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sabato 20 settembre 2014

LA RIVOLUZIONE DEL CANONE RAI Chi guadagna di più rischia il salasso

Canone Rai: chi guadagna di più pagherà caro

di Nino Sunseri 


Un canone Rai a geometria variabile. È questa, a quanto pare, l’ultima trovata del governo per aiutare l’ente radiotelevisivo in difficoltà di bilancio. Sarebbe in preparazione a Palazzo Chigi un decreto legge per legare l’imposta alle capacità di spesa delle famiglie e ai suoi consumi. Lo spesometro applicato al video. L’innovazione è stata ventilata dal sottosegretario Antonello Giacomelli parlando al Festival di Camogli. «Interverremo con una proposta innovativa che recupera la vocazione del servizio pubblico», ha annunciato. Di tagli, invece, si parla sempre meno. Troppo dolorosi. Molto meglio trovare un sistema per aumentare gli incassi cominciando dal redditometro applicato al video.

Per la verità il direttore generale Gubitosi ci sta provando a tagliuzzare un po’. Ha lanciato un piano di risparmi per 150 milioni la cui eco, però, tende ad attenuarsi. È bastato poco, infatti, per accendere la protesta dell’Usigrai, il potente sindacato dei giornalisti Rai che ha sempre guardato a sinistra. Talvolta molto a sinistra. Gubitosi ha proposto la riorganizzazione di tutta l’informazione. A partire dall’anno prossimo dovrebbero nascere due grandi redazioni. La numero 1 coin l’accorpamento di Tg1, Tg2 più Rai Parlamento; la numero 2 raggruppando Tg3 più Rai News più Tgr e Ciss, meteo e Web. Ovviamente l’Usigrai ha subito strepitato per la minaccia agli spazi di libertà. Gli spettatori, infatti vedrebbero i loghi dei diversi Tg, ma a confezionarli sarebbe una sola redazione. Un problema? Difficile crederlo. La tripartizione, infatti, è figlia della Prima Repubblica: il Tg1 alla Dc, il Tg2 ai socialisti e il Tg3 al Pci. Già allora non era semplice capire questa divisione se non per l’interesse dei partiti. Oggi ha la stessa attualità dei dinosauri.

Quello che si capisce molto bene, invece, è la determinazione a non tagliare. Non a caso la Rai ha presentato ricorso al Tar contro la decisione del ministero di fermare a 113,5 euro il canone 2014. Nel frattempo per alzare le entrate è partito il programma di quotazione di Ray Way. Si tratta della società che possiede i ripetitori distribuiti sul territorio. Dal collocamento del 49% Gubitosi spera di incassare 600 milioni che certamente metterebbero a posto il bilancio per un po’ di tempo. La valutazione nasce dal precedente di Mediaset che ha venduto il 25% di Ei Towers per 283 milioni. La Rai colloca il doppio delle azioni della sua società di trasmissione e spera di incassare il doppio. Ce la farà? Da vedere. In ogni caso Ray Way ha dato inizio alle procedure per la quotazione. Ha rinnovato il consiglio limitandolo a tre membri: presidente Camillo Russotto (direttore finanziario Rai), amministratore delegato Stefano Ciccotti (confermato) e consigliere Salvatore Lo Giudice (capo del settore legale Rai). In panchina: Joyce Bigio (tecnico di provenienza Fiat), Fabio Colasanti (direttore It della commissione europea) e Patrizio Messina (esperto di finanza). Entreranno in carica doppo la quotazione.

venerdì 19 settembre 2014

SILVIO TORNA CANDIDABILE? Da Strasburgo assist al Cav: Ammesso ricorso processo Mediaset

Silvio Berlusconi frode fiscale, la Cedu di Strasburgo ammette il ricorso dell'ex premier




Dopo l'assoluzione nel processo Ruby, arriva un'altra buona notizia per Silvio Berlusconi. Questa volta sul fronte della condanna per il processo Mediaset. La Corte europea dei Diritti dell'uomo ha "ammesso" il ricorso di Berlusconi post condanna per frode fiscale (4 anni) del 2 agosto 2013 da cui è derivato tutto il resto: servizi sociali, decadenza dalla carica di senatore, incandidabilità per cinque anni, interdizione penale dai pubblici uffici per due anni, estromissione da ogni carica rappresentativa e onorifica il divieto di candidarsi in ogni tipo di elezione. La comunicazione, come racconta l'Huffingtonpost, della Cedu è stata notificata ai legali nelle scorse settimane. 

