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venerdì 30 ottobre 2015

Caivano (Na): Forza Italia, Ponticelli Ricuce lo strappo con il Sindaco Monopoli

Caivano (Na): Forza Italia, Ponticelli ricuce lo strappo con il Sindaco Monopoli


di Gaetano Daniele


Gaetano Ponticelli
Capogruppo Forza Italia

Il matrimonio s'è rifatto. Una ricucitura totale, almeno stando alle ultime indiscrezioni, quella tra Forza Italia e il primo cittadino Simone Monopoli, grazie alla mediazione del Capo Gruppo consiliare, Gaetano Ponticelli. Raccolto dunque, l'invito del capogruppo di Forza Italia. Ponticelli, ha più volte sottolineato la consapevolezza che Forza Italia può offrire un significativo contributo al servizio e in favore dei cittadini caivanesi. Alla ritrovata compattezza maggioritaria, faranno di sicuro da contraltare le frecciate dell'opposizione. Insomma, ricucito lo strappo, si volta pagina e si guarda al futuro del Paese. 

Marino, anche la fine è una farsa: il Pd lo fa decadere, cosa succederà

Roma, il sindaco Ignazio Marino è decaduto: 26 consiglieri comunali si dimettono




Per Ignazio Marino è ufficialmente finita: i consiglieri comunali del Pd insieme ad altri di maggioranza ed opposizione si sono dimessi e così facendo hanno staccato la spina al sindaco di Roma. Giovedì il primo cittadino della Capitale aveva ritirato le dimissioni e aspettava un confronto in aula. Ma all'ora di pranzo si sono riuniti i consiglieri negli uffici di Via del Tritone e si sono contati: 26 le firme che mettono la parola fine. Lasciando Via del Tritone, i consiglieri si sono recati tutti in Campidoglio dove attendono la chiusura dell'atto da parte del notaio che dopo andrà al protocollo. 

Palla a Gabrielli - Queste dimissioni in blocco faranno scattare automaticamente la decadenza di sindaco e intero consiglio, con conseguente commissariamento disposto dal prefetto di Roma, Franco Gabrielli. Il sindaco stamattina aveva rilanciato: "Mi chiedo - aveva detto davanti al nuovo Cda della Fondazione Musica per Roma - perché se un sindaco chiede un confronto in un luogo democratico come l'aula, le forze politiche usano qualunque strumento, anche le dimissioni di massa, per impedire questo confronto". Ora si aprirà la partita del cosiddetto "interregno": prima di tornare alle urne, infatti, il governo avrebbe l'intenzione di far insediare nella Capitale un commissario giubilare con assessori tecnici per traghettare Roma nell'anno del Giubileo in vista delle elezioni da fissare tra la primavera 2016 e l'autunno seguente. Il premier Matteo Renzi aveva già battezzato la nuova squadra "Dream team", squadra da sogno con personalità "di altissimo profilo". Per ora, però, rigorosamente sulla carta.

Marino indagato - Il giorno dopo il ritiro delle dimissioni, per Marino si era riaperto il fronte delle note spese e il sindaco, ora risulta indagato per peculato. Accusa confermata dal suo legale ed in relazione all'uso della carta di credito assegnata dall'amministrazione comunale, per le cene di rappresentanza o istituzionali. Stamattina, inaugurando una targa toponomastica che intitola il Parco di Tor Vergata a Salvador Allende, Marino aveva citato una sua celebre frase: "Non mi sento un martire, sono un lottatore sociale che tiene fede al compito che il popolo gli ha dato. E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli". Parole che il presidente Allende riferì alla nazione in un discorso tenuto poco prima di morire. E così, dopo Che Guevara già citato da Marino, era toccato a Salvador Allende e le parole del Presidente cileno possono assumere un valore simbolico vista la situazione politica che coinvolge il primo cittadino. 

