazzata di Boldrin: "Nel declino noi italiani ci sguazziamo"


intervista di Pietro Senaldi



«Dovevamo fermare il declino, alla fine il declino ha fermato noi. Niente da fare, ormai non vale neppure più la pena di tentare».

Storia di un insuccesso?

«Il successo è stato introdurre la parola declino nello storytelling italiano, per rubare un' espressione a Renzi».

A proposito, non avevate avuto un abboccamento?

«Ci speravo in Renzi. Noi di NoiseFromAmerika (prima di provare con altri creando Fermare il Declino) l' avevamo cercato quando diceva di voler rottamare tutto, ma lui era determinato a restare nel Pd».

Mica scemo...

«A lui interessa vincere, poco gli importa come e per fare che cosa. Se confronto le promesse ai risultati ottenuti, ha prodotto solo schie, come direbbero nel mio Veneto».

Schie? 

«Piccoli gamberetti della Laguna, che possono avere uno storytelling ottimo se fritti e abbinati alla polenta».

In Veneto, il padovano Michele Boldrin in realtà non ci vive da 33 anni, quando volò negli Usa per prendersi un Ph.D. in Economia e da lì iniziò a peregrinare per gli States e a insegnare. Quattro anni fa, la tentazione di provarci con la politica insieme a un gruppo di economisti amerikani come lui e altri tre italiani d'orientamento liberale. Ottime premesse, poi all'improvviso tutto si sgonfiò, il movimento fu affossato dal suo stesso front-man, Oscar Giannino, che malgrado quanto dicesse in giro da anni, la laurea non ce l'ha mai avuta, e tantomeno il Ph.D... «A pochi mesi dalla nascita eravamo già al 4%, sarebbe stato un grande successo elettorale, ma non voglio far polemiche, ho chiuso».

Giannino mi ha confessato di essere vittima di difetti congeniti incontrollabili, uno psicanalista mi ha detto che è posseduto da una patologia specifica, pseudologia fantastica sarebbe la diagnosi… «Credo che stavolta dica la verità e che questa si applichi anche ad alcune persone di cui si era circondato».

Ma per la destra italiana non c'è speranza oggi?

«È un dramma politico ed è un dramma antico che ora si sta aggravando, perché in Italia una destra vera e civile non esiste. Esistono Salvini e Meloni, che reputo al limite della follia. Il loro merito è aver riportato alla luce del sole quella destra fascio-razzista, che stimo intorno al 20% della popolazione, che è sempre esistita, ma che la retorica della Liberazione ha tenuto sommersa fino agli anni '90».

Quando parlavo di liberali italiani mi riferivo più all'area forzista...

«Un' Armata Brancaleone di orfani che sono stati assieme perché il collante Berlusconi permetteva loro accesso a posizioni di potere. Ora non più».

Perché l'Italia non ha mai avuto un leader liberale?
«Culturalmente siamo fermi al periodo delle Signorie, mentre economicamente e socialmente la struttura portante è ancora quella fascista, con corporazioni protette dalla concorrenza, micro-imprese scarsamente produttive, dirigismo e tanto Stato assistenziale. Non abbiamo mai avuto un leader liberale perché manca la base elettorale. Chi non è di sinistra, in Italia, solitamente non è liberale ma anarco-individualista, pensa a sé e guai a chi si intromette. Il concetto che la libertà altrui è un limite alla nostra non ci appartiene. Il mantra di ognuno è: meno tasse pago meglio è».

Parla da comunista, non da ultraliberista. D'altronde gli amori giovanili non si scordano mai, giusto?

«Lo dice lei che parlare così è da comunista. Nella subcultura della destra italiana ricordare i principi base dello Stato liberal-democratico è parlare da comunista. In ogni caso, per farla felice, ecco l' aneddoto: in terza media mi cacciarono da scuola perché la professoressa diede un tema sulla strage di Piazza Fontana e io attaccai con "Valpreda è innocente, la strage è di Stato...". Fu il putiferio, d' altronde che colpa ne ho se ho avuto una maturità precoce e Valpreda era effettivamente innocente? Ma ho lasciato il Pci a 22 anni, comunista in fondo non lo sono mai stato, non mi piacevano Mao e Stalin. E nemmeno Cuba. Al massimo comunistoide, se vuole affibbiarmi l' epiteto».