La comunicazione - Nella missiva si comunica che "quanto prima possibile" sarà decisa la fissazione del procedimento avviato da "Berlusconi Silvio per violazione ripetuta dei principi cardine del giusto processo". Non è un verdetto ma la Corte spiega che sono "degne" di valutazione quelle che nel corso del dibattimento sulla cosiddetta compravendita dei diritti tv sono state, secondo i legali di Berlusconi, "violazioni ripetute dei diritti dell'imputato".

Cosa può cambiare - La comunicazione della Corte arriva soprattutto alla luce di quello che è accaduto il 9 luglio scorso quando la Corte d'Appello di Milano ha assolto in un processo gemello Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi e altri sette manager. L’impostazione dell'accusa si fondava sullo stesso presupposto del processo finito invece con la condanna di Silvio. Ma per Confalonieri e Berlusconi jr la Corte ha dato ragione alle difese. Forti, quindi, anche di un'assoluzione per gli stessi fatti, i legali di Berlusconi pretendono che la Cedu valuti se ci sia stata violazione dei diritti della difesa nel procedimento che ha condannato l'ex Cavaliere. Se fossero, infatti, riconosciute le violazioni di cui Berlusconi si dichiara vittima, sarebbe annullata la sentenza di condanna e automaticamente l'ex Cavaliere tornerebbe titolare di tutti i suoi diritti. Attivi e passivi. Potrebbe votare e, soprattutto, candidarsi ed essere votato. Il tutto in un arco di tempo che ragionevolmente potrebbe coincidere con la prossima primavera. 

Forza Italia, Silvio Berlusconi vuole azzerare i vertici e rifondare il partito

Forza Italia, Silvio Berlusconi vuole azzerare i vertici e rifondare il partito





Questa nuova Forza Italia, Silvio Berlusconi, l'ha fortemente voluta ma sin dal principio non l'ha mai troppo amata. Le divisioni e le battaglie interne lo hanno amareggiato. Ed è in questo contesto che il Cavaliere starebbe meditando a un progetto rivoluzionario, di cui dà conto Repubblica. Una "sorpresa per la quale dovrete pazientare ancora un po'", anticipata ai coordinatori regionali e ai vertici del partito. Vertici che ora tremano. Berlusconi avrebbe detto ai suoi fidatissimi: "Voglio azzerare tutto, ma questa volta per davvero". Rifondare ancora il partito, insomma, e tornare all'agognato spirito del '94. Cancellando l'attuale classe dirigente, facendo poche eccezioni.

Un giudice a Strasburgo - "Sto già completando la scelta dei curriculum di giovani volti", ha raccontato il leader in Forza Italia. Curriculum in gran parte portati dall'ex sindaco rottamatore di Pavia Alessandro Cattaneo. Insomma, Berlusconi si prepara a tornare in campo a tutto tondo: "Tornerò a fare il presidente a tempo pieno di Forza Italia e il leader del centrodestra, così come sono tornato a fare il presidente del Milan con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti". Il Cav è smanioso, attende con ansia la pronuncia della Corte di Strasburgo che potrebbe cancellare l'interdizione e riconsegnargli la piena agibilità politica. Eppure il voto non è sui radar: "Non si andrà a breve alle elezioni. L'ho detto anche a Renzi, siamo persone responsabili, pronte a dare una mano se occorre".

Riavvicinamenti - Berlusconi punta a riprendersi tutto, il partito, azzerandolo, ma anche la coalizione. Non a caso, nelle ultime ore, hanno preso a circolare delle indiscrezioni su una possibile fuoriuscita di quasi-ex alfaniani da Ncd: nove senatori, capeggiati da Renato Schifani, sarebbero pronti a tornare in Forza Italia. E in questo contesto si inseriscono anche le manovre di riavvicinamento alla Lega Nord di Matteo Salvini: la prossima settimana Berlusconi incontrerà il leader del Carrocci. L'obiettivo a breve termine è quello di sbloccare la partita per le nomine di Consulta e Csm. Quello a medio termine sono le alleanze per le regionali. Poi, ancora più in là, la speranza è di ricomporre una grossa coalizione in grado di giocarsela alle urne.

