Genny di Gomorra: "La colpa è di De Magistris"
Intervista a cura di Claudia Casiraghi
«Non è possibile che un ragazzo di 17 anni muoia così. Non c'è niente che possa giustificare quello che è successo". Salvatore Esposito, assurto a paradigma di una realizzazione possibile grazie alla serie Gomorra, è la voce più indicata ad esprimere l'indignazione di una città vittima di una politica assenteista. "La morte di Davide Bifolco è una tragedia che non deve ripetersi", dichiara facendo proprio il dolore di una famiglia che sente vicina. Parlare di malcostume, di abitudini ancestrali diventate legge, è riduttivo e, di certo, non serve a spiegare quanto successo. "L'andare in tre in motorino, senza casco e magari senza documenti, fa parte di un malcostume che, purtroppo o per fortuna, non è diffuso solo a Napoli. In qualsiasi quartiere popolare di qualsiasi città d'Italia prassi come questa sono all'ordine del giorno", racconta lui con gli occhi di chi è nato e cresciuto a pochi chilometri da Scampia, di chi non si sogna di giudicare Napoli dall'alto di Posillipo.
In che modo si sarebbe potuto evitare tutto questo?
"Con la pressione di un'autorità sempre presente. Se anziché un solo posto di blocco ce ne fossero stati sei quella sera, a cento metri di distanza l'uno dall'altro, Davide non si sarebbe mai sognato di tentare la fuga. È l'abitudine al disordine e all'inefficienza che gli ha fatto dire Posso farcela a seminare i poliziotti!".
Questi ragazzini sembrano abbandonati a destini infelici. Perché si permette ad una città di non curarsi degli ambienti che avrebbero più bisogno di attenzione?
"È l'amministrazione di Napoli ad aver dettato quella che adesso sembra quasi una legge. Sono il Sindaco, la Regione, il Comune, enti troppo impegnati ad organizzare concerti, concertini e feste della pizza per farsi carico dei problemi reali. Troppo impegnati ad impoverire la città con misure che non solo non le servono ma addirittura non le si addicono (vedi la zona traffico limitato)".
C'è bisogno di assistenzialismo dunque…
"C'è bisogno di venire incontro alle famiglie meno abbienti, creare per i loro ragazzi opportunità fuori dalla loro portata. A Napoli non ci sono teatri comunali in cui seguire corsi gratuiti di recitazione, non ci sono piscine comunali, non c'è niente che possa aiutare un ragazzo a prendere la strada che la sua famiglia non può permettersi di indicargli".
Il risultato?
"Se un ragazzino cresciuto in un quartiere popolare avesse le qualità per diventare un calciatore professionista ma non i soldi per iscriversi ad una scuola calcio, abbandonerebbe il sogno per diventare un delinquente".
Perché il fatto che sia successo a Napoli, di nuovo a Napoli, colpisce così tanto?
"Perché su Napoli pesa una lente di ingrandimento che fa sì che ogni cosa venga vista più da vicino, strumentalizzata. Fosse successo a Bologna nessuno avrebbe detto niente".
Ma a Bologna non è successo e, stando alle cronache, non succede spesso. Come arginare la sequela di morte che continua a colpire Napoli?
"Intensificando i controlli. Il problema principale di Napoli è che nei quartieri più a rischio le forze dell'ordine non riescono a garantire un ordine. Gli uomini sono pochi e alla fine non riescono a guadagnarsi il rispetto che invece meritano".
Quindi?
"Quindi c'è bisogno di un controllo più rigoroso, di leggi più severe. La presenza dello Stato deve, non dovrebbe, deve essere più efficace. Non a Napoli ma in tutta Italia. Perdere un ragazzino così è inammissibile".