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domenica 20 luglio 2014

Il ritratto di Giorgia Iafrate, il poliziotto donna che ha messo ko Ilda

Il ritratto di Giorgia Iafrate, il poliziotto donna che ha messo ko Ilda


di Chiara Pellegrini 



Giorgia Iafrate 
«Ti sei rovinato la vita per colpa delle donne», gli hanno continuato a dire gli amici in questi anni. Ed invece è stata proprio una donna la chiave di volta del processo Ruby, che ieri si è risolto con l’assoluzione in appello di Silvio Berlusconi da tutte le accuse. Giorgia Iafrate, classe 1980, di Frosinone, laureata in giurisprudenza e un master in scienze forensi, è lei che, con la sua testimonianza, ha incrinato il castello di carte del procuratore aggiunto Ilda Boccassini. «Inesperta sì, ma sprovveduta no!», tuonò la Iafrate, interrogata come teste. Era il 20 aprile del 2012 e Ilda “la rossa” voleva sapere tutto sulla quella ormai arcinota notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, quando Karima El Mahroug, cittadina egiziana, in arte “Ruby rubacuori”, accusata di furto venne trattenuta dalla questura di Milano. Il commissario Iafrate raccontando i fatti, abbatte il teorema della Boccassini. «Ho agito nell’interesse della minore», disse giustificando l’affido di Ruby alla consigliera regionale Nicole Minetti. «Perché non ha eseguito gli ordini del pm minorile Annamaria Fiorillo», chiese la Boccassini domandandole perché non avesse trattenuto Ruby. «Non ho disatteso gli ordini del pm perché erano cambiati». Fino ad affermare che forse è proprio Fiorillo che «ricorda male. Io invece ricordo benissimo e non cambio una virgola di quanto ho già detto» e che gli accertamenti erano stati «fin troppo scrupolosi». Quanto alla storia delle parentele con Mubarak raccontò: «Mi disse che tavolta si spacciava come nipote ma in realtà non lo era».

Quando lo tsunami Ruby piomba sulla Iafrate, è un dirigente supervisore da pochi giorni a Milano alla direzione volanti. Passano venti giorni dall’incarico e Iafrate si trova ad dover affrontare il più grande caos della sua carriera, probabilmente. Una notte in cui deve rispondere alle continue telefonate del capo di gabinetto Piero Ostuni, che aveva ricevuto la chiamata del premier, con cui si segnalava che era stata portata in questura una ragazza egiziana e che era stata indicata come la nipote di Mubarak: «Ostuni mi disse di accellerare le procedure, ma sempre nel rispetto della prassi». Seguita dall’avvocato Luca Gentilini il commissario Iafrate non si è mai costituita parte civile.

Spread, elezioni perse, Alfano Perché il processo bunga bunga ha rovinato Berlusconi e l'Italia

Ruby, Silvio Berlusconi è stato assolto ma il danno ormai è fatto


di Fausto Carioti



Esiste un genere letterario chiamato «ucronia», nel quale lo scrittore racconta cosa sarebbe successo se un evento particolare nella Storia fosse andato in modo diverso. Il confine che lo separa dalla politica spesso è davvero sottile, come conferma il fatto che uno dei testi ucronici più noti sia stato scritto da Winston Churchill (Se Lee non avesse vinto la battaglia di Gettysburg, dove il paradosso letterario e storico è doppio, visto che il generale Lee quella battaglia la perse davvero). Da ieri anche la cronaca italiana offre spunto per un racconto simile: «Se Berlusconi non fosse stato processato per il caso Ruby». Ecco, cosa sarebbe successo? Quale è stato il prezzo che hanno dovuto pagare il Cavaliere, l’intero centrodestra e il resto del Paese?

Tirare risultati è impossibile. Però si possono mettere in colonna gli addendi, i fatti certi che da quella vicenda hanno avuto origine. Iniziando da quello più ovvio e importante di tutti: per il leader Berlusconi e la sua parte politica l’impatto dell’accusa per concussione e prostituzione minorile avanzata dalla procura di Milano è stato semplicemente devastante. Non c’è stata testata internazionale, dal Wall Street Journal ad Al Jazeera all’ultimo dei blog sudamericani, che non abbia spiegato per filo e per segno in cosa avrebbe dovuto consistere il «Bunga-bunga» del Cavaliere e raccontato nel dettaglio la sua relazione con Ruby «the Heart Stealer», pescando a piene mani dalle parole dell’accusa.

