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domenica 14 febbraio 2016

Inquietante allarme degli 007 francesi: "Sarà peggio di Parigi, altri attentati"

L'allarme degli 007 francesi: "In Europa altri attentati" 




Il premier francese Manuel Valls a Monaco, a margine della conferenza sulla sicurezza, ha lanciato un inquietante allarme. "Ci saranno altri attacchi e grandi attentati in Europa, questa è una certezza. La minaccia non diventerà minore, anche se noi lo vorremmo". Ribadisce il suo pensiero sottolineando come siamo entrati nell'epoca "dell'iper-terrorismo". E afferma: "Dobbiamo dire questa verità alla nostra gente: ci saranno altri attacchi. Questa minaccia è destinata a durare. Per questo dobbiamo combatterla con la più grande determinazione".

La verità dagli Usa sull'omicidio Regeni Gli egiziani confessano: "Come è morto"

La verità dagli Usa sull'omicidio Regeni. Chi lo ha rapito e perché è morto


di @Juan_r


Giulio Regeni sarebbe stato fermato da alcuni agenti della polizia egiziana perfettamente consapevoli che nelle loro mani avevano un cittadino italiano. È quanto emerge dal racconto di tre funzionari della sicurezza egiziana coinvolti nelle indagini che, intervistati dal New York Times, avrebbero di fatto allontanato le ipotesi che escludevano un coinvolgimento della polizia egiziana nella scomparsa del giovane italiano.

L'arresto - I tre funzionari hanno confermato separatamente che Regeni è stato arrestato il 25 gennaio, dopo che alcuni agenti lo avevano fermato vicino casa sua, mentre stava per prendere la metropolitana. Altri testimoni hanno visto Regeni mentre veniva fermato verso le 19 da due agenti in borghese. Uno dei due ha perquisito lo zaino del ragazzo, mentre l'altro gli ha controllato il passaporto. Da quel momento lo hanno portato via. Secondo i testimoni: "uno dei due agenti era già stato visto nel quartiere in diverse occasioni, e aveva fatto domande ad alcune persone su Regeni".

L'interrogatorio - I tre funzionari ascoltati dal Nyt sostengono che nel corso dell'interrogatorio Regeni si sarebbe "comportato da duro", reagendo bruscamente alle domande degli agenti. A insospettire i poliziotti sarebbero stati i contatti trovati sul cellulare del ricercatore, numeri di presunti attivisti e fiancheggiatori di Fratelli musulmani e del movimento di opposizione al governo di Al-Sisi "6 aprile". A rendere più complicata la posizione del 28enne friulano sono state le sue ricerche sui sindacati indipendenti in Egitto, i poliziotti si erano quindi convinti che fosse una spia. Non poteva essere altrimenti, stando al ragionamento dei tre funzionari: "Dopo tutto, chi viene in Egitto a studiare i sindacati?"

Anche i senatori "furbetti del tesserino" Timbrano e fuggono: 3.500 euro al mese

I senatori timbrano il tesserino e vanno via: un trucchetto da 3.500 euro al mese


di Francesco Specchia



Poi uno dice l’eutanasia di Palazzo Madama, il suicidio dei senatori, la pregevole arte dell’assenza. Mentre ancora echeggia il progetto di «armonizzazione» che consentirà (sempre che passi) ai prossimi senatori «riformati» dalla riforma Boschi di recuperare, di riffa e di raffa, il loro stipendio, ecco che gira, tra gli stessi senatori, un’altra deliziosa consuetudine. Quella di lasciare inserito il tesserino sul loro scranno per poi tornare a riprenderselo a fine seduta. Il loro voto non risulterà, ovviamente; ma i senatori verranno considerati presenti a tutti gli effetti. Evitando così la decurtazione della diaria, la cui indennità fissa è di 3.503 euro al mese. Non è il tradizionale caso dei «pianisti». No. Qui siamo di fronte a qualcosa di più evoluto. Qui la strisciata del tesserino prevede smemoratezza istituzionale, indolenza del gesto, diventa puro epos politico legato al denaro e non all’ideologia.

