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domenica 25 ottobre 2015

L'ultima giravolta sul canone Rai: si paga una sola rata (molto presto)

La rivoluzione del canone: si paga in un'unica rata a febbraio




Nel 2016 pagheremo il canone Rai in una sola rata. Sarà addebitato sulla prima fattura relativa alla fornitura dell'energia elettrica. Lo prevede l’ultima bozza della legge di stabilità. Nel 2017 il pagamento sarà poi bimestrale.  La rata unica, però, non piace alle società elettriche che temono un aumento della morosità dei propri clienti obbligati a pagare fattura elettrica e tv. Da dibattere anche la questione relativa alle sanzioni per i gestori elettrici che si attardano nella comunicazione allo Stato dell’elenco degli utenti morosi. L’unica certezza resta che l’abbonamento alla tv pubblica scenderà da 113,5 a 100 euro.  

Le previsioni  Il governo sta decidendo a chi destinare le maggiori entrate che dovrebbero derivare dall'abbattimento dell'evasione fiscale garantito dal pagamento con il cedolino della luce. Tali somme - si legge nella bozza della manovra - non andrebbero a finanziare la tv pubblica, ma finirebbero nel fondo per la riduzione della pressione fiscale. Un tesoretto, stimato in circa 500 milioni di euro, che fa gola alla Rai e che sembrava destinato alla riduzione della pubblicità su alcune reti pubbliche (un obiettivo più volte sottolineato dal premier Matteo Renzi) o al fondo per le tv private e l’editoria.   Negli anni dal 2016 al 2018, invece, secondo l’ultima versione dell’articolo, la Rai dovrebbe poter contare su introiti per un miliardo e 700 milioni come negli anni passati, rispetto un gettito previsto di 2 miliardi e 200 milioni.

Vigile beccato a timbrare in slip Faccia tosta: la ridicola difesa

Il vigile che timbra in mutande. La moglie: "Ecco perché"




Alberto Muraglia è il vigile urbano di Sanremo diventato simbolo dell'inchiesta sugli impiegati comunali che timbravano la presenza al lavoro e poi facevano i fatti loro.  Lavoratore modello, un doppio impiego come custode del mercato e italiano di fiducia dei reali del Belgio per vent'anni: fa parte infatti dello staff Paola Ruffo di Calabria. "Alberto è sempre stato un motivo di orgoglio per il Comune e adesso guarda cosa doveva capitare...", dice la moglie Adriana al Corriere della sera. "Una vita intera a lavorare, lavorare, lavorare e alla fine mi ricorderanno tutti come il vigile in mutande...", dice l'uomo. 

Agli arresti domiciliari da due giorni (come altri 34 dipendenti), Muraglia ha il divieto di rilasciare interviste. Parla la moglie, però: "Per ciascun fatto abbiamo le prove che niente è come è stato descritto nelle accuse. Dicono che si allontanava dal servizio e invece abbiamo carte e testimoni che dimostrano che stava lavorando eccome! Dicono che timbrava in ritardo per far la cresta sugli straordinari eppure non ha mai preso un centesimo di straordinario se non richiesto e approvato dai suoi superiori per motivi certificati".

Ci sono però le immagini che mostrano la signora e la figlia che timbrano al posto dell'uomo: "È che magari si ricordava del timbro mentre era sotto la doccia e ci diceva: per favore vai tu? Non era un imbroglio, mi creda. Noi siamo gente perbene". Adriana svela un retroscena che scagionerebbe il marito: pare che la casa del vigile - con vista sulle bancarelle di frutta e verdura dentro il mercato - ha un ufficio con due porte: da una parte si va nell'appartamento, dall'altra nel corridoio che mette in comunicazione diversi uffici comunali. Per questo, dice andava a timbrare "in mutande se si ricordava di farlo fuori tempo massimo, quando si era già messo in libertà".