Maggioranza "allargata" - Intorno alle 16, è arrivato l'annuncio del consigliere comunale di Ncd, Roberto Cantiani e il sipario cala: "Le firme ci sono tutte, sono 26. Il notaio sta ora preparando l'atto e poi andiamo tutti insieme in Campidoglio a firmare ufficialmente". Cantiani ha riferito che le 26 firme di dimissioni sono così composte: 19 consiglieri del Pd, 2 consiglieri della lista Marchini (compreso lo stesso Alfio Marchini), 2 consiglieri fittiani, 1 consigliere di Ncd, 1 consigliere di Centro Democratico, la consigliera Svetlana Celli, eletta nella Lista civica di Marino. 

Napoli: Intervista all'Amministratore del blog Gaetano Daniele

Napoli: Intervista all'Amministratore del blog Gaetano Daniele


di Angela Bechis



Gaetano Daniele
Amministratore il Notiziario sul web

Grazie per aver accettato l'intervista. Una bomba d'acqua ha messo in ginocchio Caivano, cosa ne pensa in merito, ma soprattutto, cosa pensa dell'attuale amministrazione a guida Monopoli...

Grazie a Lei. Quello che penso io importa a pochi o a nessuno, ma tenterò di fare il punto della situazione su quanto accaduto, per rispondere all'attuale politica locale che, non sempre quello che si promette in campagna elettorale poi viene rispettato. 

Cosa intende dire?

Il Sindaco Monopoli, in un'intervista rilasciata a questo stesso blog, in campagna elettorale, promise il reddito di cittadinanza. Ciò non è stato ancora preso in considerazione, tanto meno messo in bilancio 2015. Monopoli, promise discontinuità con le passate amministrazioni, ciò non è avvenuto. Anzi. Sono stati affidati lavori a fratelli di consiglieri comunali della sua maggioranza che sicuramente non avevano bisogno di quel piccolo lavoretto, di fatto però, è stato assegnato e i lavori sono stati eseguiti. Altra tegola, sono stati affidati piccole commesse al marito di un assessore di maggioranza vicino a Monopoli. Sicuramente sono persone rispettabili e che anche in passato hanno mantenuto rapporti di lavoro con l'Ente, ma se si parla di discontinuità lo si deve fare a 360°, e certe cose non possono accadere, sono appunto, l'A,B,C della discontinuità, e sono venute meno. 

Somme Urgenze?

Il Sindaco Monopoli quando era all'opposizione, su questo stesso blog in diverse interviste o Post, denunciava l'allora amministrazione Falco di negligenza, non solo, ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia, una denuncia da presentare poi al Paese, per essere eletto, e mettere una pietra sopra al passato, appunto, discontinuità. Bocciava e denunciava affidamenti diretti senza gara d'appalto, denunciava parentopoli, sarò ripetitivo, basti entrare nel motore di ricerca di questo stesso blog per capire bene quali erano le intenzioni dell'aspirante sindaco, poi divenuto. Insomma, come dicevo poc'anzi, ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Monopoli in meno di 6 mesi di consiliatura si è contraddetto su tutto ciò che aveva promesso agli elettori. Su tutto. 

Come vede il futuro di questa maggioranza?

Politicamente parlando, nero. Basti leggere l'ultima diatriba interna a Forza Italia. 5 consiglieri di maggioranza chiedono in due missive più rispetto delle regole. A dirlo appunto, non è stata l'opposizione nè la Cisl o l'Ugl, ma il suo primo partito di riferimento. Ciò è di una gravità inaudita, e quando si arriva a tanto, in meno di 6 mesi di consiliatura, vuol dire che il giocattolo si è rotto, e quando il giocattolo si rompe, dopo, non c'è colla che tenga. Si rompono gli equilibri, si entra in personalismi e ad ogni intoppo ne si fa una questione di principio, insomma, si perde il lume della ragione e a pagarne le conseguenze è il Paese. Basti vedere appunto, la spazzatura per le strade. Monopoli promise che ai primi di settembre sarebbe sparita, ad oggi è triplicata se non quadruplicata. Si, è vero, si è sanzionato la ditta, ma ai caivanesi cosa importa dei retroscena politici o del libro dei sogni, ai cittadini interessano interventi immediati e significativi.