E libertario lo è davvero, o lo è almeno stato?

«Mai detto di esserlo. I libertari sono la versione individualista dei comunisti, stesse utopie pericolose. Predicano che, se educato, l' uomo diventa buono e costruisce il Paradiso in terra. Assurdità contraddette da storia e scienza».

Ma la ricchezza di uno poi non casca a pioggia su tutti?

«Il mercato privo di regole è violento, è la giungla. Quello regolato in modo concorrenziale premia i migliori e conduce all' efficienza e l' efficienza serve a tutti. Ma non è "giusto" a priori, semplicemente è il miglior mezzo a disposizione per organizzare la nostra vita economica. Schumpeter, il migliore, sostiene che il mercato è solo un' organizzazione umana nella quale lottiamo (producendo, innovando e commerciando) per il potere e la ricchezza. La qual cosa è molto preferibile al farlo fuori dal mercato, rubando, distruggendo e uccidendo».

Gli italiani oggi sembrano diventati tutti grillini...

«Noi non abbiamo mai avuto una visione dello Stato sociale. Viviamo in una cultura che mischia il signore che fa l' elemosina al popolino e il popolino che insorge contro il signore. La nostra sinistra è un insieme di lobby che pastura e distribuisce prebende. Oggi che c' è poco da distribuire è emerso M5S, che mischia l' eterna fascinazione per la rivoluzione alla decrescita felice, al mare bello, all' ambientalismo primitivista e a tutti quegli altri concetti che ci siamo inventati per impoverire senza sensi di colpa, anziché rimboccarci le maniche e progredire».

La sua narrazione non spiega gli anni del Boom: siamo arrivati a essere la settima potenza economica al mondo, è stata una casualità?

«Eravamo settimi perché non ce n' erano otto grandi abbastanza nel mondo libero. Quanto si sta bene non si vede dal prodotto interno lordo, ma dal reddito pro capite, e lì non siamo mai stati tra i primi. Gli anni '50 e '60 sono stati l' eccezione, il Paese si è industrializzato favorito da pressioni esterne e da una manodopera a basso costo. Eravamo i cinesi d' Europa e una classe imprenditoriale si stava formando, ma le generazioni successive non sono state all' altezza. E poi…».

E poi cosa? 

«E poi l' Italia non è tutta uguale. Nelle città del Nord e di parte del Centro esiste una borghesia di livello europeo che si dà da fare. Discende da quella dei Comuni e in parte dall' influenza dell' Impero austroungarico con qualche spruzzo francese. Ma qui al Sud, dove sono da tre mesi, siamo fermi quasi al Medioevo o alle Signorie, con il potente locale che attraverso lo Stato distribuisce briciole alla plebe. Sono qui in Sicilia: è tutto bellissimo, il mare, le montagne, i templi, il barocco, la cucina, ma quasi nulla di tutto questo è stato fatto dai siciliani di oggi; è stato ereditato e, francamente, non mi pare gestito al meglio».

Restiamo un popolo ricco...

«Sempre meno. Siamo ricchi di case, ma a parte posti come Venezia, Portofino, il centro di Firenze, Milano, Roma, quanto valgono? Hanno perso in pochi anni il 30% del valore. Siamo ricchi di immobili, ma non di azioni, le nostre imprese sono sotto capitalizzate e per lo più non investono».

Negli Stati Uniti, dove vive otto mesi l' anno, come ci vedono?

«Con grande simpatia, per l' arte, il turismo, il cinema, perché le persone sono amichevoli e accoglienti e si mangia bene. Ma dalla Silicon Valley ci valutano solo una variante sofisticata e divertente della Grecia, un museo popolato da persone ferme al Medioevo, dove ogni tanto nasce qualcosa o qualcuno di nuovo e intelligente».

Non c' è proprio nulla da cui ripartire per venirne fuori?

