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lunedì 5 gennaio 2015

Candidati di Forza Italia al Colle Chi vuole chi: la mappa dei nomi

Forza Italia, tutti i candidati al Quirinale




Che Forza Italia sia divisa non è una novità. Da quando poco prima dello scisma alfaniano, le colombe si erano divise dai falchi, il partito non si è più ricompattato. Ma ora le fratture  interne avranno inevitabilmente ripercussioni sull’elezione del Presidente della Repubblica. Non a caso il premier è preoccupato: il primo “stress test” ci sarà giovedì 8 gennaio.  A Palazzo Chigi si parla ironicamente della “prova dell’otto”. La settimana che sta per cominciare infatti si comincia a votare per l’Italicum al Senato e sarà per Renzi la prova per capire se il Patto del Nazareno regge anche in vista delle elezioni per il Colle.

Il premier si chiede ancora se Berlusconi e iVerdini reggono ancora il partito. O se Raffaele Fitto può superare l’attuale soglia dei 18 senatori mettendo in crisi sia il voto per le riforme che quello per il Colle. Certo è che i segnali finora arrivati dalle esternazioni dei big azzurri confermano i sospetti e le paure del Pd. Non sono uniti. Era stato il portavoce Giovanni Toti ad infiammare gli animi poco prima di Natale spiegando: “Non c’è un veto assoluto rispetto a nessuno”. Ma Toti aveva detto un no forte a Prodi. Adesso, dopo il discorso di Napolitano ognuno pensa a un candidato diverso. Berlusconi, che in passato, aveva fatto il nome di Giuliano Amato adesso (come ha rivelato il nostro Franco Bechis) sarebbe pronto a sostenere Anna Finocchiaro e Sergio Mattarella. Augusto Minzolini e Daniela Santanché hanno dichiarato anche che sarebbero anche favorevoli a votare Romano Prodi. Renato Brunetta , capogruppo di Forza Italia alla Camera, nonostante il presidente della Mario Draghi Bce si sia sfilato dalla partita pensa al Governatore come possibile successore di Napolitano. E poi c’è Raffaele Fitto: il suo candidato è Pierferdinando Casini (che piace anche agli alfaniani di Ncd). In queste ore è spuntato anche il nome del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che potrebbe compattare Forza Italia e Ncd. Renzi spera ovviamente che il partito azzurro dia prova di compattezza e giovedì prossimo è pronto a testarlo.

Socci contro l'esercito rosso di Bergoglio: "Cosa succede a chi non è d'accordo"

Antonio Socci: com'è dura sfuggire all'Inquisizione dell'esercito rosso dei bergogliani

di Antonio Socci 



La stizzita «Inquisizione progressista» che in questi giorni si è scatenata contro Vittorio Messori mette in mostra un’intolleranza grottesca che è il connotato della stagione bergogliana. Ecco cosa è successo. Il 24 dicembre scorso Vittorio Messori, sul Corriere della sera, ha firmato un pacatissimo commento dove, con molto rispetto, accanto ad apprezzamenti per il papa argentino, ha esposto qualche «perplessità» su certi suoi gesti e dichiarazioni. Lo scrittore ha così dato voce a un disagio che, nel mondo cattolico, è sempre più vasto, anche se non viene raccontato dai media laicisti occupati ad osannare ogni giorno Bergoglio con uno sbracamento adulatorio che sfiora il ridicolo «culto della personalità». 

Anche molti vescovi e cardinali sono nauseati da un personalismo tanto esagerato e sospetto dei nemici di sempre della Chiesa, i quali infatti contrappongono Bergoglio alla Chiesa. Molti cattolici sono allibiti per la smaniosa ricerca dell’applauso ad ogni costo di papa Bergoglio che non si occupa dei cristiani perseguitati e massacrati, ma, per dire, dopo aver amorevolmente telefonato a Pannella, l’ha rifatto pure con Benigni (citandolo a sproposito nella messa in San Pietro) e ieri è intervenuto anche sulla guarigione del medico di Gino Strada. Nel mondo cattolico circolano battute sarcastiche su questa mondalità spirituale. Invece Messori ha evitato ogni polemica e ogni asprezza. Non ha nemmeno menzionato il traumatico Concistoro di febbraio e il Sinodo di ottobre che hanno visto per la prima volta un papa appoggiare e sostenere, da dietro le quinte, le tesi eterodosse di Kasper (stoppate per ora dalla sollevazione della maggioranza dei vescovi e dei cardinali).

