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lunedì 9 marzo 2015

Il cucchiaio di Icardi fa felice Mancini Il Napoli fallisce l'operazione 2° posto

Calcio, serie A: Napoli-Inter 2-2





Il secondo posto resta stregato per il Napoli. Nel posticipo serale della 26esima giornata, i biancocelesti pareggiano 2-2 al San Paolo gettando al vento la possibilità di portarsi a sole due lunghezze dalla Roma, che nel pomeriggio aveva pareggiato a reti bianche col Chievo. E pensare che la squadra di Benitez conduceva per due a zero fino a mezz'ora dalla fine.

Il primo tempo è divertente, con le folate azzurre che mettono in ansia la difesa nerzzurra: al 13’ Higuain, servito da Mertens, non trova lo specchio, al 14’ Handanovic mette in angolo su Hamsik. Al 21’ Higuain si divora il vantaggio a a tu per tu con Handanovic. L'argentino ha un'altra occasione  al 31’, quando Mertens lo serve alla perfezione ma lui spara in curva.

I primi 45 minuti si chiudono sullo 0.0, ma a inizio ripresa il Napoli concretizza la superiorità fin lì dimostrata passando in vantaggio. Al 6' Henrique scodella in area, Hamsik incredibilmente solo non ha difficoltà nell’incornare l’1-0. Al 18’ arriva il raddoppio con un gran tiro di Higuain dalla distanza che non lascia scampo ad Handanovic. Quando il Napoli sembra avere la gara in pugno, arriva la rete dell'Inter, che  accorcia con Palacio, bravo a spedire in rete un pallone vagante. Finale palpitante: al 41’ Henrique atterra Palacio in area: rigore e secondo giallo per il difensore di casa che finisce anzitempo negli spogliatoi. Icardi si incarica della battuta e, con un cucchiaio, firma il 2-2.

Pansa: "Renzi da rottamatore a zar Ha trasformato l'Italia nel Cremlino"

Pansa: "Nel Cremlino di Renzi obbedire o tacere"

di Giampaolo Pansa 



«Sai che cosa mi ricorda Palazzo Chigi? Il Cremlino» dice un vecchio collega che ha fatto per parecchio tempo il corrispondente dall’Unione sovietica. La sua sicurezza mi sorprende: «Perché il Cremlino?». Lui risponde: «Per molti motivi. Il primo è che nessuno conosce davvero che cosa accada in quel palazzo. Quali sono gli obiettivi di chi ci lavora? Che intendono fare dell’Italia e del potere che hanno raccolto per strada, grazie a un insieme di circostanze oscure e senza essere eletti da nessuno? Ma la ragione più forte è un’altra. Come nel vero Cremlino, la fortezza di molti leader sovietici e oggi di Vladimr Putin, anche quello di largo Chigi è abitato da una persona sola che sta diventando sempre più potente».

La persona sola è Matteo Renzi, il nostro premier. Non esiste ancora un’analisi spassionata del leader fiorentino. Tuttavia qualche elemento del suo identikit lo conosciamo. Ha un alto concetto di sé. L’autostima non ha incertezze. È tutto preso dalla propria volontà e intelligenza. Non assomiglia a nessuno dei leader della Prima Repubblica. Neppure Alcide De Gasperi o Palmiro Togliatti erano come lui. Soltanto Amintore Fanfani, un altro toscano, ma di Arezzo, presentava gli stessi difetti: l’arroganza, il fastidio sprezzante per le lungaggini del Parlamento, la convinzione di essere il meglio del meglio. Era sicuro di vincere sempre. Poi incontrò la disfatta nel referendum contro il divorzio. Matteo rifletta.

È il carattere a suggerire a Renzi la forma di governo che preferisce. L’ha spiegata più volte e l’ha ripetuta nell’ultima, importante intervista a Marco Damilano dell’Espresso. Ha detto: «Per il governo io ho in testa il modello di una giunta che funziona con un forte potere di indirizzo del sindaco». In apparenza la parola «giunta» è innocua. Ma pronunciata dal nostro premier assume un significato equivoco. La politica mondiale ne ha conosciute molte di giunte, comprese quelle dei militari golpisti. E dal dopoguerra in poi abbiamo visto molti leader autoritari che sostenevano di essere soltanto gli amministratori della loro nazione. 