Di questo fenomeno assolutamente trasversale s’è avveduto Il Messaggero, indagando tra i commessi del Senato e tra i questori curiosamente rimasti finora ignari della pratica. «Tutto nasce dalla necessità di garantire ai senatori la possibilità di essere “presenti ma non votanti”. Necessità dettata dal fatto che in Senato, a differenza della Camera, l’astensione è considerata voto contrario...», scrive il collega Claudio Marincola. Ed è vero. La raccolta dei due piccioni con una fava è un must letterario per i senatori. Ai quali spettano due badge nominali per votare; e uno rimane sempre più spesso infilato in quelle fessure che vedono pezzi d’istituzione protagonisti di fenomeni d’assenteismo sempre più immaginifici all’appropinquarsi della ristrutturazione della prima Camera. Immaginifici al punto che Giorgio Napolitano, la settimana scorsa, dichiarò, spossato, che «si può fare di più, lavorare 30/40 ore a settimana non basta», e che non era «serio riunire le commissioni in pausa-pranzo». A dire il vero il presidente emerito è supportato dal quel poveretto di Pietro Grasso, il presidente meno emerito che, alla richiesta d’aumento di produttività dai suoi colleghi, rimbalza da mesi contro un muro di gomma. Nulla da fare. La diaria, il rimborso di soggiorno - decurtata dal 2001 di 206, 58 euro per ogni giorno di assenza e per chi «non partecipa almeno al 30% delle votazioni effettuate nell’arco delle giornata» - rimane, per il parlamentare italiano, un elemento ontologico. Rimane, in verità, un elemento ontologico anche per il parlamentare italiano romano di Roma, cioè in teoria deprivato di spese di affitto o di viaggi. Certo, Grasso oggi ha incaricato il questore Antonio De Paoli di aprire su quest’affaire un’inchiesta. Tra l’altro, proprio nel giorno in cui ad Acireale si consumano gli arresti in flagranza di altri furbetti del cartellino negli uffici comunali. D’altronde, di recente, l’essenza dell’assenza s’è diffusa in modo esponenziale proprio mentre tra gli scranni si decidevano le controverse riforme renziane. Finirà a tarallucci e vino, ovvio.

Però, il colpo d’occhio, a Palazzo Madama, è sempre emozionante, come ai tempi delle sala delle pallacorda della rivoluzione francese, solo con meno presenti. Per dire. Aula semivuota per l’approvazione del Ddl Boschi per il quale, fino a qualche ora prima sui giornali e in tv, si facevano le barricate. Aula sorda e grigia, senza nemmeno il bivacco di manipoli, per la mozione di sfiducia di fine gennaio al governo Renzi. Aula desertica soltanto tre giorni fa, all’audizione in commissione Difesa sulla missione in Somalia (abbiamo ancora una missione in Somalia?), con 7 membri presenti, 4 M5S, 2 Pd e un Gal, eroico.

Certo, in tutto questo, non c’è l’ineleganza del vigile di Sanremo che timbra in mutande, ma il fenomeno è comunque irritante. Tanto che, non molto tempo fa, il senatore Lorenzo Battista del Gal, in uno scatto d’autocoscienza, propose un ddl che prevedeva la decadenza dei colleghi assenteisti. Ovviamente quel ddl rimase seppellito tra gli scranni. Ah, il Senato, questa bestiola indomabile. Lontani i tempi dell’assenteismo inquieto e quasi tenacemente rivendicato dei grandi campioni (il top, occorre dirlo, a centrodestra) Verdini, Ghedini, Bondi, MariaRosaria Rossi, oggi l’oblio del tesserino orfano diventa la testimonianza d’un comune, irreversibile cupio dissolvi. Tra l’altro, si rileva anche un modo astuto, da parte di deputati e senatori, di evitare i monitoraggi su gran parte della propria attività parlamentare registrata dai siti come OpenParlamento, per esempio. In soldoni, la finta dimenticanza del tesserino, risulta soprattutto un modo subdolo per ingannare il proprio elettorato. Ed è anche un’attitudine non sanzionata dai giudici ordinari, protetta com’è dall’istituto -obsoleto e inopportuno- dell’«autodichia», ossia dall’autonomia organizzativa tipica delle due Camere, del Quirinale e della Corte Costituzionale. Roba che consente l’impunità civile e amministrativa ordinaria agli stessi parlamentari. Di fatto, se i dipendenti comunali rischiano il licenziamento (ma non avverrà...), gli astuti omarini di Palazzo Madama avranno, al massimo, una sanzione, o una sospensiva. E poi mi vengono a dire del Senato, della sacralità dell’istituzione... 

