Visualizzazioni totali

lunedì 1 dicembre 2014

Giordano contro Papa Francesco: "Vi racconto la sua resa ad Allah"

Mario Giordano: il Papa che prega Allah mi sembra una resa, non un dialogo

di Mario Giordano 


Sarà pur stata un’“adorazione silenziosa”, e non una vera e propria preghiera. Sarà pur stato un gesto simile a quello compiuto da Benedetto XVI nel 2006, come s’affanna a precisare il preoccupato portavoce della Santa Sede. Sarà tutto quel che si vuole, ma fa un certo effetto vedere il Papa che si mette a mani giunte verso la Mecca nella Moschea Blu di Istanbul, mentre l’imam recita i versetti del Corano. E fa ancor più effetto pensare che quel Corano è lo stesso che, poco distante da lì, gli islamici usano per eccitare le folle a squartare i cristiani, a impalarli e crocefiggerli. A spazzarli via. C’è un contrasto troppo forte fra il Papa che rispetta fino all’ultimo tutti i riti dell’Islam, si toglie le scarpe e s’inchina al "mihrab", e gli islamici che a pochi chilometri dalla Moschea Blu non rispettano nulla dei cristiani. Non le loro chiese, non le tradizioni, non i riti. E nemmeno la loro vita.

Papa Francesco vuole dialogare con l’Islam, si capisce. Ma come si fa a dialogare con chi non vuole farlo? Come si fa dialogare con chi vuole solo abbatterti? Come si fa a dialogare con chi vuole piantare la bandiera del Califfato in piazza San Pietro? Il dialogo è una parola bellissima, che permette discorsi straordinari, preghiere comuni, gesti esemplari. Ci si toglie le scarpe insieme. Ci si inchina alla Mecca. Ci si trova d’accordo con l’imam e il gran muftì. Ma poi, in realtà, gli islamici non vogliono dialogare. L’hanno dichiarato apertamente: vogliono conquistarci. E distruggerci.

L’Islam buono e l’Islam cattivo? Una favola. Se fosse vero che i terroristi sono pochi fanatici marginali, non li avrebbero forse già messi a tacere? Non li avrebbero combattuti? Non li avrebbero almeno condannati con durezza? Invece no. Non sento dure condanne unite del mondo islamico contro gli orrori dei tagliagole. Non vedo mobilitazioni dei pellegrini della Mecca per fermare le mani dei loro confratelli. Non vedo fremiti di sdegno contro i massacri che vengono perpetrati contro i cristiani. Anzi: vedo silenzio. Quasi compiacimento. E, anzi, vedo fremiti di anti-cristianità che scuotono tutto il mondo arabo e arrivano perfino in Paesi che fino a ieri laici e nostri amici. A cominciare proprio dalla Turchia che sta scivolando sempre di più nell’Islam radicale, che non a caso sostiene sottobanco le milizie dell’Isis. E il cui presidente Erdogan ha appena riunito i 57 Paesi islamici per incitarli alla rivolta contro di noi: «L’Occidente ci sfrutta, vuole le nostre ricchezze - ha detto -. Fino a quando sopporteremo?».

Qualcuno ha cercato di spiegarmi che c’è pure una differenza tra il gesto di Benedetto XVI (che in moschea si fermò in raccoglimento ma non giunse le mani in preghiera) e quello di Francesco (che invece le ha unite, proprio come se stesse pregando). Se fosse vero, sarebbe un motivo in più per rimanere un po’ perplessi. Ma per rimanere perplesso a me basta, per la verità, vedere un Papa che si rivolge alla Mecca insieme con gli islamici proprio mentre molti islamici che si stanno rivolgendo alla Mecca hanno le mani sporche del sangue dei cristiani.

Mi pare che, dopo il famoso discorso Ratzinger a Ratisbona e la furiosa reazione che ne seguì da parte dei musulmani, i cattolici siano stati costretti a piegarsi. Noi facciamo gesti distensivi e loro moltiplicano i massacri. Noi costruiamo per loro moschee e loro distruggono le nostre chiese. Noi ci inchiniamo ai loro simboli nei nostri Paesi e loro non ci permettono di mostrare i nostri nei loro Paesi. Noi ascoltiamo i versetti del Corano con ammirazione e loro minacciano di declamarli dal Cupolone di San Pietro. Che vogliono trasformare all’incirca in un parcheggio dei loro cammelli.