Sindaco d'Italia - Renzi si presenta come il sindaco d’Italia. Ma non ha nulla di chi si accolla la difficoltà di lavorare per i cittadini. Lui lavora per se stesso. Matteo è il centro della vita di Matteo. È un logorroico, capace di pronunciare un’infinita quantità di parole. Si sente un gigante tra i nani. È un cinico senza limiti, lo ha dimostrato nella conquista volpina di Palazzo Chigi, attuata con l’assassinio politico di un premier del suo stesso partito. È un campione della promessa a vuoto, dell’annuncio senza costrutto, dell’ottimismo predicato in ogni istante. Sempre a velocità folle.

Un vecchio motto dice: puoi illudere uno per un’infinità di volte e puoi illudere tutti una volta sola. Ma non puoi ingannare tutti ogni volta. Renzi non si cura di questa regola saggia. Nel Cremlino di Matteo domina la strafottenza. La parola renzista è sostanza. Le promesse si avverano da sole. Il suo verbo non ammette dubbi e meno che mai resistenze. Pensa di avere la meglio su tutto e su tutti. Il dissenso è un atteggiamento proibito che rasenta il reato. La regola è una sola: obbedire o tacere. La sottomissione di chi gli sta accanto è la virtù indispensabile per sopravvivere. Lo dimostra la sorte dei ministri di Renzi. Un critico sorprendente, il direttore del Foglio Claudio Cerasa, venerdì ci ha spiegato che non contano quasi nulla. Tranne una: la ministra per le Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi, che ha ottenuto persino un ufficio all’interno del Cremlino. Gli altri e le altre, nel giro di appena un anno, appaiono comparse.

La ministra Maria Carmela Lanzetta aveva l’incarico degli Affari regionali, ma è sparita, oggi sta da qualche parte in Calabria. La ministra della Difesa, Roberta Pinotti, voleva invadere la Libia, ma il premier l’ha bacchettata sulle dita e ridotta al silenzio. La stessa sorte è toccata al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che ha parlato ignorando le intenzioni del premier. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, non sapeva nulla del decreto fiscale. La ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini, è stata messa nell’angolo da Renzi sulla questione dei professori da assumere. Si è dichiarata «basita», ossia stupefatta, ma non ha trovato il coraggio di dimettersi.

Un sindaco «dal forte potere d’indirizzo» può preoccuparsi dei suoi assessori? Ma non scherziamo! Il premier tiene conto soltanto della cerchia ristretta degli uomini di mano, a cominciare dal sottosegretario Luca Lotti, il meno raccontato dai media, uno sconosciuto. Un gradino più sotto stanno i consiglieri, primo fra tutti Andrea Guerra, già amministratore delegato di Luxottica. Sono figure difficili da definire. Senza un profilo istituzionale certo, il loro potere è uno stato di fatto. Contano perché il premier ha deciso così. Almeno per oggi. 

Nel vero Cremlino sovietico accadeva di peggio. Una ministra ripudiata come la povera Lanzetta sarebbe finita in un gulag siberiano. La Federica Mogherini, spedita in Europa con un incarico di cartapesta, prima di partire per Bruxelles avrebbe fatto un corso rapido di rieducazione nel collegio della Lubianka, la polizia segreta. Il Cremlino di Renzi è meno sanguinario. Qui bisogna soltanto dire di sì, oppure tacere. E se non sei disposto al silenzio, non ti resta che accomodarti fuori dall’uscio.

Comunque sia, la vita all’interno di Palazzo Chigi potrebbe essere soltanto un affare del giornalismo d’inchiesta. Non è una specialità oggi molto diffusa, ma in fondo i media non sono l’unica arma da usare per mettere in sicurezza una democrazia. Il vero interrogativo che ci dobbiamo porre è se il modello Cremlino possa espandersi nei rapporti fra il cittadino e il potere politico. Qui arriviamo al dunque. Ossia alla domanda delle domande: il forte «potere d’indirizzo» che connota il renzismo può mutarsi in qualcosa di peggio?

