Conti correnti in banca, su quali non fanno i controlli
di Francesco Specchia
Alla faccia delle voluntary disclosures d’ogni dove, in Italia, i maghi dell’evasione sono i cinesi (in second’ordine, i preti di provincia con annesso miracolo periodico di moltiplicazione nei conti correnti; terzo posto per i manager abituati a usare tv al plasma e frigoriferi al posto dei contanti). La scena è sempre la stessa. Il commerciante cinese s’infila in banca, legge i moduli antiriciclaggio come fossero il libretto rosso di Mao, si qualifica con i soliti nomi -Wang. Zhou, Xian- e documenti sospetti; svuota sul tavolo sacchi di plastica gonfi di mazzi di banconote dai 50mila euro in su. I funzionari impallidiscono, parte l’allarme ma si spegne presto, e il tasso d’evasione locale si gonfia fino al 98%. I comportamenti delle banche colluse attorno a frotte di grossi riciclatori impuniti viene descritto in modo spietato dall’ex dirigente di banca Vincenzo Imperatore nel libro Io vi accuso- così le banche soffocano le famiglie e salvano il sistema (pp 152, euro 14, prefazione di Gigi Paragone).
I cinesi sono la categoria di imprenditori più illegalmente protetta d’Italia. Imperatore fa il caso emblematico della Chinatown di San Giovanni a Teduccio, quartiere della periferia est di Napoli (9300 imprese individuali gran parte riconducibili a cinesi tramite prestanome, che non pagano le tasse): «In un anno abbiamo fatto 6000 senalazioni sospette all’antiriciclaggio. Queste vengono scremate dall’ufficio centrale della banca e poi confluiscono all’Uif -ufficio italiano finanziario- che decide di far partire le indagini e far bloccare i conti. Sa quanti blocchi su 6000 avvisi, in un anno? Zero. La lobby cinese è talmente forte che ferma le procedure, ma non si capisce a che livello...». I cinesi ridono sempre. E, sulle carte d’indentità, sembrano tutti clonati. Per aggirare la legge antiriciclaggio dei 1000 euro portabili si producono, quotidianamente, in migliaia di miniversamenti da 999,99 euro. Ma quando chiedi loro conto degli scontrini, ti restituiscono un pezzo di carta sbiadito da calcolatrice elettronica, neanche fossero nel bar di Cetto Laqualunque. «A Prato, su campione di 100 dichiarazioni di confezionisti tessili cinesi, per il 2010, è emerso che a fronte di 200mila euro da pagare, l’Agenzia delle Entrate non ha riscosso nulla», scrive Imperatore. Vero.
Nella retata alla Bank of China milanese (297 persone coinvolte, alcuni sportelli abusivi in normali appartamenti) si pensa che sia sparito quasi 1 miliardo di euro. I cinesi non sono gli unici riciclatori sistemici. Ci sono anche i preti, dicevamo. «Una Chiesa povera per i poveri»; per Imperatore l’afflato francescano di Papa Bergoglio, viene rispettato scorrendo la colonna a destra del bonifico che la Curia fa al suo grazioso parroco, sempre napoletano, Don Alfonso R. «922,05 euro per conto dell’Istituto di sostentamento del clero» più «111,55 di celebrazione messe». E sta bene. La perplessità si ha, però, quando, nella colonna sinistra del bonifico transitano cifre da «50mila euro per sottoscrizione di titoli e fondi comuni» o «20mila euro per acqusito titoli». Un pretuncolo di Pianura, Don Piero G. cugino di un discusso vescovo di Napoli, disponeva di un conto corrente «con saldo 520mila euro in data aprile 2008». Il funzionario che cercò di vendergli un prodotto finanziario spazzatura sfiorò il licenziamento. Poi ci sono i bankers che al posto dei fidi (margine di guadagno netto all’8%, rischio altissimo) vendono tv, telefonini, palestre, tapis roulant; rendono il 20% del prezzo al correntista con zero rischi. Personaggi oscuri. «Preti, commercianti cinesi speculatori immobiliari, Questi hanno la priorità rispetto ai “normali” correntisti. A loro è permesso tutto, anche aggirare le norme antiriciclaggio, nascondere i proventi dell’evasione fiscale, compiere operazioni finanziraie spericolate, perfino pretendere il licenziamento di funzionari...». È il sistema, bellezza. E mentre i commercianti sono trattati da paria alla richiesta di un piccolo prestito; gli artigiani vengono garrotati nella stretta del credito; e i piccoli imprenditori subiscono il marchio d’infamia da segnalazioni antiriciclaggio per versamenti di poche centinaia di euro (per venire poi torchiati, per questo, dalla Guardia di Finanza). Ps al quarto posto degli impunti ci sono i giornalisti...