Capisco l’ansia di Papa Francesco, che è un grande comunicatore, di costruire ponti con tutti: con gli islamici e con i non credenti (Eugenio Scalfari). Ma per costruire i ponti ci vogliono due cose. Primo: bisogna che dall’altra parte non ci sia chi ti vuol sgozzare o annientare, altrimenti è un autogol. Secondo: bisogna che i pilastri siano saldi, tutti e due. E il dubbio è proprio questo: il pilastro dell’Islam è saldo, quello dei non credenti pure. Ma il pilastro cattolico? È incerto. Barcollante. Sradicato. In effetti: non abbiamo radici. Le stiamo perdendo. L’Europa non ce le riconosce. Le chiese si svuotano. I preti invecchiano. I ragazzi non vanno più a catechismo. Dopo la cresima c’è la fuga. I valori del matrimonio e della vita sono messi costantemente in discussione. La famiglia tradizionale è massacrata. Come si può dialogare se non si hanno più valori da rappresentare? Come si possono aprire le porte agli altri, se non si è fortemente saldi dei propri principi? Se i propri valori sono stati attaccati, messi in vendita e liquidati?

In queste condizioni il ponte rischia di crollare. Non per il gesto del Papa, non per una preghiera rivolta alla Mecca, non per la Moschea Blu circondata da Paesi rosso sangue. Il ponte rischia di crollare perché lanciamo gittate in avanti senza assicurarci della nostra tenuta. Non perché loro sono violenti, ma perché noi siamo deboli. E perché anziché rafforzare la nostra debolezza, ci esponiamo alla loro forza. Al loro fanatismo. Alla loro violenza. Fino al giorno in cui sarà troppo tardi.

E ci accorgeremo che quello che ci ostiniamo a chiamare dialogo, in realtà è un loro monologo. O, peggio, una loro invasione. La conquista definitiva. E allora addio cattolici: rivolgersi alla Mecca non sarà più un gesto distensivo. Ma un comando del padrone islamico.

domenica 30 novembre 2014

Lettera segreta di Enrico Cuccia: su De Benedetti aveva capito tutto

Enrico Cuccia, quella lettera segreta a Carlo De Benedetti: "Valeva la pena rischiare i soldi degli altri?"




Un vecchio carteggio tra il banchiere più potente e misterioso d'Italia, ossia Enrico Cuccia, e l'imprenditore che all'epoca delle missive si identificava quasi esclusivamente con Olivetti, ossia Carlo De Benedetti. Una serie di lettere inedite che Paolo Bricco cita nel suo libro, L'Olivetti dell'Ingegnere, editore il Mulino, e di cui dà conto il Corriere della Sera. Si tratta di lettere in cui Cuccia non si esimeva da giudizi anche molto duri sull'operato dell'Ingegnere. Riavvolgiamo il nastro fino al 28 novembre 1996, quando CdB inviò a Cuccia la relazione alla Camera sullo stato disastroso del suo gruppo. L'oggi editore di Repubblica, si respira dalle righe, cercava una sorta di assoluzione dal più importante banchiere d'Italia, da uno degli uomini più potenti e riservati della prima Repubblica. De Benedetti scrive che "molta disinformazione è stata pubblicata sulla stampa italiana ed estera, e molti attacchi immeritati sono stati fatti all'azienda".

Quella frase... - La risposta di Cuccia arriva pochi giorni dopo, il 5 dicembre. E ad assolvere l'Ingegnere dei fiaschi non ci pensa neppure. Mister Mediobanca, l'uomo che veniva identificato con la finanza italiana tout-court, non riconosce a De Benedetti alcun merito, e anzi boccia sonoramente il suo tentativo di ricostruzione, mettendo nel mirino il primo salvataggio della Olivetti, dopo la morte di Adriano. Nelle lettere entra si parla anche di Bruno Visentini, l'uomo che con il placet dello stesso Cuccia accompagnò CdB nella sua ascesa ad Ivrea, e secondo Cuccia è "l'amico Visentini" ad avere il merito di quello che l'editore di Repubblica ha sempre rivendicato, ossia la prima macchina elettronica al mondo. Ma l'attacco più duro non è questo. L'attacco più duro sta tutto sta in una frase. L'Olivetti sta per implodere, e così Cuccia, allora 89enne, chiede "se valeva la pena assumere taluni rischi in cui sono stati profusi, e bruciati, ingenti capitali. Ella - si rivolge a De Benedetti - è proprio sicuro che il coraggio è sempre un buon consigliere, specialmente quando si rischiano, oltre ai propri, i soldi degli altri?".