Qual'è la sua ricetta?

Guardi non sono nè un politico nè un tecnico. Si pagano tanti soldi per consulenti, funzionari e tecnici, e poi si vuole la risposta da altri? Se i tecnici, i funzionai o chi per esso, hanno fallito, perchè solo chi non opera non sbaglia, andassero a casa e lasciassero spazio a chi è più competente. L'utilità dell'inutile e far credere di essere utile. Con questi presupposti non si arriva da nessuna parte. 

Berlusconi, la super villa a Cannes e il mistero di Monte dei Paschi...

Silvio Berlusconi, la super villa in Costa Azzurra e il mistero di Mps




Sulla mega villa in Costa Azzurra della seconda ex moglie di Paolo Berlusconi, c'è una fideiussione di Silvio. Ma Monte dei Paschi di Siena, riporta il Fatto Quotidiano, anziché recuperare la somma (ben 9 milioni di euro) direttamente dal Cavaliere ha deciso di rivalersi sulla sua ex cognata Antonella Costanzo con una ipoteca e la minaccia di pignorare i suoi beni.

La vicenda - Nel 2007 Silvio Berlusconi ha firmato una fideiussione a favore del Monte dei Paschi per 7,2 milioni di euro, poi elevati a 8,3 milioni per garantire una linea di credito a favore della Costanzo che con quel prestito ha poi comprato Villa Lampara a Cannes: 500 metri quadrati di lusso, 2mila metri di giardino, con piscina. Quattro anni fa la Costanzo l'ha messa in vendita a 20 milioni di euro. Ma nessuno l'ha acquistata, forse il prezzo era fuori mercato.

Il pignoramento e un dubbio - Qualche mese fa la villa è però tornata in vendita. Con una bella ipoteca di Monte dei Paschi che ha ottenuto l'ok dal tribunale per rientrare così in possesso dei soldi prestati, che con gli interessi oggi sono saliti a quasi 9 milioni di euro. Non solo. Mps ha già fatto mettere un'ipoteca su una casa di Milano (4 milioni di euro) e potrebbe anche pignorarle il conto corrente e l'assegno di mantenimento che le versa Paolo Berlusconi. Ma, si chiede il Fatto, perché Mps, non chiede i soldi a Silvio Berlusconi? Se li chiedessi a lui li otterrebbe subito. La Banca risponde: "Nell'esercitare le attività di recupero la banca agisce in tutti i casi, senza eccezione alcuna, secondo criteri oggettivi di legalità, diligenza e correttezza e, parimenti, con le modalità che ritiene più efficaci per il recupero, sempre soltanto sulla base delle norme applicabili, della prassi e dell'esperienza professionale".

ALTRO SCHIAFFO AL PAPA Violati i segreti nel pc: nuovo giallo in Vaticano

L'ultimo schiaffo a Francesco: violati i segreti nel computer




Una nuova rivelazione sul Vaticano. Luigi Bisignani durante la tramissione "Virus", condotto su Rai2 da Nicola Porro, ha rivelato che è stato violato il computer del Revisore Generale delle Finanze del Vaticano, Libero Milone. Come spiega Il Tempo, Milone ha il compito di sovrintendere i conto e i bilanci delle società della Santa Sede. Ha in mano il bilancio del Vaticano. La violazione è avvenuta nei giorni scorsa ha spiegato Bisignani al quotidiano romano e ora sono in corso delle indagini. Bisignani non ha dubbi: per lui l'intrusione nel pc di Milone "si inserisce nel contesto riguardante il nuovo corso nelle finanze vaticane che Papa Francesco vuole imprimere nel segno della trasparenza". Bisignani non ha dubbi l'intrusione telematica è collegata anche alla storia del presunto tumore benigno al cervello del Papa. Poi si sofferma sul nemico principale di Bergoglio: "Si trova in Vaticano". Bisignani precisa che il Papa è in salute, in questo periodo mangia molto tartufo che gli piace molto ed è molto seguito dalla sua dietologa, Sara Farnetti "che gli suggerisce di stare attenta al colesterolo".