Pd, caos per l'articolo 18: Orfini e Bersani contro Renzi

Pd, caos per l'articolo 18: Orfini e Bersani contro Renzi




Nel Pd regna il caos. A far scoppiare la bufera sono state le parole di Matteo Renzi sulla riforma del Lavoro e l'eliminzaione dell'articolo 18 per i neoassunti. Nel Pd il primo a criticare il piano di Renzi è Matteo Orfini: "I titoli del Jobs Act sono condivisibili. Lo svolgimento meno: ne discuteremo in direzione, ma servono correzioni importanti al testo" scrive Orfini, su Twitter. Nessun richiamo all'articolo 18, ma il riferimento è chiaro. Perché è su questo punto che il Partito democratico si sta dividendo. Subito dopo Orfini, è l'ex segretario Pier Luigi Bersani a esprimere i suoi dubbi, arrivando a definire "surreali" le intenzioni del Governo: "E' assolutamente indispensabile che il governo dica al Parlamento cosa intende fare nel decreto delegato sul lavoro, perchè si parla di cose serie. Io mi ritengo una persona di sinistra liberale - sottolinea Bersani - penso che ci sia assolutamente la necessità di modernizzare le regole del lavoro dal lato dei contratti e dei servizi. Ma leggo oggi sui giornali, come attribuite al governo, delle intenzioni ai miei occhi surreali. In alcuni casi si descrive un'Italia come vista da Marte". 

Le critiche di Bersani - Poi tocca a Pier Luigi Bersani rincarare la dose: "E' ora di poter discutere con precisione - rilancia Bersani - cosa intendiamo quando diciamo che bisogna superare il dualismo e l'apartheid nel mercato del lavoro, quando diciamo che bisogna estendere le tutele universalistiche, quando diciamo che bisogna tenere, nella crisi, in equilibrio i rapporti di forza tra capitale e lavoro. Quando diciamo queste che sono cose basiche per un Paese", aggiunge l'ex segretario del Pd. Ma il governo deve smentire l'intenzione di voler abolire l'articolo 18 per decreto? "Deve chiarire quali sono i contenuti precisi, perchè l'emendamento che è stato presentato, sulla carta, lascia aperta qualsiasi interpretazione. Leggo oggi sui giornali come attribuite al governo delle interpretazioni che secondo me vanno chiarite. L'abolizione della reintegra è uno degli aspetti, non è il solo", conclude Bersani.

Berlusconi, lo "scippo" ad Alfano: ecco chi sta per tornare con Silvio

Forza Italia, nove senatori di Ncd pronti a tornare con gli azzurri




Nel faccia a faccia di poche ore fa a Palazzo Chigi, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi non hanno parlato soltanto di riforme, Consulta ed elezioni. Il Cavaliere, infatti, avrebbe fatto notare al premier di poter disporre di un arma piuttosto potente. Quale? Una pattuglia di alfaniani, pronti a tornare a Forza Italia. Questo è quanto svela l'Huffington Post, che parla dell'esistenza di una pattuglia di senatori di Ncd in trattativa per tornare in Forza Italia, il cui gruppo al Senato sarebbe destinato ad allargarsi.

Pallottolieri - Ed è proprio da Palazzo Madama che per Renzi potrebbero arrivare i maggiori problemi. Ad oggi la maggioranza può contare su 169 senatori. Cifra che potrebbe ridursi sensibilmente se gli alfaniani decidessero di tornare azzurri: la maggioranza scenderebbe a 160, e con quelle cifre il governo non potrebbe dormire notti tranquille. Berlusconi, insomma, ha mostrato a Renzi la sua carta, dimostrando così di avere ancor maggior peso politico di quello che, oggi, gli viene attribuito. Il messaggio del Cav al premier è chiarissimo: appoggio sì alle riforme, a patto che però si agisca - ed in un certo modo - anche su fisco e giustizia.

Zampino-Schifani - Sempre secondo l'Huffpost, il primo artefice della manovra sarebbe Renato Schifani, profondamente insoddisfatto per la gestione del partito imposta da Angelino Alfano. Il punto è che all'ex presidente del Senato era stato promesso un futuro da presidente dei senatori del gruppo di centro composto da Ncd, Udc, ex Scelta Civica e Popolari per l'Italia. Una promessa che però non è destinata ad avverarsi. Così, non a caso, per esempio Azzolini e D'Ali (vicinissimi a Schifani), nelle convulse votazioni per l'elezione dei due membri della Consulta non si sono sempre visti. E poi Giuseppe Esposito, che secondo alcuni rumors cercava di convincere altri parlamentari a non votare Violante e Bruno.

Le fazioni in campo - Ma i maldipancia degli alfaniani non terminano qui. Anche Simona Vicari, sottosegretario all'Economia, viene annoverata tra i "sofferenti": lei, fedelissima di Schifani, ha recentemente coinvolto nel suo staff l'ex portavoce di Nicola Cosentino, molto vicino agli ambienti di Forza Italia. Sarà un caso? Forse no. Insomma, il partito di Alfano è spaccato. E lo è da tempo. La frattura è semplice: da un lato i filo-berlusconiani che vogliono tornare col Cavaliere, dall'altro chi, invece, pensa che sia necessario un rapporto organico con Renzi, anche in vista di alleanze future. Tra i filo-berlusconiani si segnalano anche la capogruppo Nunzia De Girolamo, la portavoce del partito Barbara Saltamartini, il ministro Lupi e il vice-ministro Casero. Tra i filo-renziani, invece, Maurizio Sacconi, Quagliariello e Beatrice Lorenzin.