«Quattro anni fa le avrei detto i 10 punti di Fermare il declino, ma ormai abbiamo sprecato troppo tempo. Se proprio devo dire una cosa, rispondo che si deve ripartire dalla scuola».

Se siamo messi così male non ne abbiamo il tempo, non crede?

«Il problema culturale è profondo. Le nuove generazioni sono del tutto impreparate a vivere in un mondo globale, non italo o euro-centrico, dove ci sono persone brave e preparate ovunque e l' orizzonte non si ferma alla pasta, alla pizza e al Rinascimento».

Non è un giudizio troppo severo?

«Precisione, conoscenza, concorrenza e rispetto di regole e accordi sono le armi con cui si combatte nel mondo oggi. E se perdi, non ci sono sussidi. Le sembrano principi compatibili con l' Italia? Ancora ci crediamo un faro di civiltà».

Professore, mi ha montato addosso una malinconia...

«Pensi agli scandali delle banche e al terremoto. Il modo in cui stiamo affrontando queste due calamità dice molto del Paese».

Partiamo dalle banche: non se la prenderà mica con i truffati?

«Insomma. I titoli di Stato a cinque anni rendono lo 0,19% e i risparmiatori credono a chi promette loro guadagni senza rischi. Nessuno si responsabilizza, nemmeno rispetto al proprio denaro, crediamo ai miracoli».

Mi scusi, ma io tendo a dare più colpe alle banche...

«La Popolare di Vicenza ha lasciato sul lastrico 130mila famiglie, in pratica una provincia. Ma Zonin era riverito come un doge a Vicenza, nei 25 anni in cui è stato presidente dell' istituto tutti facevano a gara per compiacerlo. Ancora oggi, chi lo tocca? Negli Usa il miliardario Bernie Madoff è stato condannato a 150 anni di carcere per aver truffato i suoi investitori. Conosco persone a cui ha fatto perdere soldi, ma tutti quando ne parlano per prima cosa dicono "sono stato uno stupido", non "lui è un criminale", malgrado perfino Wikipedia lo definisca così».

Con i terremotati perché ce l' ha?

«Non ce l' ho con i terremotati, ma con il modo in cui stiamo gestendo il sisma, una reazione solo emotiva condita da tanta retorica e propaganda».

Non è vero, il Paese si sta interrogando sulla mancata prevenzione, stiamo aprendo inchieste...

«È impopolare dirlo, ma vale la pena ricostruire paesini quasi abbandonati su terreni altamente sismici? Come l' esempio di Norcia prova, i morti si sarebbero potuti evitare se le amministrazioni locali avessero fatto il loro dovere! E anche se lo Stato avesse detassato le ristrutturazioni antisismiche o avesse attuato seri piani nazionali come hanno fatto Cile e Giappone, dove scosse del 6° scala Richter producono danni limitati e uccidono solo pochi sfortunati. Finiamola con le sinfonie patriottiche consolatorie».

Mi lasci con un messaggio positivo, la prego… 

«Il mio messaggio è positivo. Per cambiare occorre conoscere gli errori e riconoscerli! Qualsiasi società cresce se a quel 5-10% di cittadini in grado di far le cose meglio degli altri e vogliono farle è consentito lavorare. Il restante 90-95% va a rimorchio, meglio riconoscerlo. Quel 5-10% c' è anche in Italia: facciamolo lavorare in pace».

Basta questo?

«È già qualcosa. Ma il vero problema è che in Italia ci sono milioni di confusi e sottomessi, convinti di essere dei privilegiati perché ricevono 80 euro in più o una pensione anticipata o lo sgravio fiscale. Un' immensa illusione sociale in cui i servi non si rendono conto della propria condizione perché il padrone ogni tanto getta loro una bistecca. L' Italia fermerà il declino se i servi romperanno l' omertà con le signorie. Ma lo possono fare solo le prossime generazioni, e qui si torna all' importanza della scuola».