Frecciate - Una sonora bocciatura, scritta con lo stile paludato e tagliente che di Cuccia fu il marchio di fabbrica. La storia di Cuccia e De Benedetti, d'altronde, s'intrecciava da anni. CdB, infatti, fu aiutato da Mediobanca, per poi smarcarsi dall'istituto e, successivamente, vedersi costretto a tornare a bussare mestamente all'istituto per provare a salvare il salvabile. E in quella frase di Cuccia, in quella lettera, il banchiere sembra proprio voler rinfacciare all'editore di Repubblica i suoi errori. De Benedetti, a sua volta, replica ricordando a Cuccia che le banche italiane, Mediobanca in primis, non avevano creduto all'informatica italiana. Un'altra stoccata, insomma. Una serie di frecciate che si aprono e si chiudono con "viva cordialità", che viene espressa in calce ad entrambe le lettere.

Berlusconi, l'ultima sfida alle toghe: "Torno in piazza, anche se sto rischiando"

No Tax Day, Silvio Berlusconi: "Rischio, ma torno in campo"




"C'è ancora tutta Forza Italia, mancavo io, eccomi qua". Silvio Berlusconi torna a parlare in piazza e lo fa nel No Tax Day, la manifestazione degli azzurri in piazza San Fedele. Il Cav vuol far sentire la sua voce e riprendersi saldamente in mano il partito. "Ho deciso di rischiare, non posso più astenermi a dire come stanno le cose e a tornare in piazza per dire la nostra verità che è la verità vera", ha affermato il Cav.  I cittadini, ha spiegato il presidente di Forza Italia, "si sono chiesti ’cosa possiamo fare con il leader al servizi sociali e con gli avvocati che gli impongono di non parlare pena gli arresti domiciliari e il non poter più nemmeno fare telefonate? Quindi - ha ribadito Berlusconi - da oggi torno in campo".

Attacco al governo - Berlusconi ha poi parlato dell'attuale governo che, come ha raccontato in questi giorni il Mattinale, si appoggia su una maggioranza con 148 "abusivi" eletti con il Porcellum che la Consulta ha definito incostituzionale: "Oggi abbiamo un governo non eletto dal popolo, il terzo dopo quello di Monti e Letta, frutto di brogli elettorali, con un premio di maggioranza frutto di una legge elettorale che la Corte Costituzionale ha giudicato essere incostituzionale". 

"Ritorno in campo" - "Forza Italia c’è ancora - ha proseguito Berlusconi - e c’è ancora tutta", riferendosi alle ultime elezioni ha voluto sottolineare che la gente non è andata a votare Forza Italia, non perchè abbia votato "un’altra fazione ma non sono andati a votare perchè in campo non c’era un certo Silvio Berlusconi. Dobbiamo andare al contatto umano mettendo in campo tutti i nostri elettori. Noi abbiamo in programma inciso sulla pietra e per noi la prima cosa è rispettare gli impegni presi con i nostri elettori". 

Il piano per la casa - Berlusconi, quindi, ha ribadito l’intenzione di votare "le riforme, ma diciamo che per tutto il resto siamo decisamente e responsabilmente all’opposizione in parlamento", e in particolare "non condividiamo le politiche economiche di questo governo". A questo punto il Cav ha lanciato la sua ricetta per rilanciare il mercato immobiliare: "Visto la crisi dell’edilizia che c’è in Italia se dovessi tornare a governare  lascerò che per sei mesi la compravendita delle case avvenga senza pagare tasse allo Stato. C’è bisogno di uno choc, questo è uno choc". 

Il nodo Salvini - Infine il Cav ha parlato anche di Matteo Salvini: "Non ho mai candidato Salvini alla guida del centrodestra. Salvini con quelle sue belle magliette, con il suo linguaggio estremamente sintetico ha fatto goal sull’Emilia Romagna e gli ho fatto i complimenti. Da lì tutti a dire ’ecco Salvini è il candidato del centrodestrà, ma io non ho mai detto questo è opera solo dei giornali che fanno disinformazione". 