Guardare la televisione vi uccide L'allarme: otto patologie mortali...

Guardare la televisione uccide: cresce del 47% il rischio di contrarre patologie mortali




Cancro, infarto, ictus, polmonite, diabete, influenza, malattie al fegato, e anche il morbo di Parkinson. Ogni volta che guardiamo la tv per ore e ore aumentiamo la probabilità di ammalarci di una di queste patologie mortali. Una nuova ricerca pubblicata sull'American Journal of Preventive Medicine, ha rivelato che la posizione in cui fruiamo del piccolo schermo, in estrema sintesi, può portare alla morte.

L'analisi - Gli esperti del National Cancer Insitute del Michingan hanno monitorato 221 mila persone sane di età compresa tra i 50 e i 71 anni. Il risultato emerso ha confermato i sospetti: le persone che guardavano la tv per 3-4 ore al giorno hanno il 15% in più di probabilità di morire per qualsiasi causa rispetto a coloro che invece ne hanno passato solo un'ora. E la situazione è ancora più grave se si pensa che per coloro che la guardavano per più di 7 ore al giorno la percentuale sale fino al 47%. Gli esperti però non si sono basati solo sul tempo passato in poltrona ma hanno considerato anche le cattive abitudini (dal fumo all'alcool fino all'alimentazione) che le persone avevano. Nonostante questi vizi, il rischio di ammalarsi non cambiava in presenza della sedentarietà.

Lo sport non aiuta - Le persone che guardavano la tv non riuscivano nemmeno a trarre beneficio dall'attività fisica. "Sapevamo che guardare la tv nel tempo libero è l’abitudine prevalente collegata all'essere sedentari e anche se abbiamo dimostrato che l'esercizio fisico non ha eliminato completamente i rischi associati con la visione prolungata del piccolo schermo, certamente per coloro che vogliono limitare l’immobilità nella loro giornata, l’esercizio fisico dovrebbe essere la prima scelta", ha affermato la dottoressa Sarah K. Keadle, autrice principale dello studio. I ricercatori hanno sottolineato però che i risultati potrebbero essere applicati anche alle ore passate alla guida, a chi sta sempre seduto mentre lavora o predilige attività sedentarie nel tempo libero come stare davanti a tablet o computer.

Pansa, strategia d'assalto a Renzi "Vi dico l'unico modo per batterlo"

Pansa intervista Pansa: "Devo tutto alla guerra"


di Giampaolo Pansa



Caro Giampaolo, come ti senti adesso che hai compiuto gli ottant' anni?

«Tutto sommato, mi sento bene, a parte qualche acciacco inevitabile alla mia età. Ma il resto funziona e non posso che ringraziare il Padreterno. La testa è ancora lucida e la voglia di scrivere tanta. Devo confessare che il piacere di scrivere, invece di diminuire, con l' età è cresciuto. La mattina mi alzo presto  e una delle prime cose che faccio è accendere il computer. Poi mi dedico a un articolo, al capitolo di un mio nuovo libro, a una lettera da inviare a un amico. Impegnarmi ogni giorno in questo esercizio mi gratifica molto. E mi ricorda che sono sempre stato un uomo fortunato».

In che cosa consiste la tua fortuna?

«Prima di tutto, nella data di nascita. Sono un ex ragazzo del 1935. L' essere venuto al mondo in quell' anno mi ha regalato molte opportunità. La prima è stata di vedere con i miei occhi il disastro di una guerra mondiale. È iniziata nel 1940 quando avevo cinque anni ed è finita nel 1945 quando mi avviavo a compierne dieci. Quello che ho visto, sia pure con lo sguardo di un bambino, mi ha insegnato che non bisogna mai lamentarsi di quanto ci accade, perché il peggio può sempre arrivare».

Il tuo ricordo più orribile del tempo di guerra?