L'isola da sogno non è più italiana Chi si è comprato il nostro Paese

Budelli, l'Italia perde l'isola da sogno: il tribunale la consegna al magnate neozelandese Michael Harte




Sembrerebbe impossibile, eppure è così: l'Italia ha perso una delle sue splendide isole. Michael Harte, un magnate neozelandese collezionista di atolli, ha comprato all'asta l'isola di Budelli, gioiello dell'arcipelago de La Maddalena. A consegnargliela è stato niente meno che il giudice del Tribunale sardo di Tempio Pausania, spiazzando tutti. Budelli sarà completamente di Harte se l'ingegnere verserà entro 60 giorni al tribunale i 2 milioni e 900 mila euro stabiliti al momento dell'asta. Una sentenza che ha dell'incredibile, anche perché l'isola e la sua famosa spiaggia rosa fanno parte del parco nazionale dell'Arcipelago de La Maddalena, tutelato, a quanto pare solo a grandi linee, dal diritto di prelazione dell'ente gestore e anche dal Ministero dell'Ambiente.

La decisione dei giudici - A nulla dunque, come spiega La Stampa, è valsa la battaglia del parco nazionale per evitare che questo angolo di paradiso italiano finisse nella mani di un magnate straniero. Dopo due anni e mezzo di scontri legali - era il 2013 quando Harte, sbarcato per la prima volta sull'isola, aveva dichiarato di volerla acquistare -, ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, non c'è stato nulla da fare. I giudici hanno dato ragione al neozelandese nonostante il Tribunale di Tempio avesse rimandato al 2017 l'interpretazione della sentenza. Così qualche giorno fa è arrivata la beffa inaspettata: il provvedimento che consegnava all'imprenditore le chiavi del fiore all'occhiello del mare italiano.

Il futuro di Budelli - Adesso che Micheal è riuscito a mettere le mani sull'isola potrà realizzare i suoi grandi progetti, già chiari dal 2013. "Il mio sogno si chiama blue economy ed è quello di creare un osservatorio internazionale sulla biodiversità marina: un laboratorio all'aria aperta che attiri studiosi da tutto il mondo. Sarà anche una bella occasione economica per la Sardegna", aveva dichiarato. 

La lotta non si ferma - In ogni caso c'è anche chi ancora non si è arreso alla perdita di una bellezza italiana. Sulle rocce dell'isola infatti sventola una bandiera dei quattro mori issata dal parlamentare Mauro Pili. Il simbolo di una spedizione dimostrativa organizzata per attirare l'attenzione sulla vicenda. L'intento ovviamente è quello di salvare l'isola e far emettere quanto prima al Governo il decreto legge per espropriare i 160 ettari dell’isola. "Lo stato deve salvare questo gioiello ambientale", ha dichiarato Pili.

Caso Yara, ecco la pistola fumante Prova regina, Bossetti è "spacciato"

Yara Gambirasio, il Ris: "Sui suoi leggings fibre dei sedili del furgone di Bossetti"




Yara Gambirasio è salita sul furgone Iveco Daily di Massimo Bossetti. È questa, secondo gli inquirenti, la "pistola fumante" che prova la colpevolezza dell'operaio di Mapello, unico accusato dell'omicidio della 13enne di Brembate Sopra.

La ricostruzione del Ris - Gli specialisti del Ris hanno constatato come alcune fibre isolate dai pantaloni indossati dalla ragazzina il giorno della sua scomparsa, il 26 novembre 2010, combacino con quelle dei sedili del furgone di Bossetti. Secondo le ricostruzioni, l'Iveco Daily del carpentiere un'ora prima del sequestro (tra le 18 e le 19) era stato inquadrato più volte dalle telecamere mentre passava a ridosso della palestra dove Yara si stava allenando, pur non essendo identificabili al tempo né targa né guidatore. 

L'esperimento - In Aula Giampiero Lago, comandante dei Ris di Parma, ha spiegato che c'è "piena compatibilità" tra le fibre del tessuto dei sedili e quelle rintracciate sui leggings di Yara: "Abbiamo acquistato sul mercato un paio di leggings analogo a quelli della vittima, e li abbiamo fatti indossare a una collega con caratteristiche fisiche, soprattutto per quanto riguarda il peso corporeo, a quelli di Yara. L'abbiamo fatta sedere per pochi secondi sui sedili e abbiamo verificato quante e quali fibre dei sedili stessi siano state trasferite sui leggings. È stato un esperimento necessario per verificare la tendenza di questo tessuto, tipico dei veicoli commerciali e dunque molto resistente, a rilasciare fibre". "Per morfologia, compatibilità chimica indistinguibilità cromatica e percentuale di rilascio del tessuto - ha concluso l'esperto -, abbiamo avanzato una diagnosi di piena compatibilità". 

