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domenica 14 dicembre 2014

Sputtana la Celentano e famiglia: "Ecco perchè è finita tra me e Rosalinda. E i suoi genitori...". Cosa c'entra l'alcol...

La rivelazione di Simona Borioni: "Con Rosalinda Celentano è finita per colpa dell'alcol"




E' stata Rosalinda Celentano attraverso un comunicato stampa a dichiarare la fine della relazione con Simona Borioni, che tuttavia a distanza di poche settimane rilascia la sua versione a "Verissimo". 

Le dichiarazioni choc - "Il problema della dipendenza dall'alcol è uno dei motivi che hanno portato alla separazione. Quando le problematiche di Rosalinda sono riaffiorate, io non ho più tenuto botta, non ce l'ho più fatta", ha detto l'attrice, ospite il 13 dicembre alle 16.30 su Canale 5 a "Verissimo". Nell'intervista, prosegue raccontando: "Sono stati 4 anni non semplicissimi. Io non ho mai conosciuto la famiglia Celentano. Credo che se io e la sua famiglie ci fossimo tenuti per mano, saremmo riusciti meglio a fare da cuscinetto e da rete ai disagi e alle problematiche di Rosalinda. Separati non si possono ottenere gli stessi risultati. Io, per 4 anni, Rosalinda me la sono vissuta completamente da sola".

Sul comunicato - In merito al comunicato Ansa con il quale la figlia di Adriano ha annunciato la fine della storia d'amore, Simona sottolinea: "Non ne ero al corrente. Una doccia fredda. Dopo il comunicato ci siamo sentite. Lei tenta ancora, a suo modo, di farmi capire quanto mi ama e quanto ancora è legata a me".

Quel pezzo grosso della politica cacciato in mezzo alla strada: beccato dalla sua donna, cornuta con una conduttrice Rai...

Quel pezzo grosso della politica cacciato in mezzo alla strada: beccato dalla sua donna, cornuta con una conduttrice Rai...




Un'indiscrezione. Una soffiata. Una storia di amori, politica e tradimenti. Una storia al solito raccolta e rilanciata da Dagospia, a cui nulla sfugge, soprattutto quando di mezzo ci sono dei potenti. La storia di cui si parla viene brutalmente sintetizzata in poche righe. Titolo: "Roma galeotta". Lo svolgimento è curioso, e narra la storia di un politico del nord che "sarebbe finito in mezzo a una strada". La ragione? Il tradimento, appunto, scoperto dalla sua compagna: cornuta, per giunta per una tresca con una conduttrice della Rai, in quella che Dago definisce una "liason pericolosa". I nomi, per ora, restano nell'anonimato.

Pd, resa dei conti: verso la scissione Civati e dissidenti, ultimatum a Renzi

Pd, rischio scissione. Pippo Civati: "Alle elezioni non andremo con Renzi"




Il D-Day del Partito democratico è arrivato. Dopo mesi di schermagli, accuse, controaccuse, insulti e marce indietro, la scissione del partito leader della politica italiana in due tronconi è stata oggi nei fatti annunciata da uno dei leader della sinistra Pd, Pippo Civati, il quale ha detto papale papale che "se Renzi si presenta con il Jobs Act e con le cose che sta dicendo, elle elezioni di marzo noi non saremo candidati con Renzi".

Un affondo che, qualche minuto prima, era stato preceduto dalla decisione della minoranza Pd in commissione Affari istituzionali di non partecipare al voto sull’articolo 3 del disegno di legge che riforma il bicameralismo perfetto. I temi del dibattito riguardano comunque non solo le disposizioni sulla possibilità che il presidente della Repubblica nomini nel nuovo Senato dei senatori a vita, ma riguarda anche il giudizio di costituzionalità preventivo sulla legge elettorale, in discussione al Senato, in commissione Affari costituzionali e anche il tema del quorum per l’elezione del capo dello Stato che è stato innalzato. Non è stata comunque avanzata richiesta di sostituzione degli otto deputati che hanno fatto questa scelta. Che tuttavia è stato annunciato che scatterà se non ci sarà la volontà di dialogo sulla nuova legge elettorale sui due punti in questione.