Domanda delle domande - Per peggio intendo una democrazia che, giorno dopo giorno, si incammina verso una mutazione profonda che ha un unico traguardo: il regime di un uomo solo al comando. Sappiamo che Renzi irride quanti ne parlano. Ritiene che sia una fantasia malata fatta circolare da Renato Brunetta, l’oppositore più tenace nel giro di Silvio Berlusconi. Eppure il quesito non è ozioso. Se al Cremlino ci sta un signore che si ritiene investito di una missione storica e non ha modi cortesi, anzi è molto vendicativo, il risultato è fatale. Qualunque centro di potere, burocratico, economico, giudiziario o culturale, prima di prendere una decisione vorrà sentire l’opinione del premier. Tanti si arrendono senza avere il coraggio di combattere. E consegnano all’uomo del Cremlino la loro libertà.

Siamo già di fronte a una democrazia dimezzata. Una condizione che può soltanto peggiorare. Per una circostanza che sta sotto gli occhi di tutti. Il modello Cremlino, ovvero il renzismo nella versione più dura, non ha oppositori. La destra e la sinistra mostrano le stesse pulsioni suicide. All’interno dei loro fortini sempre più fragili, si insultano, si combattono, si distruggono. La loro stupidità rasenta il tradimento. Sono le quinte colonne del generalissimo calato in armi da Firenze. Non s’illudano: dentro Palazzo Chigi è già pronto il mattatoio dove verranno decapitate

domenica 8 marzo 2015

Quelle "malelingue" su Verdini: che cosa può succedere con Silvio

Forza Italia, l'indiscrezione: Denis Verdini e i suoi pronti a rompere e a votare le riforme di Matteo Renzi





Il dado è tratto, il patto è rotto. L'ultima e definitiva conferma è arrivata dalle parole di Silvio Berlusconi, che intervenendo telefonicamente a un evento di Forza Italia in Puglia ha spiegato che "martedì voteremo contro le riforme di Matteo Renzi". Una gatta da pelare, per il premier, un primo tentativo per risalire la china, per il Cavaliere. Peccato però che in Forza Italia non tutti siano d'accordo. In particolare non sarebbe d'accordo il grande tessitore del Patto del Nazareno ormai stracciato, Denis Verdini. Tanto che due azzurri anonimi, citati da Il Giorno, spifferano: "Se Brunetta martedì si alzerà in aula e, su mandato di Berlusconi, annuncerà il voto contrario di Forza Italia alle riforme, subito dopo diversi deputati azzurri si pronunceranno in dissenso dal loro gruppo, dicendo sì al ddl Boschi. Saranno gli amici di Denis Verdini".

Insomma, in Forza Italia si teme che Verdini e i suoi - circa 15 tra Camera e Senato - possano rompere definitivamente e schierarsi con Renzi. Scontato, invece, il "no" alle riforme renziane delle altre due grandi fazioni di Forza Italia, i "lealisti" e i dissidenti capeggiati da Raffaele Fitto. Ed è in questo contesto che monta il disappunto di Verdini, che viene descritto come sempre più lontano da Berlusconi e dal suo cerchio magico. In Forza Italia c'è chi sostiene che Denis non tradirà, mai. Ma al contrario c'è anche chi pensa che non tutto sia così scontato: "Dopo il riconoscimento e la stima che Renzi gli ha ribadito sull'Espresso - sussurra un azzurro sempre a Il Giorno -, Verdini non potrà fare altro che farsi carico di un gruppo di responsabili che portino a casa Italicum e Risorse". Staremo a vedere. Di sicuro, per ora, c'è solo una cosa: il "no" di Berlusconi alle riforme di Renzi, infatti ha ottenuto un paradossale risultato, soddisfare Fitto e far incupire ulteriormente Verdini.

La Meloni imbarca anche gli ex grillini L'ondata di fan al corteo di Venezia

Venezia, in diecimila alla manifestazione anti-Renzi di Giorgia Meloni con la Lega





Il piccolo partito di Fratelli d'Italia è riuscita a portare diecimila persone a Venezia per il corteo del fronte anti-Renzi organizzato anche con la Lega di Matteo Salvini. L'organizzazione era tutta nelle mani della romana Giorgia Meloni, i più fedeli dal resto d'Italia hanno risposto alla chiamata, ma il sostegno è arrivato ovviamente dai militanti del centronord. C'erano anche i leghisti veneti, ma non il loro leader, Matteo Salvini, che da Genova aveva già annunciato di non partecipare per dedicarsi un giorno alla famiglia.