Greta e Vanessa, l'Italia ha deciso: paga il riscatto ai tagliagole islamici

Greta e Vanessa, l'Italia ha deciso: pagherà il riscatto per le due ragazze italiane

di Franco Bechis 


I contatti sono avvenuti discretamente durante l’estate. Colloqui riservati su cosa stava avvenendo in Iraq e Siria e le prime informazioni sulla situazione degli ostaggi italiani. Da una parte alti ufficiali dell’Aise guidato da Alberto Manenti, dall’altra esponenti del Movimento 5 stelle che siedono nel comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir. Nel comitato guidato dal leghista Giacomo Stucchi ci sono ben tre parlamentari del movimento di Beppe Grillo. Bito Crimi, Bruno Marton e Angelo Tofalo. Ce ne sono poi tre del Pd (Felice Casson, Roberto Speranza e l’ex dipendente dei servizi segreti italiani Maria Rosa Villecco Calipari), uno di Ncd (Giuseppe Esposito, vicepresidente), uno di Sel (Francesco Ferrara) e uno di Scelta civica (Paolo Vitelli). Ne è clamorosamente escluso invece Forza Italia. I contatti fra gli esponenti a 5 stelle e i vertici dell’Aise sono stati ovviamente riservati. Ma hanno prodotto la prima conseguenza politica: proprio su insistenza dei grillini questa mattina il Copasir ascolterà in seduta segreta il gran capo dell’Aise. Ufficialmente si parlerà di tutto.

Ma il tema vero del confronto con i parlamentari è uno solo: l’esposizione della situazione degli ostaggi italiani in mano all’Isis o a bande siriane, e le possibili soluzioni per giungere alla loro liberazione. L’Aise cercherà di comprendere quale copertura politica c’è per la linea già emersa negli incontri con i 5 stelle: quella sul pagamento dei riscatti per ottenere la liberazione degli ostaggi. Sostanzialmente oggi verrà chiesto in seduta segreta al parlamento un via libera a operazioni che sono già in corso. I servizi segreti italiani sono infatti sicuri di avere trovato i canali giusti per arrivare alla soluzione. In mezzo però c’è quell’ostacolo non da poco: il pagamento dei riscatti richiesti, che ammonterebbero complessivamente ad alcuni milioni di euro.

Un tema sollevato quest’estate proprio da Libero, con il direttore Maurizio Belpietro che ha messo in guardia dai rischi di questa forma umanitaria di finanziamento al terrorismo: pagare il riscatto diventerebbe un incentivo a ripetere il crimine, trasformando l’Italia in ventre molle dell’Occidente, determinando quella che tecnicamente gli esperti di intelligence chiamano pull-effect, effetto spinta. Una sorta di invito a rifarlo. Lo stesso dibattito sta agitando altri paesi e la comunità internazionale, visto che alcuni di loro (la Francia) hanno proceduto con i pagamenti consentendo la liberazione di alcuni ostaggi, e altri (Stati Uniti e Gran Bretagna) no, con le conseguenze che abbiamo tragicamente visto nei filmati dell’orrore dei tagliagole iracheni.

Perplessità sul pagamento esistono anche nella politica italiana. C’è chi pensa sia difficile spiegare l’uso di quelle risorse dello Stato per fare liberare giornalisti e volontari di Ong rapiti all’estero, quando lo stesso criterio non è stato utilizzato (ad esempio) per la salvezza di un cittadino sequestrato sull’Aspromonte. Il governo Renzi sembra orientato a pagare quei riscatti, ma non darebbe il via libera senza coperture politiche molto larghe. Quella dei 5 stelle c’è, dopo che l’Aise li ha convinti che non ci sia altra strada percorribile. Il movimento di Grillo non ha nemmeno fatto mistero di questo ruolo- chiave che si è intestato nella vicenda iracheno-siriana. E in un comunicato ieri ha spiegato: «Abbiamo chiesto l’audizione del direttore dell’Aise Alberto Manenti al Copasir per seguire con attenzione i progressi e gli sviluppi sugli ostaggi italiani. Potremo quindi capire bene le criticità e le azioni poste in essere per salvaguardare l’incolumità dei nostri connazionali. L’esperienza del direttore Manenti è una garanzia di impegno».