La macchia di ruggine - Un altro elemento inchioderebbe Bossetti: sulla fiancata destra del furgone ripreso dalle telecamere c'è una macchia di ruggine "coerente, compatibile e non difforme con quella poi trovata sul furgone dello stesso Massimo Bossetti". Non ci sarebbero quasi più dubbi, dunque, sul fatto che quel furgone ripreso dalle telecamere fosse effettivamente quello dell'operaio.

LA CHIESA APRE AI DIVORZIATI Sinodo, la svolta (e il "no" ai gay)

Sinodo, sì alla relazione finale con la maggioranza dei due terzi. Papa Francesco, un "durissimo discorso"




Il Sinodo si è ricompattato sabato sul testo delle relatio finalis, che è stato approvato punto per con una maggioranza sempre superiore ai due terzi. L’anno scorso non era andata così e i punti più controversi, come la comunione ai divorziati risposati e l’accoglienza pastorale ai gay avevano raggiunto solo la maggioranza semplice che per il diritto canonico non è considerata sufficiente. L’approvazione è stata resa nota dal portavoce di lingua tedesca Bernd Agenkrd. I lavori si sono conclusi con il canto del Te Deum. Secondo quanto riferito, Francesco ha pronunciato un discorso molto forte, del quale sono uscite alcuni brani. In sintesi, il Sinodo apre ai divorziati, aprendo alla possibilità di decidere "caso per caso" sulla comunione. Netta la chiusura ai matrimoni omosessuali, pur sottolineando come ogni persona vada rispettata.

Le parole del Papa - Bergoglio, in un passaggio del suo discorso a votazione chiusa, ha spiegato come il Sinodo ha "sollecitato tutti a comprendere l'importanza dell'istituzione della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, fondato sull'unità e sull'indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana". Senza "mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri, - ha proseguito il Papa - abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che tutti gli uomini siano salvati". Il sinodo "ci ha fatto capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito, non le idee ma l'uomo, non le formule, ma la gratuità dell'amore di Dio e del suo perdono", ha sottolineato il Pontefice chiudendo le assise.

Apertura ai divorziati - Il testo finale prevede che la comunione ai divorziati possa essere concessa caso per caso, come anticipato nel pomeriggio dal cardinale Schoenborn: "Il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli - si legge nella relatio finalis - alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio". Il Sinodo chiarisce che da oggi la partecipazione dei divorziati risposati alla vita della Chiesa "può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate". "I divorziati risposati - dunque - non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti".

"No" ai matrimoni gay - Resta il "no" ai matrimoni omosessuali. Sui progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone gay, il Sinodo sottolinea che "non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia". E ancora, dichiara "del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all'introduzione di leggi che istituiscano il matrimonio fra persone dello stesso sesso". "Nei confronti delle famiglie che vivono l'esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione".

Comunione ai divorziati - In precedenza, nella giornata, avevano fatto rumore le parole del cardinale Christopher Schoenborn, il quale ha affermato che davanti alla richiesta dei divorziati risposati "dobbiamo guardare ad ogni singola situazione, discernere e accompagnare le situazioni caso per caso. Il documento dà criteri per questo accompagnamento, non solo per la comunione ma per tutte le questioni". Così Schoenborn, arcivescovo di Vienna, nel briefing sui lavori del Sinodo, prima della votazione. "Il tema dei divorziati risposati - ha aggiunto - è affrontato riconoscendo la diversità dei singoli casi. Se ne parla con grande attenzione, e la parola chiave è discernimento. Vi invito a pensare che non c’è il bianco e il nero, e quindi non basta un semplice sì o no. C’è invece un obbligo, per amore della verità, di esercitare un discernimento tre le situazioni diverse". "Papa Francesco - ha sottolineato Schoenborn - da buon gesuita formato dagli esercizi di Sant’ignazio ha imparato da giovane tale discernimento".