Ratzinger - Messori è arrivato perfino a scrivere che - ad ogni modo - il «Papa emerito» ha dato «approvazione piena dell’attività di Francesco», cosa vera se s’intende che Benedetto ha dichiarato il riconoscimento gerarchico di Francesco, ma tenendo presente che papa Benedetto mai ha pronunciato una parola di adesione ai contenuti del magistero di Bergoglio. Anzi, in ogni sua dichiarazione pubblica di questi due anni, Ratzinger ha confermato i contenuti del suo pontificato che Bergoglio contraddice sui punti più importanti. Le considerazioni di Messori sono state pacate e rispettose. Ma per gli inquisitori bergogliani non importa. Basta mostrare qualche semplice «perplessità» per diventare - ai loro occhi - sospetti di sabotaggio, di torbido complotto e finire messi all’indice. Il cattobergogliano propugna l’ecumenismo più incondizionato con protestanti o ortodossi, vuole il dialogo con tutti, laicisti, massoni, comunisti cubani o cinesi, noglobal, islamici, perfino con i terroristi dell’Is (lo ha teorizzato lo stesso Bergoglio), ma nessun dialogo con i cattolici «ratzingeriani» o - come li ha definiti lui stesso al Sinodo - «tradizionalisti» (cioè fedeli al magistero di sempre). Quelli vanno «randellati».

Dunque a raffica hanno bersagliato Messori. Il primo è stato Luigi Alici, già presidente dell’Azione cattolica - per così dire - martiniano, il quale definisce il pezzo di Messori «un insopportabile esercizio di giornalismo obliquo». Alici condanna «scrittori e giornalisti» che fanno osservazioni critiche sulla «persona chiamata a guidare la Chiesa» (cioè sulle scelte papa Bergoglio), mentre ritiene che da «desacralizzare» sia il papato in quanto tale. Elogia infatti l’«opera provvidenziale di desacralizzazione della figura del papa» che Francesco conduce «in modo straordinario».

A dir la verità la dottrina cattolica dice l’opposto di Alici: la sacralità è propria dell’ufficio papale (la «figura del papa»), non della persona, fallibile e peccatrice, che di volta in volta lo ricopre. A scagliarsi contro Messori è arrivato pure Leonardo Boff, uno dei nomi simbolo della Teologia della liberazione sudamericana. Boff ha esaltato Bergoglio e ha attaccato, dopo Messori, il suo «amato Joseph Ratzinger» e gli «altri Papi anteriori». Boff è un ex frate che nel 1984 ebbe un pronunciamento negativo dalla Congregazione per la dottrina della fede, presieduta da Joseph Ratzinger. Nel 1992, a seguito di alcuni richiami e moniti di Giovanni Paolo II, lasciò l’abito religioso. Le sue posizioni impregnate di marxismo (oggi pure di new age) lo hanno fatto diventare un leader noglobal. Il 17 dicembre si è saputo che papa Bergoglio lo ha chiamato chiedendogli i suoi libri che gli servono per preparare la sua prossima enciclica sulle questioni sociali ed ecologiche (i contenuti saranno quelli sentiti nel comizio papale al Leoncavallo e agli altri centri sociali). 