Civati ha parlato anche di "un patto non del Nazareno. Se la legislatura proseguirà, noi abbiamo un  programma e un progetto, ci si rivolge alle forze parlamentari senza  guardare alla loro provenienza, chi è d’accordo sottoscrive il patto e si vota di conseguenza in Parlamento". In particolare, sottolinea Civati, «quando si tratta di Costituzione,  non c’è una disciplina di partito. Non c’è neanche un programma  elettorale né un programma di governo  perché Renzi  non ha mai scritto nulla, quindi ci sentiamo responsabilmente liberi". E in caso di elezioni anticipate: "Se il  programma elettorale questa volta lo scriviamo e non sono considerate le nostre ragioni, è più serio dire 'andate avanti voi da un’altra parte, noi faremo qualcosa di diverso'. Non è una  scissione -ha concluso- è una presa d’atto di una differenza".

Per il leader della minoranza del Pd l’assemblea di domani del partito "è un thriller, Renzi decide di notte....". A Bologna, dove Civati si è presentato a un incontro dell’associazione "È possibile" per discutere  patto del Non Nazareno, annuncia: "Io sto sereno, come consiglia di fare lui da tempo: non ho niente da perdere, qualcun altro ci perse Palazzo Chigi".

Allarme rosso: la tredicesima non arriva Chi rischia di restare al verde a Natale

La tredicesima non arriva: un lavoratore su quattro a rischio, ecco quali categorie




Buon Natale? Forse no. Un allarme (inquietante) arriva de Federconsumatori: "Gran parte delle tredicesime verrà consumata per pagare le tasse, ma la cosa più preoccupante è che in molte piccole e medie aziende la famosa mensilità natalizia potrebbe addirittura slittare a gennaio o a marzo". Un nutrito gruppo di italiani, dunque, rischia di non percepire la tredicesima, quell'assegno che per la stragrande maggioranza degli italiani è ossigeno puro in un periodo di Tari, Tasi, assicurazione, bollo e regali natalizi. L'allarme viene lanciato in un'intervista all'Agi di Rosario Trafiletti, numero uno di Federconsumatori. Dati alla mano, spiega, il quadro economico del Paese è in continuo peggioramento, e dunque almeno una impresa su quattro troverà grossi problemi nel reperire i fondi per le tredicesime.

Segnali di crisi - Elio Lannutti, presidente di Adusbef, spiega: "Ci arrivano segnali in questa direzione. Piccole e medie aziende con le casse vuote di cash potrebbero decidere di far slittare di due o tre mesi le tredicesime", che dunque verrebbero percepite nella primavera del 2015. Trafiletti, poi, riprende: "La disoccupazione è intorno al 13,2%, e quella giovanile oltre il 44%, ossia una cifra record. Logico, dunque, che ci sia una drastica contrazione della spesa che sarà per certi versi sorprendente". Tra i segnali di crisi, il fatto che a Natale 2014 anche il settore di libri, dischi e audiovisivi sarà in passivo: così non fu un anno fa, e l'indicatore dà la cifra del momento che il Paese sta attraversando. Un Natale mesto, dunque, in cui, riprende trafiletti "si spenderà poco, solo in giocattoli e beni alimentari, ma i tre quarti della tredicesima degli italiani sono stati già destinati al pagamento delle tasse". Almeno per chi la tredicesima la riceverà.

Ignazio Marino peggio di una barzelletta: Panda rossa ancora in divieto di sosta Ci è ricascato: guarda le fotografie

Ignazio Marino peggio di una barzelletta: ci ricasca, Panda rossa ancora in divieto di sosta