«I bombardamenti aerei. Casale Monferrato, la mia città, non era un obiettivo strategico, ma aveva due ponti sul Po, uno pedonale e l' altro ferroviario, abbastanza vicini al centro. A partire dall' estate del 1944, gli apparecchi angloamericani tentarono di distruggerli come avevano iniziato a fare con tutti i ponti della Pianura padana. Nella convinzione che, dopo la liberazione di Roma, la guerra stesse per finire e dunque fosse necessario ostacolare la ritirata dei tedeschi. Il ponte pedonale lo colpirono subito, quello ferroviario mai. Per questo i bombardieri alleati ritornavano di continuo all' assalto».

E allora?

«Allora ho nella memoria lo schianto delle bombe. Un rumore da film degli alieni, che si insinuava dentro di te, si impadroniva del tuo corpo e ti faceva temere di morire. Invece l' andare nei rifugi antiaerei durante la notte, per me era divertente. Può sembrare una bestemmia, lo so. Ma da ragazzino precoce mi sentivo attratto dalle donne sempre un po' discinte. Se qualcuno mi chiedesse quando ho cominciato a osservare l' altro sesso, risponderei: nel grande rifugio della marchesa della Valle di Pomaro, situato a cento metri dal nostro appartamento, un palcoscenico straordinario di varia umanità».

Ma non avevi paura?

«Dopo il primo bombardamento sì, ho provato il terrore di essere ucciso. Poi mi sono abituato. Tanti anni dopo, nel leggere quel che era accaduto in Gran Bretagna, ho compreso che l' Italia, soprattutto nelle piccole città, era stata una specie di paradiso. Gli abitanti di Londra e di altri centri inglesi, come Coventry avevano vissuto l' inferno dei continui bombardamenti tedeschi. Gli inglesi stavano assai peggio di noi. Hanno sofferto la fame, da loro il tesseramento è rimasto in vigore sino agli anni Cinquanta. Noi ce la siamo cavata molto meglio».

Che cosa dicevano i tuoi genitori della guerra?

«La consideravano un castigo di Dio e speravano che finisse presto. Ma non hanno mai lasciato trasparire le loro paure con me e a mia sorella Marisa. Mio padre Ernesto, classe 1898, da giovanissimo si era sciroppato gran parte della Prima guerra mondiale, nel Genio radiotelegrafisti della III Armata, quella del Duca d' Aosta. E aveva visto gli orrori di quel conflitto. Gli inutili assalti alla baionetta, i cadaveri straziati dalle cannonate, i tanti feriti, i mutilati, i soldati con la malaria e il colera abbandonati in lazzaretti di fortuna. Era un uomo buono e pessimista, rimasto orfano di padre da bambino, insieme a cinque tra fratelli e sorelle. Mia madre Giovanna, invece, era una donna ottimista. Aveva un negozio di mode in centro, guadagnava tre volte lo stipendio di papà, operaio guardafili delle Poste. Insieme mi hanno insegnato come si deve stare al mondo».

Quando hai scoperto che ti piaceva scrivere?

«Alla conclusione della terza media. Eravamo nell' estate del 1947 e avevo dodici anni e mezzo, poiché nelle elementari avevo fatto insieme la quarta e la quinta. Come premio per un' ottima pagella, papà mi regalò una macchina per scrivere di seconda mano: una Underwood del 1914, fabbricata in America. Ho imparato subito a usarla e mi sono accorto di avere una vocazione: quella di diventare un giornalista. Cominciai presto a collaborare al settimanale della mia città, Il Monferrato. Non mi pagavano, però mi lasciavano fare. Quando sono andato all' università di Torino, a Scienze politiche, ho dedicato tutto il mio tempo alla tesi di laurea. L' argomento era la guerra partigiana tra Genova e il Po. L' avevo iniziata per partecipare a un concorso indetto dalla Provincia di Alessandria. Divenne un malloppo pazzesco, di ottocento pagine».

E che cosa accadde?

