Matteo Renzi in imbarazzo: l'assunzione sprint alle Poste della figlia dell'onorevole Pd Di Gioia
di Tommaso Montesano
Non serve neanche cercare conferme. Basta digitare, una volta effettuato l’accesso a LinkedIn, il social network per lo sviluppo dei contatti professionali, il suo nome e cognome: Silvia Di Gioia. Ed ecco che compare l’attuale occupazione della signora: «Specialist sanità integrativa presso Poste Vita S.p.A.». Incarico che Di Gioia ricopre, con contratto a tempo indeterminato, dal febbraio 2014. Cinque mesi dopo l’insediamento di suo padre, il deputato eletto con il Pd Lello Di Gioia, alla presidenza della «commissione parlamentare di controllo sull’attività degli Enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale». Enti tra i quali ricade, sostiene il sito Dagospia, proprio Poste Vita, a sua volta appartenente al più ampio gruppo di Poste Italiane.
Libero ha provato a contattare Di Gioia padre, un pugliese di origini socialiste arrivato alla terza legislatura (da eletto in Sardegna, però). Niente da fare. Dalla segreteria del suo ufficio a Montecitorio, il messaggio è stato chiaro: «Il presidente è fuori fino a martedì (oggi, ndr). Prendo nota della chiamata e la giro senz’altro all’onorevole che valuterà un’eventuale replica».
In Poste, i colleghi della signora fanno quadrato: «Si è trattato di una normale assunzione. Non è che la figlia di un deputato non debba lavorare». Osservazione sacrosanta che nel caso di Maurizio Lupi e del figlio Luca, tuttavia, non ha impedito a parte delle opposizioni e allo stesso Pd di chiedere, e poi di ottenere, le dimissioni dell’esponente del Nuovo centrodestra dalla carica di ministro delle Infrastrutture.
Le storie sono simili. Due politici (Lupi e Di Gioia), due figli (Luca e Silvia). Ministro delle Infrastrutture (in seguito dimissionato) Lupi padre; presidente della commissione sul controllo della previdenza Di Gioia padre. Due lavori, quelli dei figli, vicini all’attività pubblica del genitore: ingegnere Lupi figlio; incaricata dello «sviluppo fondo di assistenza sanitaria integrativa» Di Gioia figlia.
Silvia, come risulta dal suo profilo lavorativo, è assunta in Poste Vita un anno e due mesi fa. Quando al vertice del gruppo c’era un management diverso dall’attuale, che si è insediato a maggio dello scorso anno. Fatto sta che Di Gioia figlia, secondo la ricostruzione di Dagospia, prima strappa un contratto a tempo determinato, poi quello più pesante: a tempo indeterminato. Il tutto dopo aver lavorato, salvo una breve esperienza a Milano come audit interno presso Faschim, un fondo sanitario integrativo, sempre a Foggia, la sua provincia natale: tre anni e un mese come impiegata negli uffici della Regione; cinque anni come business controller all’ospedale Opera Don Uva. Senza dimentare la politica: è alle cronache una sua designazione come tesoriere della Federazione giovanile socialista (Fgs) nel dicembre 2011.
Quanto al padre, dopo il ritorno in Parlamento a distanza di cinque anni, arriva l’elezione alla guida della commissione bicamerale per il controllo sugli Enti di previdenza ( 21 giugno 2013). Incarico in forza del quale Di Gioia ha avuto l’opportunità di ascoltare anche Bianca Maria Farina, amministratore delegato di Poste Vita. Per il deputato eletto con il Pd, ma poi transitato nel gruppo Misto tra i socialisti che fanno capo al senatore Riccardo Nencini, leader del Psi, non è un periodo fortunato. Qualche giorno fa il quotidiano La Repubblica ha svelato il contenuto di un’informativa della Squadra mobile di Foggia nell’ambito di un’inchiesta della procura soprannominata Goldfinger.
Nel mirino dei magistrati, il furto del 2012 nel caveau della filiale del Banco di Napoli: 165 cassette di sicurezza svaligiate per un bottino di 15 milioni di euro. Ebbene, nel documento della Polizia compare anche il nome di Di Gioia, che tuttavia non risulta indagato. Il deputato, infatti, avrebbe fatto da mediatore con i rapinatori per far avere indietro una parte di quella refurtiva a uno dei proprietari delle cassette di sicurezza forzate. Di Gioia ha negato tutto: «Non ho aiutato nessuno e non frequento certa gente. Sono una persona perbene, non frequento pregiudicati». La storia, comunque, l’ha parecchio scosso. Al punto da spingerlo a disertare l’Aula di Montecitorio. «Mi vergogno, non ho avuto nemmeno il coraggio di presentarmi», ha confessato a Repubblica. Chissà da oggi come si regolerà.