Dopo le tangenti, spunta la laurea falsa Ecco chi è il dem nel mirino delle toghe

Pd, nuova accusa per Marco Di Stefano: "Ha comprato una laurea per 12mila euro"




L'inchiesta sulle presunte tangenti intascate dal dem Marco Di Stefano, di cui Libero vi ha raccontato in queste settimane, si allarga. Ora il deputato Pd è anche accusato di aver comprato la sua laurea. Una laurea in Scienze Giuridiche pagata 12 mila euro e comprata con i soldi della Regione Lazio. Il reato ipotizzato dai magistrati della procura di Roma coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi è la corruzione. Ultima contestazione in un’inchiesta che ipotizza il pagamento di una tangente da quasi due milioni di euro da parte degli imprenditori Antonio e Daniele Pulcini per un affare immobiliare. E riguarda anche l’omicidio di Alfredo Guagnelli, che di Di Stefano era amico e collaboratore.

L'inchiesta - Dalle carte dell’inchiesta depositate nei giorni scorsi emerge l’inquietante ipotesi che di Stefano possa aver ricattato i politici del Pd dopo aver svolto attività di dossieraggio nei loro confronti. Infuriato per il risultato ottenuto alle primarie per le elezioni politiche nel febbraio 2013 minacciava al telefono di "scatenare la guerra nucleare", accusava Zingaretti, parlava di "maiali che hanno imbrogliato le primarie". Tanto che i pubblici ministeri, sollecitando la proroga delle intercettazioni, parlavano di "particolare condizione di inquietudine ravvisabile nell’ animus di Di Stefano il quale, ormai relegato ai margini dell’imminente competizione elettorale, starebbe raccogliendo, nell’ottica di inficiare la carriera politica di alcuni colleghi di partito, materiale cartaceo per essi compromettente". Ora a queste accuse si aggiunge anche quella di aver comprato una laurea. Ora toccherà a Di Stefano difendersi davanti ai magistrati. 

Renzi, riforme con l'esercito di abusivi Boschi, Picierno e...: onorevoli col trucco

Renzi vuol fare le riforme con 148 abusivi

di Paolo Emilio Russo 


Per il centrodestra è una questione di «legalità» e l’alternativa nientemeno che «il collasso democratico». L’allarme lanciato da Renato Brunetta e dal “suo” Mattinale si riferisce al rischio che Matteo Renzi approvi modifiche costituzionali a maggioranza e lo faccia col voto decisivo dei 148 deputati «abusivi». Quest’ultima definizione non è made in Forza Italia, ma deriva dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 dicembre 2013. Gli ermellini avevano dichiarato «incostituzionale» il premio di maggioranza che consentì a Pd, Sel e Centro democratico di eleggere quasi centocinquanta onorevoli in più nonostante il misero 0,37% di vantaggio. «Prevale la continuità delle istituzioni, certo, ma a che prezzo?», scrive il foglio del gruppo Fi. Gli azzurri mettono le mani avanti: qualora gli «abusivi» dovessero essere decisivi considererebbero il gesto «una negazione del giudicato della Consulta» e, di conseguenza, potrebbero fare ricorso. Che farà ora il premier? A vedere la lista degli «abusivi» viene il sospetto che della sentenza se ne infischi: ha voluto al suo fianco molti di loro. Sono «illegittimi» il ministro Maria Elena Boschi, i sottosegretari Ivan Scalfarotto e Sandro Gozi, il guru economico Yoram Gutgeld...

La gola profonda (e anonima) della Nasa confessa in radio: "Vi racconto cosa ho visto su Marte..."

Alieni, la rivelazione dell'ex Nasa: "Ho visto due uomini correre su Marte"




Una ex dipendente della Nasa ha rivelato, in un'intervista radiofonica, di aver visto due esseri viventi camminare su Marte. La donna, che non ha svelato la propria identità (si fa chiamare Jackie), ha spiegato che i fatti sarebbero avvenuti nel 1979, in occasione dello sbarco del Lander Viking su Marte. Jackie ha affermato che anche gli altri colleghi avrebbero visto la scena.