Boff dice: «Il Papa appartiene alla teologia della liberazione nella versione argentina». Poi aggiunge: «Il Papa ha criticato la dottrina sociale della Chiesa, la considera astratta e non abbastanza chiara nella distinzione, che dev’essere nitida, tra chi sono gli oppressi e chi gli opressori». Pur avendo lasciato l’abito religioso Boff dice: «Io celebro, faccio battesimi, matrimoni, tutti i sacramenti quando non c’è un sacerdote. I vescovi lo sanno e mi dicono: vai avanti. Mi sento bene, in questa veste di laico». E nessuno ha da ridire nel Vaticano di Bergoglio. Che ha pure cancellato la sospensione «a divinis» voluta da Giovanni Paolo II per Miguel D’Escoto, ministro sandinista che ancora oggi esalta Fidel Castro (ecco spiegato il crollo disastroso dell’appartenenza alla Chiesa in America Latina: con pastori così…). Infine va menzionato l’incredibile «appello» intitolato «Fermiamo gli attacchi a papa Francesco» (come? Con l’imbavagliamento? Con una retata di dissidenti? Con la deportazione in Siberia?).

Il testo, sottoscritto dalle firme storiche del cattoprogressismo, da don Paolo Farinella ad Alex Zanotelli, da don Santoro delle «Piagge» a don Luigi Ciotti, alle «Comunità di base», si lancia a testa bassa contro l’articolo di Messori, definendolo un «attacco mirato e frontale», «una vera dichiarazione di Guerra», addirittura «un avvertimento di stampo mafioso». Fa ridere questa conversione ultrapapalina del vecchio mondo della contestazione. E questa volontà censoria. Non era proprio il cattoprogressismo a scatenarsi nella critica contro i predecessori di Bergoglio? Del resto una reazione di stizzita intolleranza contro Messori si è notata pure negli ambienti della corte bergogliana. E il direttore di Avvenire l’altroieri ha allestito un’intera pagina per mostrare il suo zelo ultrabergogliano e condannare il pacato articolo del più famoso scrittore cattolico italiano come fosse un pericoloso eretico. Cose mai viste se si ricorda l’ossequio con cui Avvenire ha sempre trattato certi clericali che attaccavano duramente papa Ratzinger e Wojtyla. 

Il Conclave - È nota pure la riverenza di Avvenire verso il cardinal Martini che, negli ultimi anni, ha avanzato critiche ben dure del pontificato di Ratzinger. Ma il «papa conservatore» era mite, aperto, con lui c’era libertà e tolleranza. Invece l’attuale «numero uno» a parole elogia la «parresia», poi di fatto non sopporta le critiche e ha modi di commando sudamericani, che producono un clima di terrore in Curia. Resta la domanda su come abbia fatto un rappresentante della «teologia della liberazione», come lo definisce Boff (oggi consulente di Bergoglio), a conquistare il papato. La risposta sta in un conclave confuso e frettoloso (probabilmente con alcune violazioni delle norme, quindi con una possibile invalidità dell’elezione). Il collegio cardinalizio più conservatore che si ricordi è stato convinto di votare un papa in continuità con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI, mentre in realtà stava votando il candidato della sinistra cattoprogressista. Oggi molti cardinali sono sgomenti. E tutto appare surreale. A Natale trecento ballerini di tango si sono allegramente esibiti per il compleanno di Bergoglio sul sagrato di San Pietro, mentre nel mondo imperversa un macello di cristiani. 

Così si lavora il meno possibile: lo spiega il vademecum Cgil

Ecco come lavorare il meno possibile: il vademecum della Cgil




Non solo le malattie "strategiche": i lavoratori fannulloni e scansafatiche hanno moltissime possibilità per evitare di presentarsi al lavoro e percepire ugualmente lo stipendio. Si tratta di leggi e anche norme previste dai vari contratti di categoria che se applicate in modo scriteriato danno la possibilità al lavoratore di stare a casa a lungo. Sul sito della Funzione Pubblica Cgil è consultabile il vademecum dei permessi: dieci pagine in cui si spiegano tutti i possibili permessi a cui hanno diritto i lavoratori. Ci sono i 15 giorni di licenza matrimoniale e i giorni concessi ai dipendenti pubblici per concoeci ed esami. Chi dona il sangue ha diritto a 24 ore di permesso senza limite annuale (sono le strutture pubbliche a fissare un tetto di quattro donazioni l'anno per gli uomini e due per le donne).