Perfino una lode esplicita al capo dei servizi italiani, cosa piuttosto rara in casa 5 stelle. Manenti è capo del servizio solo da luglio, ma già nei mesi precedenti ne era di fatto il reggente operativo insieme al capo delle operazioni Boeri. Sono stati loro a condurre a maggio un’operazione conclusasi felicemente: quella della liberazione di Federico Motka, prigioniero insieme all’inglese David Haines, che poi è stato decapitato dai tagliagole perché David Cameron non ha voluto pagare il riscatto. Molte voci sono circolate su quell’operazione, e la principale è stata proprio quella di un pagamento di riscatto che oscillava fra i 5 e i 6 milioni di euro. Voci rinfocolate dal viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, con le dichiarazioni in cui non ha escluso quei pagamenti.

Il Copasir di oggi potrebbe suggellare quella linea politica che sta a cuore ai 5 stelle e che sembra prediletta anche dai vertici dei servizi italiani. In fondo i più contrari albergano nelle fila di Forza Italia, che in quel consesso non ha rappresentanti formali. Anche all’interno dell’Aise la linea del pagamento del riscatto è ormai prevalente. Quelli più dubbiosi su questa strada sono stati in questi mesi allontanati dal servizio (nove generali dell’esercito e uno della Guardia di Finanza). Tutti e dieci i generali erano stati aggiunti ai servizi all’epoca dei governi di Silvio Berlusconi. Il loro allontanamento pare legato anche alle perplessità avanzate sul ruolo di un ufficiale Aise ex colonnello dei carabinieri inviato in Turchia ad addestrare militanti jihaddisti «buoni», e sull’ospitaòlità concessa ad ufficiali dei servizi segreti degli Emirati Arabi (che hanno avuto un ruolo non secondario nella crescita dell’Isis) in una base militare di Alghero.

La telefonata tra De Benedetti e Scalfari: "Pronto Eugenio? Avevi ragione tu..." La stupefacente retromarcia dell'editore

Carlo De Benedetti a Eugenio Scalfari: "Avevi ragione tu, Matteo Renzi non vale niente"




Un periodaccio, per Matteo Renzi, alle prese con le accuse di "annuncite", con la battaglia per le nomine alla Consulta e al Csm, con i disastrosi dati economici piovuti dall'Ocse e con le altrettanto disastrose previsioni della Bce. E poi mettiamoci anche il padre indagato per bancarotta fraudolenta e, perché no, la minoranza Pd (che a Camera e Senato minoranza, forse, non è) che affila i coltelli per tendergli un'imboscata (in prima linea Massimo D'Alema). In Europa ha piazzato sì Federica Mogherini, ma per convesso, lui e il disastroso Hollande, hanno dovuto "digerire" una Commissione targata Merkel, dove "rigore" è la parola d'ordine. Insomma, a noi la Mogherini, a loro i posti che contano. E ancora, la disoccupazione alle stelle e il tribolatissimo iter delle riforme (lavoro e quella elettorale, per esempio), quando le riforme almeno esistono (per esempio, quella della scuola, era stata annunciata quando ancora non ne era stato scritto un rigo).

"Avevi ragione tu..." - Un periodaccio dunque, reso tale da una discreta sequenza di buchi nell'acqua. Flop dei quali anche uno dei principali estimatori dell'uomo da Rignano sull'Arno si sarebbe reso conto. Già, perché stando a quanto scrive Dagospia, Renzi incassa un'altra brutta notizia: anche Carlo De Benedetti, padrone della Repubblica che a Matteo ha tirato e tira la volata, avrebbe cambiato idea sul premier. Tanto che Eugenio Scalfari - che dalle colonne di Repubblica, invece, ha sempre bastonato Renzi in libertà - sarebbe "particolarmente di buon umore". Già, perché De Benedetti avrebbe telefonato a Barbapapà, per dirgli qualcosa del tipo: "Caro Eugenio, avevi ragione tu, Renzi non vale niente". Peccato che CdB se ne sia accorto dopo averlo aiutato con ogni mezzo possibile. Peccato che CdB se ne sia accorto dopo i vertici mattutini col plenipotenziario Graziano Delrio. Peccato che l'editore di Repubblica se ne sia accorto soltanto ora, mesi dopo le voci sulle sue ingerenze per decidere la squadra dei ministri di Matteo. Una squadra dei ministri che sperava potesse cambiare le sorti del Paese. Speranza che oggi appare vana. Anche a De Benedetti.