Incredibile, ma tutto vero. Ignazio Marino ci ricasca. Ancora la Panda rossa, di nuovo in divieto di sosta, dopo tutte le multe prese, prima non pagate, e poi pagate "anche se non dovevo". Sembra una barzelletta, quella di cui è protagonista il sindaco di Roma, una barzelletta che è stata immortalata con tanto di foto dal sito Romafaschifo. L'auto rossa di Marino è stata pizzicata in via Santa Chiara, solo qualche metro prima di dove fu fotografata giusto un mese fa, quando impazzava lo scandalo-multe (e ben prima che la Capitale venisse travolta dal terremoto dell'inchiesta su Carminati & Co e che lambisce anche la giunta del sindaco). Romafaschifo, noto portale capitolino, fa notare in calce alla fotografia pubblicata su Facebook e Twitter: "Errare è umano, ma perseverare... Oggi pomeriggio (sabato 13 dicembre, ndr) dopo pranzo la vettura del sindaco in pieno divieto di sosta a Via Santa Chiara. Mah". In pochi minuti il post su Facebook ha raggiunto oltre duecento condivisioni, e il tassametro corre...

L'intervista/Lamberto Dini dà i voti ai successori: Renzi? "Un arrogante, ma di qualità" Distrugge Monti e Letta. Poi sul Cav...

Lamberto Dini intervistato da Perna: "Renzi? Arrogante di qualità, circondato da incapaci"

Intervista a cura di Giancarlo Perna 


Mancano il caminetto acceso e l’alano impettito, per il resto è come se mi trovassi in casa di un Lord nella Londra di mezzo secolo fa. Il signore dei luoghi, Lamberto Dini, è in completo scuro con gilè come c’era da aspettarsi. Non vedo però il mitico orologio da taschino che da direttore generale di Bankitalia gli aveva dato fama per l’abilità con cui lo roteava facendolo apparire e sparire. Pazienza.

«Lieto di conoscerla e darmi l’occasione di parlare della situazione italiana. Ne parleremo, nevvero?», mi chiede l’ex premier. «Qui per questo», rispondo mentre sediamo nello studio con mobili d’antiquariato, libri e quadri. Su un tavolo, in cornici d’argento, una rassegna fotografica degli incontri memorabili che il mio ospite ottantatreenne ha avuto in giro per il mondo con incarichi vari. Una vita da Fregoli, quella di Dini: uomo del Fmi, di Bankitalia, ministro del Tesoro, degli Esteri, presidente del Consiglio, cose così. «Tengo a parlare dell’Italia perché conto che il messaggio arrivi al mio concittadino, Matteo Renzi. Benedetto ragazzo! Pare non si consigli con nessuno e neanche riceva i suoi ministri. Fa di testa sua, mentre dovrebbe prendere idee confrontandosi con gli opinion makers italiani e stranieri. Salvare l’Italia non è impresa da fare in solitaria», dice Dini con passione. 
L’attico su due piani in cui abita è in una zona pedonale del più ambito centro romano dove ogni rumore è spento. Posso quindi distintamente sentire che qualcuno scende silenziosamente la scala interna. È un maggiordomo in livrea e guanti bianchi che porta un vassoio col caffè, saluta con un cenno del capo e scompare. Un’atmosfera d’altri tempi che è la vita quotidiana di Dini.

  «Lei è ormai fuori da tutto -dico-. Ha concluso nel 2013 da senatore del centrodestra. In precedenza, però, era stato parlamentare del centrosinistra per tre legislature. È di destra o sinistra?». «Sono liberal democratico -risponde-. Ricorderà che quando nel ’94 lasciai Banca d’Italia, lo feci per entrare nel primo governo Berlusconi come ministro del Tesoro. Poi, sempre Silvio, mi indicò quale premier quando il suo governo cadde, abbandonato dalla Lega. Solo dopo il conferimento dell’incarico da parte di Scalfaro, il centrodestra, per beghe interne, mi voltò le spalle. La sinistra invece mi votò responsabilmente la fiducia. Il voltafaccia fu, dunque, della destra. Poi, la mia collaborazione con D’Alema & Co. -io sempre su posizioni moderate, con Rinnovamento Italiano, la Margherita, ecc.- durò una dozzina d’anni. Per cinque, 1996-2001, fui ministro degli Esteri. L’entente con la sinistra si interruppe col secondo governo Prodi (2006-2008), troppo appiattito su Rifondazione comunista. Provai un tale disagio che gli votai la sfiducia. Ne seguì un chiarimento con Berlusconi, che negli anni aveva continuato a ribadire la nostra amicizia, e, con le elezioni 2008, tornai da dove ero venuto». «Un rientro a casa», dico. «Esatto», dice lui e allarga le braccia come Cristo in croce. Spalancamento che ripete spesso durante l’intervista ogni volta in cui vuole dire che la cosa è evidente. Dini ha una gestualità americana che tradisce i vent’anni trascorsi negli Usa cui deve anche l’accento tosco-yankee che gli è valso, per assonanza di birignao, il soprannome di Lambertow.