I permessi - L'antitetanica permette di assentarsi dal lavoro nelle ore successive alla vaccinazione. Ci sono poi i permessi per curare famigliari ammalati: la legge 104 a cui si accede dopo l'autorizzazione dell'Inps e dà diritto a tre giorni di permesso al mese. Un'altra legge consente ai volontari della protezione civile di assentarsi anche per dieci giorni consecutivi dal lavoro per effettuare simulazioni e formazioni, in caso di calamità naturali dà diritto a 30 giorni consecutivi di assenze. Anche i volontari del corpo nazionale del soccorso alpino hanno diritto a permessi retribuiti.  Il datore di lavoro non può negare al dipendente il permesso di svolgere il ruolo di presidente, scrutatore, segretario o anche rappresentante di lista dirante le elezioni. Permessi pagati anche per consiglieri ed amministratori di enti lorcali, incluse le comunità montane. Poi c'erano i permessi sindacali su cui però si è abbattuta la scure di Renzi che li ha di fatto dimezzati. 

Pubblica l'elenco di chi non paga le multe Per il sindaco di Oristano finisce male...

Oristano, il Comune pubblica online l'elenco di chi è in ritardo con multe e tasse: maxi-denuncia




In provincia di Savona c'è un sindaco che per essersi rifiutato di incassare le tasse sulla casa è stato commissariato. A Oristano, in Sardegna, il primo cittadino ha invece deciso di percorrere un'altra strada: pubblicare sul sito del Comune l'elenco dei concittadini morosi che non hanno ancora pagato tutte le gabelle dovute. In entrambi i casi, comunque, l'effetto boomerang è assicurato, e pesante. Perché per Guido Tendas, primo cittadino di Oristano, è in arrivo una maxi-causa collettiva dei cittadini finiti, loro malgrado, alla gogna mediatica bollati in qualche modo come "evasori fiscali". Come riporta La Stampa, la volontà dell'amministrazione oristanese era quella di recuperare i 300mila euro di arretrati tra multe e tassa sui rifiuti. Peccato che i contribuenti finiti nella lista nera, pubblicata sul sito, abbiano preferito rivolgersi ai loro avvocati per violazione della privacy, e le associazioni dei consumatori sono al loro fianco. Ora il Comune ha fatto rimuovere dal sito l'elenco infamante, promettendo provvedimenti disciplinari per i funzionari responsabili della pubblicazione. Una marcia indietro forse tardiva, visto che fino a qualche tempo fa era lo stesso sindaco Tendas a difendere la strategia: per lui è "normale che siano pubblici i ruoli delle persone che hanno debiti con il Comune". "Se la pubblicazione - spiegava ancora il sindaco - servisse a far emergere la necessità che tutti versino quanto dovuto, direi che è uno strumento adatto".

C'è un Comune che cancella le tasse Risultato: lo Stato manda a casa tutti

La storia di Camiciottoli, il sindaco di Pontinvrea che non fa pagare le tasse sulla casa: commissariato

di Antonio Castro 



Alle tasse sulla casa (Imu,Tari, Tasi), non si sfugge. Anche se il comune - caso raro in Italia - ha i conti apposto, addirittura in attivo (50mila euro risparmiati sul bilancio da 1 milione di euro del 2014). Paradossi di una fiscalità tutt’altro che comprensiva. E dell’incrocio perverso con una direttiva pensata dal braccio destro di Matteo Renzi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Graziano Delrio, immaginata da un ex primo cittadino (di Reggio Emilia), per far risparmiare. Ma che avrà proprio l’effetto contrario.