Dopo lo scudetto revocato, altro schiaffo alla Juve: addio a 433 milioni

Dopo lo scudetto revocato, altro schiaffo: addio a 433 milioni



Il Tar del Lazio ha detto no al ricorso della Juventus che chiedeva un maxi risarcimento (433 milioni di euro) per il danno subito a seguito della revoca dello scudetto del 2006 con conseguente retrocessione. Secondo quanto scritto nella sentenza, pubblicata oggi, "il Tar non può pronunciarsi se lo ha già fatto il collegio arbitrale". 

La questione risale alle note vicende di Calciopoli che portò all'applicazione da parte del Coni di sanzioni nei confronti della Juventus e all'attribuzione dello scudetto all'Inter. In particolare il Tar ha respinto la domanda di risarcimento "ritenendo che l'intera vicenda fosse stata già trattata in un precedente ricorso, presentato sempre dalla Juventus nel 2006, e poi abbandonato dalla società, che preferì ricorrere al lodo arbitrale da cui tuttavia uscì sconfitta." 

In Federcalcio questa notizia è stata accolta con piacere: "È chiaro che siamo soddisfatti", fanno sapere da via Allegri. "Tra l'altro se la motivazione è questa il giudice ha accolto in pieno la tesi della nostra memoria".  

Renzi, una ferocia mai vista. Da Vespa, umilia e sfotte la Raggi: "Io sono pronto a...". Da brividi

Renzi, una ferocia mai vista. Da Vespa, umilia e sfotte la Raggi: "Io sono pronto a...". Da brividi



Gongola, Matteo Renzi da Bruno Vespa. Il premier a Porta a Porta annuncia le novità sulle pensioni, parla di referendum e - ovviamente - affonda la lama nella ferita del Movimento 5 Stelle, il caos romano che sta travolgendo la sindaca Virginia Raggi. Già, perché i grillini contro Renzi hanno sempre cannoneggiato, e parecchio. Troppo ghiotta per Renzi, insomma, l'occasione. Il commento arriva, e durissimo: "Mai viste tante bugie tutte insieme e da politico ne ho viste tante", ha affermato. E ancora: "A me dispiace perché l'immagine di Roma è l'immagine dell'Italia. Mi dispiace umanamente e politicamente". Insomma, Renzi afferma da Vespa di conoscere molto bene il tema "bugie", evidentemente gioca in casa. 

Dunque, il premier aggiunge: "Cinque stelle e due morali. Se indagano uno del Pd deve andare in galera. Se indagano uno dei Cinque Stelle è colpa dei poteri forti. Spero che l'atteggiamento di doppia morale dei grillini dopo questa vicenda finisca". Infine, Renzi, sibillino ha aggiunto: "Io comunque non festeggio. In bocca al lupo a Virginia Raggi, noi siamo perché Roma risolva i suoi problemi e, da governo, siamo pronti a dare una mano". Una frase, quest'ultima, che ai maliziosi suona più come un corrosivo sfottò piuttosto che una mano tesa...

"La mia vita rovinata. Per vent'anni..." L'ex addetta stampa spara su Fede

La drammatica lettera dell'ex addetta stampa: "Così Emilio Fede mi ha rovinato la vita"



"Demansionata, isolata, abbandonata da Mediaset", "in balia di un direttore che riversava su di me i suoi rancori". E' la lettera-denuncia a Dagospia di Fernanda Elena Gozzini, per vent'anni addetta stampa di Emilio Fede. "Venti anni difficili, impegnativi", spiega, "ma da me portati avanti con serietà e passione".

Quando Fede per le note vicende giudiziarie viene rimosso dal Tg4 la Gozzini viene trasferita a Cologno. Qui cominciano "due mesi di nulla, ignorata e isolata da tutti coloro che fino al giorno prima mi elogiavano per aver resistito tanti anni con un direttore esigente e difficile". Quando a Fede viene dato un altro incarico in azienda, per la Gozzini cominciano "altri due anni di solitudine, demansionata a fare un lavoro di pseudo segreteria che non mi competeva", "abbandonata dall'Azienda in balia di un ex direttore che riversava su di me i suoi rancori". Poi, il 30 ottobre 2014 parla con il capo del Personale: "È finita con Fede, finisce anche con te". "Fatto fuori lui, fatta fuori io. Senza motivo, senza un perché, lasciata in strada dalla sera alla mattina". "Io non ero assunta, da sempre collaboratrice… Mi sono ammalata di una seria patologia causa stress e dispiacere".