«Mi laureai con il massimo dei voti e la dignità di stampa. Era il luglio del 1959 e avevo 23 anni e nove mesi. Nel novembre del 1960 la mia tesi vinse il Premio Einaudi che mi fu consegnato dall' ex capo dello Stato, Luigi Einaudi, nella sua villa di Dogliani, con una cerimonia solenne. Quel premio convinse il direttore della Stampa, Giulio De Benedetti, a convocarmi per capire che tipo ero. Il nostro incontro durò meno di un quarto d' ora. E lui mi assunse, come in seguito fece con altri giovani laureati. Voleva svecchiare la redazione, così mi venne detto».

Un altro colpo di fortuna…

«Sì. Ma anche il risultato di una serie di circostanze che non riguardavano soltanto me. Quando iniziai a lavorare alla Stampa era il gennaio 1961. L' Italia era appena uscita del suo primo boom economico. I grandi quotidiani andavano a gonfie vele. A insidiarli non esisteva la televisione e meno che mai il maledetto web. Vendevano molte copie, raccoglievano tanta pubblicità, avevano la cassa piena di soldi».

Condizioni oggi irripetibili...

«Non c' è dubbio. Gli stipendi erano più che buoni, compresi quelli dei redattori alle prime armi. In compenso bisognava lavorare, o ruscare come diciamo noi piemontesi. Dieci ore di presenza dalle due del pomeriggio a mezzanotte. Nessuna settimana corta. Un rigore assoluto, garantito dai capi servizio, a loro volta onnipotenti. De Benedetti era un dittatore indiscusso. Quando entrava nella grande sala della redazione, tutti ci alzavamo in piedi. Soltanto quando Gidibì ringhiava: "Signori, seduti!", il lavoro riprendeva».

Fammi un esempio del rigore della «Stampa»…

«Eccone uno. Lavoravo da parecchio al notiziario italiano, quando Carlo Casalegno, il giornalista assassinato nel 1977 dalle Brigate rosse, mi chiese una recensione per la terza pagina, quella culturale. Riguardava un libro appena uscito in Italia: Il giorno più lungo di Cornelius Ryan, sullo sbarco alleato in Normandia nel giugno del 1944. La scrissi e la riscrissi con il cuore in gola. La consegnai al direttore e Gidibì la tenne nel cassetto per una settimana. Poi mi convocò e ruggì: "Questa non è una recensione, ma una cattiva cronaca dello sbarco in Normandia". Quindi iniziò a stracciarla in pezzi sempre più piccoli. E li fece nevicare sotto gli occhi».

Poi hai lasciato la «Stampa». Come mai?

«È un altro esempio della fortuna che assisteva un ragazzo del 1935. Negli anni Sessanta, un direttore che apprezzava il tuo lavoro aveva il potere assumerti da un giorno all' altro. Una circostanza irreale se guardiamo ai giorni nostri. Italo Pietra, allora direttore del Giorno, nel 1964 mi offrì un contratto da inviato speciale. Mi chiese: "Dove vuoi essere mandato in servizio: a Voghera o nel Golfo del Tonchino dove sta per cominciare una guerra che si estenderà al Vietnam?". Da monferrino sveglio risposi: "A Voghera, direttore". Pietra sorrise: "Risposta esatta. Ti assumo. Ecco il contratto da firmare. Se dicevi il Tonchino, non ti avrei mai assunto"…».

Quanto sei rimasto al «Giorno»?

«Sino alla fine del 1968. Poi Alberto Ronchey, il successore di Gidibì, mi rivolle alla Stampa, sempre come inviato. La mia base era Milano, una metropoli sconvolta dalla violenza e dagli attentati. Cortei militanti a tutto spiano, l' omicidio dell' agente di polizia Annarumma, la strage di Piazza Fontana, la fine oscura dell' anarchico Pinelli, l' arresto di Valpreda, i primi segni di vita delle Brigate rosse. Ho imparato a conoscere l' Italia, un paese ingovernabile, travolto dall' estremismo politico».

