Gianni Rivera: "Mai stato un calciatore, ho solo giovato a pallone"
Intervista a cura di Giancarlo Perna
Oggi che ha 73 anni...» dico a Gianni Rivera che reagisce all' istante: «Settantadue, non cominciamo a invecchiare la gente!» e aggiunge scherzosamente piccato: «Ho vissuto 17 anni ad Alessandria dove sono nato e ho tirato i primi calci al pallone, 35 a Milano dove ho fatto tutta la carriera di calciatore e dirigente rossonero, da 20 abito a Roma, gli anni della mia attività politica. Facendo le somme viene fuori la mia età». Settantadue, appunto. Un riassunto della sua vita, in stile parabola. Diavolo di un Rivera. Uomo di poche parole e parchi gesti, ma tutti significativi.
Il luogo dell' appuntamento, per cominciare. Simboleggia i due momenti della sua esistenza, lo sportivo e il politico. Siamo nel Circolo del Tennis sotto la collina di Monte Mario, preferito dai parlamentari. Mentre parliamo, seduti in terrazzo con vista sulla terra rossa, Giorgio La Malfa si esibisce in un doppio. Assiduo è pure Giuliano Amato, il più accanito, che davanti alla tv studia i colpi dei vari Federer e cerca di riprodurli sul campo. Gli altri soci sono contenti di salutare Rivera, anche se per discrezione non si avvicinano, e si capisce che è ancora vivissimo il mito del celebre centravanti milanista. L' unico a scambiare due parole è Ciro Cirillo, anima del Circolo, ex prima categoria e maestro di Adriano Panatta. «Se Gianni non avesse fatto il calciatore, sarebbe stato un campione di tennis», sentenzia e spiega: «Come tutti quelli che hanno occhio per la palla». Ossia, se la palla è la tua passione, ne sarai comunque un giocoliere. Lo ignoravo ma vedo che anche Gianni approva con la testa. Ha i capelli candidi, Rivera, ma mossi e ondulati come nelle foto anni '60. È in completo scuro molto distinto e la camicia bianca col colletto slacciato. Nel taschino della giacca ha la cravatta pronta all' uso se si presentassero circostanze più formali.
«Internet le dà più spazio che ad Alcide De Gasperi», dico, avendolo accertato documentandomi per l' intervista. Rivera sorride: «Io sono nell' era di internet che ai tempi di De Gasperi non esisteva. Altrimenti non avrebbe avuto rivali». Saggia e coerente risposta da simpatizzante dc. «Lei ha avuto due vite -gli dico, per sondarlo un po'-, una da sportivo, l' altra da politico. Quest'ultima, meno brillante». «Sono complessivamente soddisfatto della mia vita politica - replica-. Ho fatto quattro legislature, cinque anni da sottosegretario alla Difesa e sono stato deputato Ue. Non volevo le cose a tutti i costi. Quel che mi è capitato ho preso». È pacato e realista anche quando gli chiedo: «Famiglia modesta, studi limitati (terza avviamento, ndr) ma numero uno nella vita. A cosa attribuisce il successo?». «A stimolarmi è stata proprio la modestia della nascita. Stirpe contadina. Papà fu fabbro delle ferrovie per sfuggire alla fatica dei campi. Eravamo però legati alla terra, ai valori veri. Ci si accontentava di ciò che si aveva».
Tra i calciatori dei suoi tempi, lei spiccava per garbo. Era borghese d' istinto?
"I miei pensavano che i figli dovessero superarli nell' ascesa sociale. Mi fecero studiare. Smisi perché ero già in serie A, pensando: se va male, riprendo. Per fortuna, andò bene. Un solo pentimento: non ho studiato le lingue. Come gli anglosassoni che parlano solo inglese, io parlo solo italiano".
Lei disse: "Mai stato calciatore. Ho solo giocato a pallone". Che intendeva?
"Il calciatore è visto oggi come un protagonista. Ai nostri tempi, andavamo al ristorante dagli amici per avere lo sconto. Oggi, i calciatori sono pagati per andare al ristorante e dargli lustro. Ecco perché non sono un calciatore, nel significato attuale".
Rivera, saldamente sposato da trent' anni con Laura Marconi che gli ha dato due figli, si è sottratto solo a una domanda sulla sua precedente vita privata.
"Ho già dato"
A tratti, mi sembra diffidente. Sbaglio?
"I piemontesi sono naturalmente riservati. Io ho sempre cercato di non occupare lo spazio destinato agli altri" risponde mentre applaude un elegante smash di La Malfa.
Forse per questa reticenza, scambiata per pigrizia e snobismo, i suoi critici le rimproveravano di non correre dietro la palla.
"Se c' era da conquistarla mi davo da fare anche io. Ma avevo compiti diversi dai difensori. Io agivo da calamita con gli avversari diretti: mi stavano sempre attaccati per sorvegliarmi e difficilmente potevano essere pericolosi per la nostra porta".