I filmati - La scena è stata immortalata, e i filmati sono stati inviati sulla Terra: dalle immagini si possono vedere le due figure mentre indossano tute spaziali particolari, più leggere e meno ingombranti, in modo tale da permettere una migliore mobilità. Ma poco dopo le immagini sparirono, e la sala video fu chiusa ermeticamente con del nastro adesivo. Jackie ora chiede di riaprire il caso, ma la Nasa non ha ancora risposto.

Deliri, complotti, gaffe e figuracce: ecco chi sono i cinque vice di Grillo

Movimento Cinque Stelle, ecco chi sono i nuovi leader pentastellati




Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Carla Ruocco, Carlo Sibilia. Sono loro i prescelti del capo che daranno vita al direttorio del Movimento Cinque Stelle. Sono loro che affiancheranno Beppe Grillo, che si è definito "un po' stanchino", nella guida del popolo pentastellato. "Queste persone - ha spiegato il Grillo - si incontreranno regolarmente con me per esaminare la situazione generale, condividere le decisioni più urgenti e costruire, con l’aiuto di tutti, il futuro del MoVimento 5 Stelle". Un futuro tutto in salita e non solo perché questa decisione, che fa il paio con le epurazioni, ha di fatto spaccato il movimento. Andando a vedere i profili dei giovani incaricati, come ha fatto Mattia Feltri sulla Stampa, appare evidente che sono tutti personaggi sopra le righe.

Poligamo - Sibilia, ad esempio, è un avellinese di 28 anni che prima di entrare alla Camera si offrì al dibattito politico con una proposta di legge che, oltre ai matrimoni gay, consentisse di "sposarsi in più di due persone" e "anche tra specie diverse purché consenzienti". Sibilla è lo stesso che il giorno del 45° anniversario della sbarco sulla Luna ha sostenuto che l'uomo non andò mai sulla Luna e che lo scorso ottobre dopo la sparatoria nel Parlamento canadese disse: "Opera di un pazzo o di qualcuno che ha ritrovato la ragione?".

Il culto del capo - Poi c'è il quarantenne napoletano Roberto Fico che sta interpretando in maniera innovativa il suo ruolo di presidente della Commissione di vigilanza Rai: ha partecipato all'occupazione della Rai con Grillo, non ha proferito parola quando il suo capo ha detto di evadere il canone, ha fatto interrogazioni sul direttore di Rainews che aveva partecipato alla riunione di Bilderberg, ha proposto la chiusura di Porta a Porta e ha un culto del capo che fa quasi paura. Grillo per Fico è infatti "patrimonio mondiale dell'umanità come le Dolomiti e la Costiera Amalfitana".

La moderata - L'unica donna del direttorio pentastellato è Carla Ruocco. La quarantunenne napoletana, fa notare la Stampa, è madre e donna moderata: ogni tanto si alza in aula e dice che Renato Brunetta è il gran capo del malaffare. Appena entrata a Montecitorio disse che suo desiderio era di favorire un'adeguata "redistribuzione della ricchezza" sostenendo pure che "le Borse calano e lo spread cresce per colpa della legge elettorale".

Eleganza e aplomb - Infine Di Battista e Di Maio, i più osannati dei grillini. Dibba, trentaseienne romano, è uno che ha l' aria di quello cui non la si dà a bere. Mattia Feltri ricorda quando disse: «Diamo fastidio. Prevedo attacchi sempre più mirati, magari a qualcuno di noi un po' più in vista. Ti mandano qualche ragazza consenziente che poi ti denuncia per stupro, ti nascondono una dose di cocaina nella giacca...". Quando gli chiesero "chi?" Dibba rispose: "Pezzi di Stato deviati. Il sistema fa questo". Del resto lui ha girato il mondo, è stato in Guatemala, in Congo, nel Nepal, conosce i narcos e sa che le decapitazioni dell'Isis sono figlie di Guantanamo come Guantanamo fu figlia dell'11 settembre e così via, fino ad Annibale. È stato sorpreso in aula mentre guardava una partita in streaming ma la sua passione non si discute: celebre il tentativo (poi si trattenne) di entrare in una Commissione abbattendone la porta col busto marmoreo di Giovanni Giolitti. Infine c'è Di Maio, vicepresidente della Camera. L'elegante ventottenne avellinese spicca perché, quando si sbilancia, dice: "Adesso vediamo". E qui, puntualizza Feltri, siamo a livelli di saggezza quasi democristiana. Ultima notazione: quattro su cinque vengono dalla Campania.