BELPIETRO SMASCHERA VERDINI "Ma lo sapevate che già dal 2009..."

Denis Verdini amoreggia col Pd dal 2009. Ma a quell'epoca Bersani & C non fiatavano



di Maurizio Belpietro
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La minoranza del Partito democratico ormai ne è ossessionata. Appena sente il nome di Denis Verdini salta sulla sedia e annuncia barricate. È successo anche l’altra sera, dopo l’apparizione di Matteo Renzi a Otto e mezzo. A una domanda di Lilli Gruber sulla possibilità che l’ex coordinatore di Forza Italia entrasse nella maggioranza che sostiene il governo, il presidente del Consiglio ha risposto che «ad oggi» il passaggio è escluso, aggiungendo però di osservare uno «sfarinamento» della destra che lo colpisce molto. Non una dichiarazione di apertura a Verdini, ma neppure una chiusura netta, con quel «ad oggi» messo lì come per contestualizzare che in futuro, in seguito allo «sfarinamento», le cose potrebbero cambiare. Tanto è bastato perché qualcuno interpretasse le parole del premier come uno spiraglio lasciato aperto per nuovi arrivi. E così Palazzo Chigi ha dovuto precisare con una nota che «Verdini e i suoi non fanno e non faranno parte del governo». E se «in futuro vorranno aggiungersi con i loro voti a singoli provvedimenti della maggioranza, questo riguarda esclusivamente la libera dinamica politico parlamentare e non la coalizione di governo».

Caso chiuso? Mica tanto. L’ossessione della minoranza rimane. E rimangono anche i voti di Verdini, che ci sono e saranno determinanti per il sostegno del governo tutte le volte che sarà necessario. È comprensibile che la sinistra del Pd sia in allarme. Verdini, oltre ad avere una storia ingombrante, sia dal punto di vista politico che giudiziario, è un antidoto contro gli stessi oppositori del Pd. Con lui in campo, per la minoranza non c’è partita. Ogni minaccia, ogni ricatto, non ha alcuna efficacia. Se i contestatori interni di Renzi non vogliono votare qualche provvedimento del governo, a rimpiazzarli ci pensa Verdini e Renzi può dormire tra due guanciali, continuando a fare il bello e il cattivo tempo.

Del resto di che stupirsi? Come può Pier Luigi Bersani dire di non volere l'ex coordinatore azzurro nel suo giardino, ovvero nel Pd? Verdini c’è, c’è sempre stato nel giardino del Pd, per lo meno da quando c’è Renzi. Non alludo al patto del Nazareno, ossia all’accordo politico stretto dal presidente del Consiglio con Silvio Berlusconi prima ancora che l’ex sindaco di Firenze diventasse capo del governo. Quella è storia nota, come pure sono noti i passaggi che hanno portato alla scrittura della legge elettorale, una riforma che ha visto la luce grazie a una trattativa diretta tra Verdini da una parte, Renzi e Boschi dall’altra.

No, quando parlo della presenza dell’ex braccio destro di Berlusconi nel giardino del Pd alludo alla stessa nascita politica di Renzi. Verdini e il premier si conoscono da una vita, probabilmente da prima che il presidente del Consiglio debuttasse in politica. Di sicuro la conoscenza risale ai tempi della sua iniziale esperienza da amministratore, quando divenne presidente della Provincia di Firenze. Ma ciò che conta e rafforza il rapporto sono le primarie con cui Renzi divenne sindaco di Firenze. Bisogna tornare indietro di qualche anno, ossia al 2009, quando il Pd decise di consultare la base per scegliere il candidato di Palazzo Vecchio, un passaggio che per la predominanza dell’elettorato di sinistra nel capoluogo toscano di fatto rappresenta la vera sfida per l’elezione del sindaco, che poi viene ratificata dalla regolare consultazione. Le primarie del 2009 furono particolari, perché il candidato più accreditato era un assessore uscente della giunta Domenici, Graziano Cioni, uomo forte dell’ex Pci, già deputato e senatore. Ma guarda caso, proprio poco prima che i simpatizzanti della sinistra venissero consultati (le primarie erano aperte a tutti), la Procura della Repubblica indagò Cioni per un’operazione immobiliare della Fondiaria di Salvatore Ligresti. Uscirono anche delle intercettazioni poco simpatiche e il candidato forte del Pd fu costretto al passo indietro. In campo rimasero Lapo Pistelli, un cattolico di sinistra, un paio di esponenti dell’ex Pci e Matteo Renzi.