«Come vive il declino italiano?», chiedo. «Molto male. A parte i nostri problemi, la crisi s’iscrive nell’irreversibile slittamento della forza economica da Occidente a Oriente. Basta guardarsi attorno: è un mare di made in Cina. Poi, c’è l’egoismo della Germania. Paese esportatore, ha un enorme surplus della bilancia dei pagamenti, ma frena sugli investimenti interni contribuendo alla depressione europea. E della sua stessa economia che, con un Pil allo 0,5, è al limite della deflazione». Uno squillo del telefono lo distrae nel mezzo dell’intemerata. Dini reagisce a mezza voce: «Oh chi è che rompe?» e con due battute liquida l’interlocutore.

Per di più, Frau Merkel si impiccia troppo dei fatti nostri.

«Merkel non ha una visione europeista. È succube del suo elettorato. Non è Helmut Kohl, vero europeo, che quando diceva qualcosa i tedeschi l’accettavano».

Veniamo a noi. Si criticava tanto il Cav ma Mario Monti ha fatto peggio. 

«Ha sbagliato perché ha voluto risanare aumentando le tasse, senza limitare la spesa pubblica. Diceva che se avesse tagliato, il Parlamento non gli avrebbe approvato gli aggravi fiscali».

Compiaceva la sinistra che dalla spesa ricava il consenso.

«Monti, mondialmente conosciuto per la sua vanità, pensava al Colle e non voleva perdere simpatie. Poi ha fatto altri errori e si è giocato tutto. Chissà perché Napolitano l’ha fatto senatore a vita prima che dimostrasse le sue capacità».

Enrico Letta?

«Quando si vide che era lento nelle determinazioni, soprattutto nella riforma delle Istituzioni, il Quirinale gli ha preferito Renzi».

Lei che pensa di Renzi?

«Ha la necessaria carica emotiva e di carattere per fare le riforme. Mi dà speranza. Anche se ciò che ha fatto finora è deludente».

Cado dalle nuvole. Di Renzi lei diceva: «Ragazzotto presuntuoso e impertinente, senz’arte né parte».

«Che sia presuntuoso, lo ammette lui stesso. Ma è un arrogante di qualità. Tuttavia, come ha scritto Eugenio Scalfari, se una squadra senza leader non è bene, un leader senza squadra è peggio. È il caso di Renzi che ha messo al governo gente senza esperienza. Se avesse persone capaci, le riforme sarebbero a miglior punto».

Quando parla di incapaci che intende?

«Prenda la riforma della Pa del ministro Marianna Madia. Quando le fu chiesto di quanto avrebbe ridotto i costi della burocrazia, rispose: “Non è un mio problema, ma del ministro dell’Economia”. Una riforma della Pa o riduce le spese e il ruolo dello Stato o è il nulla».

Pure Renzi non taglia per non perdere consensi?

«La sua bussola è il consenso. Anche gli ottanta euro gli sono serviti a prendere voti. Quanto altro avremmo invece potuto fare con quei dieci miliardi? Ma sulle potenzialità di Renzi sono in sintonia con Berlusconi che lo appoggia. Quando si candidò sindaco, Silvio mi disse: “Quel ragazzo lo dobbiamo prendere noi”».

Tra gli incapaci di Renzi mette anche Pier Carlo Padoan?

«Nooo. Lui è un eccellente economista con un grande curriculum. Si è però trovato un premier molto ficcante e non so se riuscirà mai a imporre il suo punto di vista. Gli ottanta euro sono un’idea di Renzi, non sua. Finora ha fatto l’equilibrista con grande bravura».

Che farebbe Dini al posto di Renzi e Padoan?