Ma la più grande delusione, dice, "l'ho avuta da Piersilvio Berlusconi, al quale scrissi per informarlo di ciò che mi era accaduto senza alcun motivo", "sono stata totalmente ignorata" e Silvio Berlusconi, "grande uomo che stimo da sempre e che sempre ha affermato che le sue aziende non cacciano nessuno, mi ha riservato lo stesso trattamento". Fede, insomma, le ha rovinato la vita: "Quello che per venti anni come sua addetta stampa e del Tg4 sembrava essere un fiore all'occhiello e un privilegio tra le mie esperienze professionali si è rivelato essere invece un vero danno per me, la mia famiglia e la mia salute".

martedì 6 settembre 2016

Il volo fantozziano sulla barca Renzi-gaffe coi potenti del mondo

Renzi cade in barca al G20 davanti a tutti i potenti del mondo



La notizia l'ha data il quotidiano inglese The Independent nella sua versione online. Parla non della neo Prime minister britannica Theresa May, ma del nostro prime minister, Matteo Renzi. E' successo che al G20 che si è concluso poche ore fa in Cina, il nostro si sia reso protagonista di un episodio a dir poco imbarazzante. Beffando schiere di guardie del corpo, è infatti accaduto in quel di Hangzhou che un pesce sia finito dentro la barca che stava trasportando i leader mondiale per un rilassante giro sul lago seguito da drink, cena e concerto.

L'arrivo del pesce ha creato un certo scompiglio, coi potenti del mondo che non volevano certo inzaccherarsi scarpe o vestito. L'unico che ha avuto, va detto, il coraggio di intervenire nei confronti dell'indesiderato ospite che stava prendendo di mira proprio la May, pare sia stato Renzi. Che ha tentato di respingere in acqua il pesce con un calcio, ma nel tentativo è finito lungo disteso sul pavimento della barca. Lo Independent ironizza pure sul ruolo di Rottamatore dell'ex sindaco di Firenze: "the scrapper" lo chiama. Compito che pare non aver saputo portare a termine, oltre che in Italia, pure su quella barca in Cina.

Ritratto di D'Alema il signore dei No che cosa c'è dietro l'odio per Renzi

Ritratto di D'Alema il signore dei No, che cosa c'è dietro l'odio per il Premier Matteo Renzi


di Giancarlo Perna


D'estate quando i politici vanno in ferie, c'è sempre uno di loro che approfitta delle assenze per prendersi la ribalta. Spesso è il colpo di coda o canto del cigno, chiamatelo come volete, di uno che contava e che ormai non conta più. Prima di rassegnarsi al dimenticatoio, Pierferdinando Casini - per fare un esempio - era un abbonato alle uscite ferragostane pubblicate con evidenza dai giornali in mancanza d'altro. Una volta, ricordo, propose un'alleanza trasversale - centro, sinistra, sinistra estrema - per liberare l' Italia da Silvio Berlusconi. Erano giorni torridi, oltre i 40 gradi. Con le prime brezze di settembre, puntualmente, Casini tornava nell'alveo del suo partito zero virgola, che allora si chiamava Udc, oggi non so, ibernandosi per un anno. Un altro che per alcuni agosti non ci ha fatto mancare i titoloni, è stato il capo di An, Gianfranco Fini. 

Era l'epoca in cui, da presidente della Camera (2008-2013), voleva annichilire il Cav. Mai però contrapponendosi a viso aperto per contendergli la leadership - non ne aveva i mezzi, né l'ingegno - ma solo a furia di agguati e insulti. Occupato in questi funambolismi, evitò di spiegare il come e il perché di quell' appartamento monegasco che, ereditato dal partito da un' anziana signora, finì garçonnière del cognatino Tulliani. Un mistero tuttora intatto. 