Se non sbaglio, nel 1973 sei passato al «Messagero» dei Perrone…

«Sì, a fare il redattore capo, un mestiere che non era il mio. Ma la fortuna continuò ad assistermi. Piero Ottone mi volle al Corriere della sera. Ci rimasi sino al 1977, poi Eugenio Scalfari mi assunse a Repubblica, nata l' anno precedente. Rimasi con Barbapapà un' infinità di tempo. Quindi andai all' Espresso con Claudio Rinaldi, ero il suo condirettore. Nel 2008 lasciai il gruppone di Scalfari e mi arruolai nel Riformista di Antonio Polito. Di lì sono passato a Libero, dove sto con grande soddisfazione mia e, spero, del direttore Maurizio Belpietro e dell' editore Giampaolo Angelucci».

In tanti anni di professione, immagino che tu sia stato costretto ad affrontare non poche delle emergenze che hanno tormentato l' Italia. Quale di loro ricordi?

«Almeno tre. La prima è il terrorismo, soprattutto quello delle Brigate Rosse. Oggi non ce ne ricordiamo più, ma è stata una seconda guerra civile durata quasi un ventennio. Con un' infinità di morti ammazzati, centinaia di feriti, allora si diceva gambizzati, e un delitto che ricordo come fosse avvenuto ieri: il sequestro e l' assassinio di Aldo Moro. Tuttavia l' aspetto peggiore, e infame, di quel mattatoio fu il comportamento di una parte importante della borghesia di sinistra. Ecellenze della cultura, dell' università, del giornalismo, delle professioni liberali. E della politica comunista e socialista. Per anni negarono l' esistenza del terrorismo rosso. Sostenevano che si trattava di fascisti travestiti da proletari. Soltanto qualcuno ha fatto ammenda di quella farsa tragica. Ma pochi, per non dire pochissimi. Molti pontificano ancora e si considerano la crema dell' Italia».

E la seconda emergenza?

«È la corruzione, un cancro che intacca, con una forza sempre più perfida, partiti, aziende, pubblica amministrazione. È un virus che si estende anno dopo anno. Ha avuto un picco al tempo di Mani Pulite o di Tangentopoli. Era il 1992 e allora sembrò che le indagini del pool giudiziario di Milano avessero la meglio. Invece era soltanto una pausa breve. Infatti tutto è ricominciato alla grande. Devo dire la verità? L' Italia è una repubblica fondata sulla mazzetta. Non può consolarci il fatto che tante nazioni siano uguali a noi».

La terza emergenza?

«È il discredito sempre più devastante che ha mandato al tappeto il sistema politico italiano. Per anni ho seguito da vicino e ho raccontato la crisi dei nostri partiti. Li ho visti ammalarsi, peggiorare, arrivare vicini all' estinzione. Adesso mi sembrano malati terminali. Molte parrocchie politiche sono già morte. E altre moriranno. Alla fine resteranno in piedi soltanto pochi personaggi, i più scaltri, i più demagoghi. È facile prevedere che saranno loro a comandare in Italia».

Stai pensando a Matteo Renzi, il nostro presidente del Consiglio?

«Certo, penso al Fiorentino, ma non soltanto a lui. Renzi oggi comanda e temo che continuerà a comandare per parecchio tempo. Avremmo bisogno di un nuovo De Gasperi, ma l' Italia del 2015 è messa peggio di quella del 1948. Allora eravamo un paese senza pace, alle prese con tutti i guai del dopoguerra. Ma avevamo fiducia in noi stessi, voglia di rinascere, capacità di sacrificio, entusiasmo politico, anche faziosità all' ennesima potenza. Oggi siamo una nazione di morti che camminano, non parlano, non si occupano di quello che un tempo veniva chiamato il bene pubblico. Prevale la paura di diventare sempre più poveri».

Come vedi il futuro dell' Italia?