Il complotto per far cadere Renzi: chi sono i mandanti, chi lo sostituirà

Il complotto per far cadere Renzi: chi sono i mandanti, chi lo sostituirà




Claudio Cerasa sul Foglio lo chiama il "club degli ex premier". Sono tre, tutti di sinistra e tutti rigorosamente anti-renziani: Romano Prodi, Massimo D'Alema ed Enrico Letta. Secondo Cerasa, grazie alle loro influenti entrature presso diplomazie e burocrazie europee e apparati ministeriali interni, da settimane stanno cercando di far cadere Matteo Renzi. Un piano che, suggeriva anche Luigi Bisignani, vede confluire inchieste giudiziarie e spericolate manovre speculative finanziarie su Borsa e spread, senza contare i riassestamenti mediatici di Repubblica (con gli editoriali di Eugenio Scalfari) e Corriere della Sera (con fondi sempre più critici col governo) in linea proprio con le posizioni di Prodi, D'Alema e Letta. 

La manovra romana - Il "complottone" in stile Berlusconi 2011, che lo stesso Giorgio Napolitano si è premurato di smentire, è però una ipotesi che a Palazzo Chigi considerano da tempo, viste anche le crescenti difficoltà nel gestire il Pd in Parlamento. Il banco di prova decisivo sarà però la tornata elettorale. Secondo il Giornale, è a Roma che i dem anti-renziani si stanno organizzando al meglio per affondare il premier. Lo strumento è il sostegno compatto a Roberto Morassut, lo sfidante nelle primarie del renzianissmo Roberto Giachetti. Con Morassut ci sono, oltre a D'Alema e Pierluigi Bersani, anche Walter Veltroni, Goffredo Bettini e più defilato il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. L'obiettivo non è solo far vincere Morassut, ma complicare la vita a Giachetti e Renzi anche a costo (o forse proprio per) consegnare la Capitale al Movimento 5 Stelle. Una sconfitta di quella portata, infatti, non potrebbe non provocare un terremoto a livello politico dentro il Pd.

Il "nuovo Monti" è Tito Boeri - Le grandi manovre degli ex premier, però, secondo il Foglio sono finalizzate alla sostituzione di Renzi con un "tecnico alla Monti": il nome è quello di Tito Boeri, presidente  Inps con pedigree assolutamente in linea con i profili graditi agli ambienti politico-finanziari internazionali. Professore ordinario di Economia del lavoro alla Bocconi, ex consulente del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e della Commissione europea, senior economist all'Ocse dal 1987 al 1996, e ben visto anche a sinistra del Pd, Boeri è già entrato in conflitto con il premier sia sul Jobs Act che sul piano pensioni. Non sono casi, ma segnali.