GLI AVVERSARI

Simile a Fini nello stile è il fenomeno da baraccone di questa estate: Massimo D'Alema. Già pezzo da novanta della sinistra, Max - che politicamente non conta più un tubo - è però richiestissimo come anti Renzi. È l'attrazione principe delle varie Feste dell' Unità, dove si esibisce come oppositore del segretario, tra gli applausi dei cuperliani e i lazzi dei mariaelenaboschisti. Il suo cavallo di battaglia è il No al referendum. Del quale in realtà non gli importa un piffero ma che usa come piede di porco per scalzare Matteo Renzi. Il giovanotto fiorentino è la sua ossessione del momento.

Max ha sempre qualcuno che gli sta antipatico. Magari uno con cui era in amorosi sensi fino all'istante prima. Ai tempi di Achille Occhetto segretario Ds, ne era il vice e gli scodinzolava attorno. Ma appena Occhetto è inciampato, perdendo nel 1994 il confronto elettorale col Cav, gli ha impietosamente soffiato il posto, dandogli un pedatone come nemmeno al peggior nemico. Idem con Walter Veltroni. Per anni, i due sono andati a braccetto come Bibì e Bibò ma poi, ogni volta che Walter gli ha chiesto di tendergli una mano, l' altro gli ha mostrato i moncherini.

Torniamo all' ostilità per Renzi. D' Alema da tre anni non è più nemmeno deputato e da otto non ha un incarico. Poiché era stato segretario del partito (1994-1998), premier (1998-2000) e ministro degli Esteri (2006-2008), essere a spasso gli secca. In fondo, ha solo 67 anni - che per un politico equivalgono ai 30 dello sportivo - ed è a bocca asciutta da quando ne ha 59.

Allora, di fronte a questo deserto, il fatto che Renzi neppure abbozzi il gesto di recuperarlo, lo manda in bestia. Ma come, perdinci, tu hai uno come me che sul Colle ci starebbe a pennello, per esperienza, baffi e phisique du role, e ci piazzi quella minestrina scipita di Sergio Mattarella? Che fai, sfotti? E vogliamo parlare di Federica Mogherini, che hai preferito a me come ministro degli Esteri Ue, quando lei non sa neppure dove sia il Tahuamanu, mentre io sono di casa a Kalam, Junin, Bacsalmas e a Zonguldak?

LA MINORANZA

Quindi, l'irrispettoso e arrogante Renzi è nel suo mirino. Max, ovviamente, nega di avercela con l' ex boy scout ma poi ci casca. Nell'ultima tappa della sua tournée festivaliera, a Villa Bellini di Catania, ha esordito: «Non faccio parte di nessuna minoranza, faccio parte di me stesso». Cartier-Bresson non l'avrebbe fotografato meglio: che Max sia un mondo a sé, sordo agli altri, non ci piove. Ha poi aggiunto: «Renzi a me non interessa…» e subito dopo lo ha fatto a fette: «La sua spinta innovatrice si è affievolita.  Sta diventando un politico come gli altri, con tutti i peggiori difetti di un politico normale». Il che sarà pure vero ma non spiega perché. Lo stesso fa con il No al referendum.  Sostiene che la riforma del Senato sia pessima, analfabeta, pericolosa e che lui, con tre modifiche tre, sistemerebbe tutto. Però non porta una pezza d' appoggio e sorvola.

Anzi, l'unica affermazione chiara che ha azzardato è risultata una balla. Qualcuno, nel dibattito, gli aveva fatto osservare che se appartieni a un partito dovresti seguirne la linea e, nel caso specifico, votare Sì come chiede Renzi. Al che Max, facendo sfoggio di erudizione, ha ribattuto che il costituente Concetto Marchesi, mitico latinista, votò contro la Carta del 1948, disobbedendo al capopartito, Togliatti. Neanche si era spento l' eco della voce tra gli zefiri di Villa Bellini che, testi alla mano, si ristabilì la verità storica: Marchesi non si oppose alla Costituzione ma solo all' articolo 7 che recepiva i Patti Lateranensi; non aveva votato contro ma si era assentato dall' Aula; Togliatti lo aveva autorizzato a farlo e quindi non gli aveva disobbedito. Se le critiche di Max alla riforma hanno lo stesso fondamento, stiamo freschi.  In realtà, come sappiamo, quella di D' Alema è un' idiosincrasia personale verso il Premier che lo ignora sfacciatamente. Qui sta anche l' analogia, già accennata, con quell' altro disturbatore estivo che fu Fini. Come costui con Berlusconi, anche D'Alema anziché opporsi apertamente a Renzi e sfidarlo per la supremazia nel Pd, si limita a mettergli i bastoni tra le ruote. Non è che abbia una visione alternativa del partito, dell' Italia, dell' Ue o quant'altro, vuole solo rompere le scatole, senza metterci la faccia. Un mero guastatore, difetto che a vent' anni si tollera ma alle soglie dei settanta ti squalifica.