«Buio e tempestoso. Adesso qualche gregario di Renzi dirà che sono un vecchio gufo menagramo, ma è proprio il personaggio del Fiorentino a indurmi al pessimismo. Non è un leader politico poiché non ha la statura intellettuale e umana per esserlo. È soltanto l' utilizzatore finale di una crisi antica della Casta dei partiti, cominciata molti anni fa. Renzi sta dominando su uno scenario di macerie. A lui interessa soltanto il potere. Non è un generoso come sanno esserlo i veri numero uno. È un piccolo demagogo, egoista, vendicativo, che si è circondato di una squadra di yes man incompetenti, pronti a obbedirgli e a seguirlo fino a quando resterà in sella. Nessuno lo scalzerà dalla poltrona e lui seguiterà a vincere per abbandono di tutte le controparti».

Nemmeno il centrodestra riuscirà a scalzare Renzi?

«Ma non raccontiamoci delle favole! Il centrodestra mi ricorda l' ospizio dei poveri della mia città. Sono convinti, o fingono di esserlo, che soltanto loro abbatteranno il Fiorentino. Ma è un pio desiderio, nient' altro. In realtà tutti i capetti di una volta si combattono per spartirsi il poco che è rimasto dell' impero di Silvio Berlusconi. Giocano con il pallottoliere e, sommando una serie di piccoli numeri, si illudono di sconfiggere Renzi. Il loro futuro è persino più nero di quello italiano. Ce lo conferma la crisi drammatica del Cavaliere. Ha un anno meno di me e nel 2016 taglierà il traguardo degli ottanta. Gli auguro di conservare la villa di Arcore e di non sentire che un giorno, all' alba, bussa alla sua porta qualche scherano di Renzi con un' ordinanza di sfratto».

Sei certo che gli oppositori attuali di Renzi non siano in grado di fermarlo?

«Forse potrebbe farcela un' alleanza che oggi sembra una chimera. Quella fra Grillo, Salvini, la Meloni e quanto resta di Forza Italia. Ma nel caso molto improbabile che questo asse prenda forma, chi può esserne il leader? Viviamo in un' epoca che considera la figura del capo un fattore indispensabile per contendere il potere politico, con la speranza di conquistarlo.
Però dove sta il nuovo leader del centrodestra? Io non lo vedo».

E del centrosinistra che cosa mi dice?

«Che sta peggio del centrodestra. Quando esisteva ancora la Democrazia cristiana, un anziano deputato doroteo di Caltanissetta mi disse: "Il mio partito ricorda la masseria dello curatolo Cicco: il primo che si alza, pretende di comandare". Non rimpiango di certo la scomparsa del Pci, ma la sua fine ha lasciato un vuoto enorme. Si sta realizzando una profezia del vecchio Pietro Nenni: rischiamo di diventare una democrazia senza popolo. È quello che accade in Italia, pensiamo al grande numero di elettori che non vanno più alle urne».

Nella prima e nella seconda Repubblica tu hai votato sempre a sinistra, se non sbaglio…

«Sì, ho votato per il Pci, per il Psi e per i radicali. Poi non sono più andato a votare, da quando ho scoperto la vera natura della sinistra italiana. Me ne sono reso conto del tutto nel 2003, dopo aver pubblicato il mio libro dedicato a quanto era accaduto dopo il 25 aprile 1945: Il sangue dei vinti. Un lavoro minuzioso, che non ha mai ricevuto una smentita o una querela. Posso definirlo una prova di revisionismo storico da sinistra? Eppure la sinistra italiana, in tutti i suoi travestimenti, mi ha maledetto. E non ha smesso di sputarmi addosso nemmeno quando si è resa conto che quel libraccio aveva un successo enorme. A tutt' oggi ha venduto un milione di copie».

Tu fai il giornalista dal 1961, ossia da cinquantaquattro anni. Ha ancora senso questo nostro mestiere?

«Penso di sì, anche se è diventato una professione proibita ai giovani. Nessuno li assume, i compensi per chi vuole iniziare sono minimi. Ma io sono difeso dalla mia età. A ottant' anni mi protegge un antico imperativo del filosofo tedesco Immanuel Kant. Recita: fai quel che devi, avvenga quel che può».