È la compagnia della Meloni a creare curiosità. Oltre al cofondatore Ignazio La Russa, a sostenere l'iniziativa veneziana ci sono il tecnico rapito in Libia il veneziano Gianluca Salviato, Adriano Sabbadin figlio di Lino, colpito a morte da Cesare Battisti, e la sorpresa: Walter Rizzetto, ex Cinquestelle. Manca Salvini, ma la Meloni in qualche modo manda un segnale: il suo partito non attira solo transfughi di Forza Italia o Ncd. Slogan contro l'euro, contro Renzi, ma anche in favore del benzinaio di Nanto Graziano Stacchio: "Graziano Stacchio ce l’ha insegnato - gridano i manifestanti - legittima difesa non è reato".

Secondo tempo - Dopo il pienone di piazza del Popolo a Roma, quella volta organizzato da Salvini ma con tutto Fdi presente, quello di Venezia vuole essere il secondo passo di un soggetto politico tutto concentrato sull'alleanza da testare con la Lega: "Vogliamo far nascere un nuovo centrodestra - ha detto La Russa - e oggi chiudiamo il cerchio dopo la manifestazione della Lega a Roma, di cui siamo stati ospiti. Oggi ricambiamo il gesto per fare fronte comune contro la politica di Matteo Renzi". La Russa ribadisce i punti della protesta: "Siamo qui contro le tasse, la delinquenza, il malaffare e la corruzione, con un grande segno di passione ma anche pronti alla proposta".

Non solo Lega - "Questa è un’altra importante manifestazione di quel fronte anti Renzi - ha detto Giorgia Meloni - che abbiamo costituito mettendo insieme movimenti diversi che però si ritrovano come opposizione alle politiche di questo governo e dei suoi mandanti cioè l’Europa della burocrazia e della tecnocrazia. Qui ci sono tante persone massacrate delle politiche di questo governo troppo occupato a fare gli interessi delle lobby piuttosto che occuparsi dei problemi dell’economia reale"

L'inviato Onu sveglia l'Ue sulla Libia "Subito un blocco navale europeo"

Libia, l'inviato Onu Bernardino Leon: "Subito un blocco navale nel Mediterraneo"





Una prima proposta concreta, per quanto insufficiente, per contenere gli effetti della crisi libica arriva dall'inviato dell'Onu Bernardino Lèon, impegnato in Marocco nella mediazione tra le fazioni libiche per la creazione di un governo di unità nazionale. Sulla terraferma la crisi è ancora viva, ma come ha detto Leon al Corriere della Sera: "C'è una misura che l'Unione Europea può prendere subito: presidiare in forze il mare davanti alla Libia. L'Italia non può farlo da sola, ha bisogno di aiuto. Sono certo che il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite appoggerebbe l'iniziativa". I negoziati vanno avanti in Marocco, ma la situazione per l'inviato Onu è più complicata del previsto: "Colgo comunque un clima di moderato ottimismo". Una cosa è certa: per Lèon un intervento militare immediato al momento è "irrealistico: "Stiamo lavorando a un'altra ipotesi: organizzare missioni di polizia con alto contenuto di specializzazione da schierare in diverse aree molte pericolose".

Sono tornati i picchiatori comunisti: vogliono spaccare la faccia a Salvini

Matteo Salvini nel mirino dei picchiatori rossi





Ormai è ufficiale. Per i sinistri estremi il nemico numero uno è lui. Non lo vogliono far parlare, lo assediano con presidi e manifestazioni ogni volta che si presenta in piazza o in un luogo chiuso a parlare. Lo aggrediscono in macchina a calci e colpi di casco. Matteo Salvini è il nuovo "cattivo". Silvioo berlusconi, ormai, è da tempo lontano dal palcoscenico, è anziano e la sua Forza Italia spuntata. Il resto della destra è frammentata in partitini che a malapena supereranno la soglia d'ingresso alle prossime elzioni politiche. I "fascisti" sono quattro gatti: Forza Nuova, Casa Pound e poco altro.