I fatti: Matteo Camiciottoli, sindaco di Pontinvrea (Savona) che di mestiere fa il ristoratore, 850 residenti, ha (avrebbe) gestito così bene la finanza comunale da risparmiare sul bilancio circa 50mila euro. Morale i cittadini del borgo non pagano né Imu né Tasi sulla prima casa, e neanche la Tari. Miracolo? No, solo che Camiciottoli e i suoi amici della lista civica che amministra il paesotto hanno pensato bene di risparmiare e gestire al meglio i servizi comunali, a cominciare dalla raccolta dei rifiuti. Raccolta differenziata - riporta l’edizione locale del Secolo XIX e de La Stampa - che è balzata dal 20% al 64%. Morale: si sono risparmiati 30mila euro dal bilancio comunale e con qualche altra accortezza si è evitato di imporre dal 2012 ad oggi l’ennesimo balzello (Tasi, Tari Imu), sui contribuenti.

Peccato che il testardo e battagliero primo cittadino oltre a evitare ai sui amministrati (rivotato con il 97% dei consensi), di sborsare quest’anno le tasse sui servizi indivisibili, l’immondizia e la casa, si opponga alla fusione con gli altri piccoli comuni limitrofi. E così - ricorda il quotidiano torinese - «tra qualche settimana arriverà un commissario prefettizio ad acta». A fare cosa? Ad imporre al comune di Pontivrea di unirsi o associarsi con gli altri paesotti limitrofi per «associare le funzioni amministrative, dall’anagrafe alla ragioneria». 

Il decreto Delrio sull’accorpamento prevedeva come scadenza ultima per optare per l’aggregazione dei piccoli comuni il 30 dicemrbe. Solo che il sindaco e il Consiglio comunale non hanno obbedito. E così tra qualche giorno un commissario incaricato dalla Prefettura di Savona scalerà il 425 metri (sul livello del mare), per ottemperare agli obblighi romani e avviare la fusione comunale.

«Le unioni consociate», Camiciottoli giustifica così la decisione di non fondersi, «smontano poteri e funzioni dei paesi con problemi di gestione, risorse e costi aggiuntivi, come riferito dalla Corte dei Conti in audizione alla Camera. Il progetto viola l’articolo cinque della Costituzione. Essendo inemendabili i primi dodici punti della Carta costituzionale, i nostri legali sono pronti a ricorrere al Tar». Insomma, Delrio e Renzi, ex sindaci ma di grandi città, dovranno spiegare e giustificare in un aula di giustizia (amministrativa), perché un comune virtuoso, che elimina le tasse ai residenti, gestisce bene i compiti assegnati, debba forzatamente fondersi con altri.

Ma c’è dell’altro e la vicenda potrebbe non finire così. Almeno non subito. La giunta comunale ha aderito a una causa contro la presidenza del Consiglio e il Viminale per far dichiarare l’incostituzionalità («con violazione degli articoli 2, 3, 42, 47 e 53 della Carta»), della tassazione sulla prima casa. E in primavera si terrà la prima udienza al tribunale di Genova. 

Il nostro sospetto, chiosa il sindaco barricadero, è che si tratti di un «un falso risparmio». L’obiettivo vero è creare Comuni «di 15mila abitanti che invece di essere amministrati da liste civiche finiranno sotto il “cappello” della politica. Piuttosto», rilancia, «consorziamoci per offrire servizi meno cari, come mense o scuolabus». E la rivolta antitasse dei sindaci si espande. A Roccavignale, sempre nel savonese, il sindaco per evitare di far pagare l’Imu agricola ha proposto di spostare la sede sopra 600 metri di quota. L’altra settimana il Comune di Fivizzano, (Massa Carrara), ha deciso di spostare la sede legale in una frazione ad 860 metri di altezza per provare a non pagare l’Imu agricola (116 mila euro per 8mila abitanti).

Le cinque App "indispensabili" per spiare partner, figli e dipendenti

Tecnologia, le cinque App "indispensabili" per spiare partner, figli, amici e dipendenti




Spiare quello che dicono o fanno i propri coniugi, partner, figli, amici o impiegati? Sapere dove sono, o con chi? Si può fare, e non è un mestiere complicato da investigatore privato o hacker. Basta scaricare una App e dare una sbirciatina (a voler essere rigorosi, "violare" la privacy) dal proprio smartphone o tablet. E' Market Watch a stilare la lista "indispensabile" per gli aspiranti spioni.