«Tre mosse. Profonda riforma della Pa per ridurre la spesa corrente. A cominciare dalle Regioni che sono il disastro della spesa pubblica. I risparmi -almeno 40 miliardi- serviranno a una riduzione equivalente delle tasse su famiglie e imprese. Di seguito, un programma di privatizzazioni per diminuire il debito pubblico. Terzo, ma dipende dall’Ue, un grande piano di investimenti con emissione di Eurobond per almeno cinquecento miliardi».

Uscire dall’euro?

«Per l'amor di Dio. Un disastro da cui non ci risolleveremmo per trent’anni».

Seri economisti però lo consigliano.

«Sono degli imbecilli. Finiremmo tra i Paesi inaffidabili, senza credito e in misere condizioni. Dobbiamo restare nell’euro, ma da protagonisti, per rintuzzare il merkelismo».

Il Cav è out?

«Mai pensarlo. Sa di essere più capace degli altri in Fi. E non dà spazio. Fino alle prossime elezioni sarà il capo».

Il patto con Renzi è un suicidio per Fi?

«Se serve a fare le riforme, va bene. Renzi è un uomo di centro e non può essere lontano dalle idee di Berlusconi».

Quale politico, anche del passato, sarebbe in grado di risollevarci?

«C’è la carta Renzi, giochiamola».

Come vede il nostro futuro?

«L’Italia ha ancora grandissime risorse. Per farne dilagare le potenzialità ci vogliono riforme».

Lei è un pensionato d’oro. E se finisse anche lei sul lastrico, dati i tempi?

(ride) «Alla mia età non mi preoccupa. Molto più invece se penso a mia figlia e alle mie nipotine. A meno di un grande cambiamento. E l’Italia è capace di farlo».

sabato 13 dicembre 2014

Matteo Renzi sputtana Bersani : quei regalini ai suoi uomini

Pd, tira aria di scissione. Domani l'Assemblea nazionale: ecco l'obiettivo di Matteo Renzi




Tira una brutta aria all'interno del Pd: ormai sono palpabili, per Matteo Renzi, i rischi di uno stallo sulle riforme provocato da una fronda dello stesso Partito Democratico. In ballo c'è l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, con la fronda di Bersani e D'Alema che mira a sedersi al tavolo delle trattative: ma c'è anche l'obiettivo, come rivela Il Giornale, di far saltare il patto del Nazareno, diventando determinante nell'elezione di un presidente della Repubblica che non possa essere votato da Berlusconi.

Le parole di Cuperlo - Nel partito c'è il sospetto che si stia tentando di provocare una reazione dura, da parte dello stesso Renzi, in modo tale che la minoranza possa vestire i panni della vittima e giustificare così la propria separazione dal gruppo dell'ex sindaco di Firenze. Gianni Cuperlo non si nasconde: "Renzi vuole una resa dei conti sulle poltrone? Se mi chiede di lasciare il mio posto da deputato, io in un minuto mi dimetto e gli restituisco quello che evidentemente ritiene di sua proprietà. In quel caso però dovrebbe rinunciare all'aggettivo democratico". Emerge, dalle parole di Cuperlo, l'intenzione di costringere Renzi a forzare la mano contro la fronda, estromettendola dagli incarichi, e creare i presupposti per la scissione del gruppo di Bersani e D'Alema.

I numeri a favore di Renzi - Domani ci sarà l'Assemblea nazionale, e in molti stanno tentando di convincere Renzi ad adottare una linea più soft verso la fronda di minoranza. Il premier sta studiando la conta su un documento, oltre ad iniziative sulla segreteria e sulle candidature alle Regionali, ma si parlerà anche di fundraising e bilanci del partito: Renzi punterà sul proprio taglio delle spese, in confronto alle gestioni precedenti. Secondo il neo-tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi, "tutti i componenti della segreteria Bersani godevano di 3.500 euro di indennità rimborso, due avevano anche appartamenti e solo per le auto blu sono stati spesi nel 2012 450 mila euro, scesi a 124 mila nel 2013". Prima dell'elezione di Renzi, nel 2013, il disavanzo era di oltre dieci milioni di euro. A domani per la resa dei conti.