Di lei è stato detto: il calciatore più amato e più odiato.
"In una città con due squadre, gli avversari ti vedono come fumo negli occhi. Il tifoso controlla prima che la squadra avversa abbia perso, poi se la sua ha vinto".
Quale dei suoi soprannomi -Signorino, Abatino, Golden boy- la rappresenta meglio?
"I meno simpatici erano i diminutivi. Comunque, non ci badavo. Sapevo da me quando giocavo bene e quanto valevo".
Si scontrava con arbitri e cronisti sportivi.
"Ho contestato gli arbitri quando era evidente che qualcosa non funzionava. Ero capitano e, visto che la società taceva, parlavo io. Con i giornalisti reagivo se, invece di parlare del gioco, toccavano sensibilità personali".
Suo rivale per antonomasia fu Sandro Mazzola. Che prova per lui oggi che siete entrambi ultrasettantenni?
"Anche da avversari -capitani delle due squadre cittadine, Inter e Milan- ci siamo stimati. In azzurro abbiamo giocato quasi sempre insieme. Oggi, lui è a Milano, io a Roma e vivendo in ambienti diversi ci si perde".
A me imbarazza tifare per squadre zeppe di stranieri e una Nazionale infarcita di "oriundi". Sbaglio?
"È inevitabile. Ma basterebbe un po' di attenzione da parte delle società per le Giovanili e maggiori controlli sui contratti degli stranieri che sono quelli su cui più si sorvola".
Che senso ha fare tifo nazionalistico quando in campo si parlano tutte le lingue?
"Conta il colore della maglia. Tanto, quando giocano, i calciatori non parlano".
Il calcio l' ha fatta ricca come Gigi Buffon?
"Buffon è nato molto dopo di me e non c' è paragone. Io stavo un po' meglio dell' altro Buffon, Lorenzo, altro grande portiere azzurro. Appena ho lasciato io, negli anni '80, le squadre hanno cominciato ad arricchirsi con gli sponsor. Prima la pubblicità era vietata".
La corruzione nel calcio?
"Dove ci sono i soldi, la corruzione è automatica. Il danaro prende il sopravvento su tutto, anche sulla morale. Già il Cristo disse: O vinco io, ho vince Mammona".
È devoto?
"Nel modo giusto, alla maniera di Padre Eligio (prete dei bisognosi, oggi ultra ottantenne, noto negli anni '60 per l' amicizia col golden boy, ndr)".
Cattolico conservatore o progressista?
"Non ragiono con questo metro.
So però che il Cristo era più innovatore dei conservatori di oggi".
Entrò in Parlamento nell' 87 con la sinistra dc. Perché con la Dc e perché con la sinistra?
"Fui introdotto da Giovanni Goria e Bruno Tabacci (entrambi, sinistra dc, ndr), ma ero amico di tutti. Ero per la squadra, come nel calcio. Anche in politica, se non c' è accordo, spariscono i partiti".
Fu sottosegretario alla Difesa di Max D' Alema, l' ex comunista diventato premier. Non le si contorsero le budella?
"Se sei nell' istituzione, ti muovi nella logica istituzionale. Seguivo i ministri sopra di me. Il migliore fu il dc Beniamino Andreatta, primo a dirsi favorevole all' abolizione dell' esercito di leva".
Col Cav, invece, sempre ai ferri corti, fin da quando acquistò il Milan (1986).
"Al contrario. Auspicavo l' arrivo di un tycoon per tirare il Milan dalle secche".
Ma appena arrivò l' arcoriano, lei che era vicepresidente della vecchia società, sbatté la porta.
"Fu Berlusconi a creare le condizioni perché me ne andassi, allontanandomi dalla gestione".
Come accadde?
"Ti fa capire che se non lo consideri il Re Sole, non ti metterà tra i collaboratori. Se gli fai un po' ombra non ti accetta".
Al Berlusca premier non fece sconti.
"Consideravo Berlusconi ineleggibile perché concessionario di reti tv. Il famoso conflitto d' interessi, tuttora vigente. Io rispetto le leggi e per me un ineleggibile non deve stare in Parlamento".
Matteo Renzi?
"Appare troppo. Forse si sente costretto a occupare la scena avendo i nemici in casa. Ma dovrebbe limitarsi".
Spera qualcosa dal suo agitarsi?
"Una guerra totale alla burocrazia e una netta diminuzione del peso fiscale".
Non è un parlare da centrosinistra...
"Sono del centrosinistra che ragiona. Quello a favore della gente e non solo dell' istituzione".
Dopo 72 anni, che opinione ha di sé?
"Soddisfacente. Poteva andare meglio se fossi stato più politico. Ma se l' ho fatto di mestiere, non lo sono per vocazione».