JUVE IN PARADISO PER DISGRAZIA Zaza-gol beffa il Napoli: sorpasso scudetto all'88'

JUVE IN PARADISO PER DISGRAZIA Zaza-gol beffa il Napoli:  sorpasso scudetto all'88' 




Il tiro di Zaza, la deviazione di Albiol e per il Napoli è beffa all'88': la Juventus vince lo scontro diretto ed è sorpasso-scudetto. Allo Juventus Stadium i bianconeri centrano la quindicesima vittoria di fila e completano una rimonta stellare. A 13 gare dalla fine la classifica dice 57 punti a 56, ma gli uomini di Sarri si confermano squadra di altissimo livello. Partita molto equilibrata allo Juventus Stadium, poche occasioni da gol. Bonucci salva in spaccata acrobatica anticipando Higuain da due passi, nella ripresa Dybala spedisce alto dal limite di sinistro. Il Napoli tiene il campo con attenzione, la Juve prova a far gioco, i ritmi sono bassi. Hamsik nel finale sfiora l'incrocio da fuori ma a decidere è il subentrato Zaza, col tiro sporcato da Albiol che beffa Reina. E la Signora è in Paradiso per disgrazia. 

A Sanremo 2016 vincono gli Stadio Verdetto a sorpresa: ecco il podio

Sanremo 2016, la classifica finale: vincono gli Stadio




Nella lunghissima notte della finale di Sanremo Carlo Conti ha incoronato il vincitore, a sorpresa i veterani Stadio, che erano quasi increduli per il trionfo. Seconda la giovanissima Francesca Michelin. Terzi i super favoriti Giovanni Caccamo con Deborah Iurato. Il premio della critica è andato a Patty Pravo. Il vincitore va dritto alla finale di Eurovision Song Contest. 

sabato 13 febbraio 2016

Rai, a rischio più di 160 lavoratori nell'appalto centri produzioni tv

Rai, a rischio più di 160 lavoratori nell'appalto centri produzioni tv Rai di Roma


a cura di Gaetano Daniele



Riceviamo e volentieri pubblichiamo, la denuncia, ahimè dolente, che riguarda oltre 160 lavoratori (160 famiglie), che in appalto dei servizi di manovalanza e trasporto presso i Centri di produzione Tv Rai di Roma, rischiano il posto di lavoro per il cambio di appalto, previsto dal prossimo 12/13 febbraio e attualmente in attesa di una sentenza da parte del Tar del Lazio. 

A denunciare questo pericolo sono appunto, il presidente del Consorzio italiano cooperativo Labor, Alberto Ortolani, e il consigliere del presidente dell’Alleanza delle Cooperative italiane, Fabio Ortolani. «La vicenda riguarda alcune gare di appalto, indette dalla Rai nel 2013 e nel 2014 per l’assegnazione dei lavori di manovalanza e trasporto, aggiudicate all’Azienda Miles e da questa assegnata al Consorzio di cooperative Oversin di Pavia», fanno sapere in una nota. «Su questa vicenda manifesto quindi la mia più grande perplessità - afferma il presidente del Consorzio italiano cooperativo Labor ai nostri microfoni, attualmente affidatario dei lavori - considerando che l’aggiudicazione dell’appalto, attualmente in fase di verifica da parte del Tar del Lazio, si è basata sulla proposta di compensi inferiori ai costi medi orari ufficialmente riconosciuti dal ministero del Lavoro sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati maggiormente rappresentativi e dalle Centrali cooperative riconosciute e ancora più dalle norme previdenziali previste dalla legge 327/2000». «Sarebbe molto grave - prosegue il Consigliere del presidente dell’Alleanza delle Cooperative, Fabio Ortolani - se ai lavoratori interessati dal cambio appalto non venisse garantita la continuità dell’occupazione. In questo modo, la Rai potrebbe rendersi corresponsabile di una violazione contrattuale del ccnl da noi sottoscritto, in quanto saremo in presenza di cambio appalto che invece di comportare delle economie apporterebbe dei costi a carico dello Stato». «Le maestranze attualmente occupate, che allo Stato italiano non costano nulla, ma viceversa contribuiscono alle casse dell’Inps e dell’Erario -conclude- potrebbero infatti far ricorso a provvidenze dirette o indirette pubbliche con una situazione di danno erariale difficilmente giustificabile agli occhi della Corte dei Conti per le modalità di gara espletate».