Le cinque App indispensabili - Studiata per iPhone e iPad, Connect consente di monitorare le azioni del soggetto da seguire sui principali social network (Facebook, Twitter, Instagram, Google Contacts, LinkedIn): in pratica, un aggregatore di profili che mette a confronto status e aggiornamenti della stessa persona senza il bisogno che questi accetti alcuna vostra richiesta o invito. C'è poi Find my friends, per iPhone e Android, che segue i movimenti di una persona grazie alle mappe e alla sincronizzazione con la rubrica del telefono. Utilissima per ritrovare un iPhone rubato, può servire ai più maliziosi per rintracciare anche il dispositivo di qualcun'altro... Trick or Tracker, invece, è pensata per permettere ai genitori di seguire passo passo i propri figli. Per Android o iPhone, ha il "difetto" di richiedere il consenso delle persone seguite ma può essere molto utile quando un figlio, magari un minore, si sposta da solo fuori casa fornendo aggiornamenti ogni 15 minuti. C'è anche una App fatta apposta per i datori di lavoro più sospettosi: con Trackerphone App possono tenere sotto controllo i dipendenti monitorandone il telefono, individuarne i movimenti nelle ultime 24 ore nel raggio di 10 metri e registrare informazioni tra i 2 e i 60 minuti. Particolarmente indicata per chi ha dipendenti furbetti e assenteisti. Topsyapp, infine, si presenta come la applicazione definitiva, "progettata per monitorare i vostri dipendenti, figli o altri su un dispositivo mobile o smartphone che possedete o che avete il diritto e consenso di monitorare". Costa più della media (da 6,99 a 33,99 dollari al mese) ma di fatto è il compendio di tutte le altre App. 

domenica 4 gennaio 2015

Letta, Prodi, Merkel e Cameron: la lezione a Renzi sui voli di Stato

Letta, Prodi, Merkel e Cameron: lezione a Renzi sui voli di Stato




La notizia l'ha data un grillino: "Matteo Renzi ha usato un volo di stato per andare con la famiglia a Courmayeur". Renzi si difende, dice che non è stata una scelta ma una necessità dettata dall'obbligo di rispettare le regole della sicurezza (leggi la sua difesa). Se è vero che non c'è nulla di illegittimo (questo dovrà essere accertato) è altrettanto vero che l'uso dei mezzi di Stato è facoltativo. Nel 2006 per esempio Romano Prodi arrivò sul passo Campolongo alla guida della sua auto ed Enrico Letta, nei trasferimenti che non riguardavano impegni istituzionali, volava su aerei di linea. Ci sono poi esempi europei. Il più eclatante è quello del primo ministro inglese David Cameron. Fece scalpore, nel 2011, la sua partenza per andare in vacanza a Ibiza insieme alla famiglia. Quella volta Cameron scelse una compagnia low cost e si presentò al banco Easyjet tenendo per mano i figli Nancy, sette anni, e Arthur, cinque. Mancavano la moglie Samantha e l’altra figlia, Florence, all’epoca di otto mesi, ma solo perché erano partite il giorno prima. Sempre con Easyjet, of course. 

Esempio tedesco - Il primo ministro inglese, comunque, non è l’unico a scegliere le vacanze low profile. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel si è sempre distinta per le ferie all’insegna della sobrietà. Ad esempio, quando trascorre un periodo di relax nell’amata Ischia (la prima volta ci andò con il padre circa vent’anni fa), è solita raggiungere l’isola insieme al marito a bordo di un traghetto di linea. Non solo. Nell’aprile del 2014 la cancelliera, sempre accompagnata dal fedele consorte, si è recata anche a visitare gli scavi di Pompei pagando di tasca sua il biglietto d’ingresso per lei e per le persone che la accompagnavano, tra cui c’erano alcuni uomini della scorta.