IL RAPPORTO CON VIOLANTE 

Tempo fa, Luciano Violante scrisse sul Corriere un articolo di analisi psicologica dei vecchi in politica. Violante è noto a tutti. Ex magistrato entrato in giovane età in Parlamento nei ranghi del Pci e considerato per decenni il capo del partito dei giudici sinistri e sinistrorsi. Con D'Alema - come con tutti gli altri capi comunisti - Violante è andato d' accordissimo tanto che fu innalzato alla presidenza della Camera (1996) durante la sua segreteria. È, dunque, insospettabile di malanimo. Eppure, sul Corriere prende proprio D'Alema come esempio negativo di politico che invecchia male, tra presunzioni, rancori e invidie. Non lo nomina mai, però è riconoscibile come la sagoma di Alfred Hitchcock nei suoi film. «Uno dei difetti dei vecchi, in politica - scrive Violante -, è pensare a se stessi come i più scaltri e quindi insostituibili... I vecchi hanno memoria e storia, ma a volte si tratta di vetri appannati… I vecchi devono soprattutto evitare di riproporre se stessi. Il rischio è di diventare penosi». È strapparmi le parole di bocca, tanto il ritratto è preciso.

Certo, osserva ancora Violante, diverso sarebbe se il vecchio sfidasse apertamente il giovane per la leadership. Se però non lo fa, per mancanza di energie o altro, come non lo fa D' Alema, taccia e rispetti chi si è assunto la responsabilità della guida. E qui, pare che Violante parli di sé. L'ex giudice infatti, ormai settantaquattrenne, si guarda bene dal cadere nella sterile stizza dalemiana e, nonostante Renzi trascuri pure lui (non gli ha ottenuto il seggio di giudice costituzionale nel 2014), evita di denigrarlo sulle riforme. Anzi, voterà Si al referendum e, per spiegarlo, ha scritto in una nota - pubblicata on line dall' Huffington Post - che è, finora, la più completa illustrazione della ragioni a favore. Pure qui, è come se dicesse a Max, da vecchio a vecchio: ecco il ruolo della nostra età, ragionare e illuminare le cose difficili. Senza contendere rabbiosamente alle nuove generazioni gli anni che sono i loro. Ma figurati mai se D'Alema o Berlusconi ci sentono da quell'orecchio.

Al Salone di Parigi debutta lo "Stelvio", il primo Suv di Alfa Romeo

Al Salone di Parigi debutta lo "Stelvio", il primo Suv di Alfa 



Il fenomeno tiene botta da parecchie stagioni e non pare in declino. Il mercato è tutt'altro che saturo, come testimoniano i nuovi modelli che vengono continuamente buttati sul mercato in tutte le fasce di prezzo e per tutte le fasce di clientela. E ora, forse con colpevole ritardo, anche un marchio prestigioso e di grande tradizione si affaccia sul mondo dei Suv (Sport utility vehicle) con lo "Stelvio" che sarà presentato al Salone dell'Auto di Parigi tra l'1 e il 16 ottobre. Un modello, lo "Stelvio" che dovrebbe aiutare a gonfiare le vendite annue di Alfa Romeo verso l'obiettivo delle 400mila unità, target inizialmente previsto per il 2018 ma poi spostato avanti a causa della imprevista debolezza del mercato cinese.