Il vincitore accreditato divenne Pistelli, il più conosciuto e il più sostenuto. Ma una volta aperte le urne si scoprì che a vincere le primarie, con oltre cinquemila voti di distacco rispetto a Pistelli, era stato Renzi. Uno dei candidati, Daniela Lastri, scrisse chiaro e tondo che qualche cosa di poco chiaro era successo. Ma non serve un’indagine per scoprire le ragioni di tali dichiarazioni perché Mario Valducci, allora responsabile degli enti locali per Forza Italia, si attribuì i meriti dell'operazione. Gente di centrodestra si era imbucata nelle sedi del Pd votando per Renzi. Meglio lui, che era amico di Verdini, degli altri. Ovviamente le dichiarazioni sono agli atti, riportate da tutti i principali organi di stampa.

Eppure allora Bersani, che non era uno sconosciuto ma uno dei big del Pd e prossimo segretario, non disse niente. Verdini era già nel giardino del Partito democratico eppure nessuno fiatò. Che i voti di centrodestra decidessero il sindaco di una delle principali città di centrosinistra non allarmava. Forse quelli che oggi sono minoranza nel Pd erano distratti o forse pensavano che il giovanotto di Palazzo Vecchio, anche se scelto con il contributo degli uomini dell’ex coordinatore azzurro, non fosse un problema. Sta di fatto che l’operazione a cui assistiamo oggi viene da lontano, da molto lontano. Come oggi fa capire Verdini a chi incontra, la sua è un’operazione politica. Renzi ha sempre saputo di poter contare sui voti di una parte del centrodestra e per questo fin dall'inizio ha fatto il bullo con la minoranza di sinistra. Verdini è nella maggioranza a pieno titolo. Lo è sempre stato, per lo meno da quando Renzi sta a Palazzo Chigi. Bersani e i suoi se ne facciano una ragione.

sabato 24 ottobre 2015

SONO TORNATI I CONDONI La rivoluzione (a sorpresa) di Renzi

La rivoluzione di Renzi: tornano i condoni


di Franco Bechis



Spunta anche una sorta di condono immobiliare fra le pieghe della legge di stabilità 2016 il cui testo ufficiale non è ancora arrivato alle Camere a otto giorni dalla sua approvazione in consiglio dei ministri. Fra i palazzi però è circolato un testo che sembra definitivo, cui è allegata una relazione illustrativa, ed è qui che all’articolo 9 spunta il condono sul mattone. Matteo Renzi smonta in gran parte della manovra l’eccesso di rigore che era stato inserito nella legge italiana da Mario Monti con il suo salva-Italia del dicembre 2011. E fra queste norme rivoltate c’è anche la stretta sulle cosiddette società di comodo, che ora si possono sciogliere senza incappare nei fulmini del fisco. Monti aveva preso di mira soprattutto gli immobili che erano stati intestati a società di comodo o comunque non operative, e che invece venivano utilizzati dai soci o dai loro parenti. Diventavano produttivi di reddito, e per loro c’era una aliquota Ires aggravata di 10,5 punti rispetto alle altre società. Ora si smonta tutto e si liberano quegli immobili con un fisco di favore, perché le norme in vigore vengono giudicate «piuttosto dure nei confronti di coloro che utilizzano impropriamente la struttura societaria per intestare immobili che invece siano di utilizzo personale o familiare».