Salvini e la sua Lega, invece, sono tanti, sono in ascesa continua e puntano, superati i confini della Padania, a conquiestare il centro e sud Italia con un progetto organico, radicato sul territorio. Paradossalmente, pur essendo il partito più "anziano" della seconda Repubblica, il Carroccio ha la maggior forza vitale tra forze che siedono oggi in parlamento. E Salvini è lui stesso giovane e dinamico, uno da strada e pedalare non un fighetto da Palazzo Romano. Yanto che, eletto due volte a Roma, due volte ha lasciato la comoda poltrona in Parlamento preferendogli quella in Europa, dove peraltro è un noto "assenteista" essendo impegnato di continuo in giro per l'Italia a far crescere la "sua" Lega. Lui è la destra, oggi, e non fa nulla per nasconderlo. Per questo, è "pericoloso". Lo diceva, papale papale, una dei manifestanti anti-Lega domenica scorsa a Roma: "Non possiamo lasciare il Paese nelle mani di Salvini. Lui è uno pericoloso perchè è capace di parlare alla pancia del Paese".

Capito? Altro che Meloni, Fitto e compagnia cantante. Quale sia il livello dell'avversità che gli amienti anarchici, No Tav e della sinistra radicale nutrono nei confronti del segretario del Carroccio lo si è visto lo scorso 13 novembre a Bologna, quando la sua auto in arrivo in un campo nomadi della città è stata presa a calci dagli invasati di sinistra, che hanno provato ad appendersi alla macchina per bloccarla e hanno sfondato il lunotto posteriore a colpi di casco. La polizia, avvertita da tempo della visita del leader leghista, non si sa dove fosse e cosa facesse. fatto sta che ancora oggi, pur avendo la Lega un suo servizio d'ordine, Salvini non ha una scorta. Dopo Bologna c'è stata Milano, 22 febbraio: altro campo nomadi e altra contestazione. Quindi Roma, coi leghisti cui è stato impedito di sfilare per le vie della Capitale, dove invece gli antagonisti hanno girato in lungo e un largo, e piazza del Popolo blindata dalle forze dell'ordine. Infine Genova, dove Salvini parlava in vista delle regio0nali a favore del candidato del carroccio. E fuori dal teatro blindato in cui parlava, altra contestazione. "Basta, sono stufo, questa non è democrazia". Macchè democrazia, quelli gli vogliono spaccare la faccia, la democrazia non sanno nemmeno cos'è.

Addio agli assegni, adesso saranno elettronici: come pagare con una foto (ed evitare brutte sorprese)

Arriva l'assegno in formato elettronico: come pagare inviando una semplice foto





Gli assegni in formato elettronico sono realtà anche in Italia. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (54/15) del 6 marzo scorso, il ministero dell'Economia e la Banca d'Italia hanno dato il via libera all'uso delle "semplici" foto degli assegni bancari e circolari, validi a tutti gli effetti quanto i vecchi pezzi di carta.

Come funziona - Il pagamento attraverso l'assegno elettronico, si legge nel decreto attuativo del Mef, avviene quando: "il trattatario o l'emittente ricevono dal negoziatore l'immagine dell'assegno". Tradotto dal folle burocratese significa che una volta ricevuta la scansione o la semplice foto dell'assegno, il pagamento è ritenuto quasi fatto. Una volta ricevuto il file, la banca dell'emittente o del trattatario, cioè di chi deve pagare, ha massimo un giorno lavorativo per mettere a disposizione il denaro. Nel caso di mancato pagamento di un assegno elettronico, il protesto o la constatazione equivalente devono essere svolti esclusivamente per via telematica. Trasformare il pezzo di carta in un file digitale è un'operazione delegabile a soggetti terzi, sarà la banca a garantire che il soggetto incarico ha le competenze per effettuare la digitalizzazione. Uno strumento in più che riduce carte e tempi spesso superflui, ma che ancora paga i regolamenti anacronistici italiani sul mondo digitale. Potete mettere da parte smartphone e applicazioni di messaggistica: gli assegni elettronici si possono inviare solo via posta certificata, in teoria obbligatoria per tutti i professionisti e aziende, e ogni email deve essere convalidata dalla firma digitale.