Renzi propone ora «una via di uscita», che è un sostanziale condono dell’esistente, offrendo la opportunità di assegnare ai soci quegli immobili «a condizioni fiscali meno onerose di quelle ordinariamente previste». L’assegnazione avverrebbe con una imposta sostitutiva dell’8% che sale al 10,5% per le società considerate non operative, applicata a un valore di base del bene determinato dalla stessa società ai sensi dell’articolo 9 del tuir. E «al fine di rilanciare il mercato immobiliare si è scelto anche di agevolare l’imposta di registro, ove dovuta, proponendo un’aliquota dimezzata rispetto a quella ordinariamente applicabile. Le imposte ipotecarie e catastali invece sconteranno la misura fissa». Il governo immagina «una buona adesione dei contribuenti» a questa «manovra», che «consentirebbe allo Stato un rapido incasso, per quanto in misura ridotta alle plusvalenze che sarebbero state tassate in assenza della agevolazione». Secondo Renzi oltretutto così si «consentirebbe la fuoriuscita dalle società in particolare di immobili che potenzialmente potrebbero poi essere nuovamente immessi nel mercato che, ad oggi, versa in una situazione piuttosto stagnante».

Non c’è solo il condono fra le novità più chiare nel testo ufficiale della manovra. È stata cambiata anche la norma che consentiva ai comuni di elevare dello 0,8 per mille l’aliquota Tasi su tutti gli immobili diversi dalla prima abitazione. Potranno alzare l’aliquota solo i comuni che già lo avevano fatto per il 2015 con delibera adottata entro il 30 settembre scorso per finanziare gli sgravi concessi sulla prima abitazione. Quindi la platea sarà più ristretta, ma quell’aumento deroga dalla regola che dovrebbe bloccare (e che ha mille eccezioni) gli aumenti di imposta degli enti locali nel 2016. A questo proposito nell’ultimo testo ci sono altre due eccezioni: in tutta Italia non vengono comprese nel blocco né Tosap né Cosap, che quindi i comuni potranno aumentare a piacimento.

Confermate invece le detrazioni fino a 8 mila euro in dieci rate (800 euro l’anno) che coppie «costituenti un nucleo familiare formato da coniugi o da conviventi more uxorio da almeno 3 anni in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i 35 anni» per l'acquisto di mobili nel 2016 destinati a una casa di nuova proprietà. È un percorso un pizzico ad ostacoli, non cumulabile con altre agevolazioni, ma c’è.  Per quanto riguarda il canone Rai c’è ancora parecchia confusione e un’amara novità rispetto alle bozze precedenti: non ci sarà alcuna rateizzazione, ma i 100 euro verranno pagati interamente per il 2016 con l’addebito «sulla prima fattura relativa alla fornitura di energia elettrica successiva alla data di scadenza per il pagamento del canone». Il testo precisa in maniera un po’ criptica che «resta fermo che nei casi in cui l’utenza elettrica sia intestata ad un soggetto diverso dal detentore dell’apparecchio, quest’ultimo dovrà effettuare il pagamento secondo le modalità tradizionali del versamento in conto corrente postale».

Dopo il gran parlare dei professionisti di spending review e le presentazioni fatte sulla necessità di ridurre in modo virtuoso le centrali di acquisto pubbliche cercando di portare gran parte della pubblica amministrazione a rifornirsi dalla Consip, si scopre che nemmeno un euro verrà risparmiato in quel modo. «Una stima dei risparmi», si spiega, «derivanti dall’ulteriore beneficio risultante dal più ampio ricorso alle convenzioni Consip a fronte del restringimento della libertà di acquisto autonome non è univocamente quantificabile».  Brutte notizie per i sindacati. Renzi va giù duro con i Caf, che peraltro potranno restare in piedi solo se particolarmente rappresentativi. Nella prima bozza di manovra aveva ipotizzato un taglio dei trasferimenti dello Stato di 60 milioni nel 2016 e di 100 milioni nel 2017. Quelli sono subito insorti minacciando di non aiutare lo Stato nel 730 compilato, e lui ha rivisto il taglio. Ora è più pesante: 100 milioni sia nel 2016 che nel 2017. E si accompagna a una stangata verso i patronati: taglio immediato di 48 milioni di euro, anticipo dei fondi da parte del ministero del Lavoro che scende dall’80 al 60% del dovuto e riduzione del 19% della percentuale dei contributi obbligatori che li finanziano. Passano dallo 0,226 allo 0,183%. Ultimo particolare viene dalle tabelle del Tesoro: con procedura inconsueta è stato accantonato per il 2016 un fondo per la legge sulle unioni civili, che al momento non è stata approvata nemmeno da un ramo del Parlamento...