«Vedrete, tutto si risolverà in una tempesta di carta», assicurava Berlusconi nel dicembre del 2010. Nessuno lo prendeva sul serio, men che meno i suoi interlocutori stranieri, che anzi da quel momento hanno usato la clava dello scandalo sessuale per delegittimarlo politicamente. Ancora a febbraio dello scorso anno Edmund Stoiber, uno dei leader della Csu bavarese, argomentava che «quello che ha combinato il premier Bunga-Bunga in Italia è una cosa incredibile» e quindi era dovere dei politici tedeschi «immischiarsi» nella campagna elettorale italiana, perché in caso di vittoria di Berlusconi il prezzo «lo pagheremmo tutti».

Fu nei confronti del Berlusconi ferito dal caso Ruby e impallinato dallo spread che nell’autunno del 2011 si tentò l’operazione raccontata nel suo libro dall’ex segretario al Tesoro americano Timothy Geithner: «Alcuni funzionari europei ci proposero un progetto per cercare di obbligare il primo ministro italiano Silvio Berlusconi alle dimissioni…».

Da qui nascono due domande senza risposta, le prime di un lungo elenco: le banche tedesche e gli altri istituti che in quei mesi lanciarono la “tempestaperfetta” sui titoli di Stato italiani, portando lo spread a quota 550 e caricando i conti pubblici di una dose extra di interessi sul debito pubblico, avrebbero fatto lo stesso se il presidente del Consiglio non fosse già stato indebolito agli occhi del mondo da quell’accusa infamante? E il governo di centrodestra sarebbe uscito comunque di scena per lasciare il posto all’esecutivo filo-tedesco e tassatore di Mario Monti?

Ora che Berlusconi è stato assolto vengono le vertigini a guardare i risultati delle elezioni del 24 febbraio 2013, con appena 125mila elettori a separare la coalizione di Pier Luigi Bersani da quella capitanata dal Cavaliere azzoppato. Un soffio, lo 0,37% dei votanti. Eppure - grazie al generosissimo e anticostituzionale premio garantito dal Porcellum - quanto basta per assegnare al centrosinistra 340 seggi della Camera, cioè la maggioranza assoluta dell’aula di Montecitorio, contro i 124 del centrodestra.

Il punto di svolta nel grafico dell’andamento delle intenzioni di voto era stato proprio il processo costruito attorno alla ragazza marocchina. «Cambia il vento dei sondaggi, in picchiata la fiducia del premier», esultava Repubblica il 27 febbraio del 2011, cioè subito dopo il rinvio a giudizio. Antonio Noto di Ipr Marketing spiegava che «il caso Ruby è costato al premier tra i 6 e gli 8 punti». Sei mesi prima, secondo lo stesso istituto, il centrodestra era avanti di 5-6 punti, ma il vantaggio si era già ridotto a 1-2 punti.

Un costo politico incalcolabile e destinato a durare nel tempo, anche perché la caduta del meteorite Ruby ha contribuito a far sparire il centrodestra così come lo conoscevamo. Certo, il Ncd di Angelino Alfano è nato per nobilissime ragioni legate alla necessità di tenere in vita il governo Letta dopo che il Cavaliere aveva richiamato i propri ministri. Ma anche perché la Cassazione aveva da poco confermato la condanna al Cavaliere per frode fiscale, e la condanna definitiva per il caso Ruby, con conseguente perdita dei benefici dell’indulto e dunque carcere o arresti domiciliari, era ritenuta (non solo dagli alfaniani) l’eventualità più probabile.

Che centrodestra avrebbe oggi l’Italia se l’incriminazione del suo leader per quella vicenda, anziché deflagrare e rivelarsi inconsistente solo ieri, quando tutti i danni ormai sono stati fatti, non fosse mai avvenuta? Quale sarebbe oggi il potenziale elettorale della coalizione? Quando si sarebbe votato? Chi avrebbe vinto quelle elezioni politiche che Berlusconi ha perso di un nulla, se su di lui non ci fosse stato quel marchio d’infamia? Che governi avremmo avuto in questi anni, chi siederebbe oggi a palazzo Chigi, quale riforma della Costituzione sarebbe in cantiere? L’unica certezza è che la storia del Paese avrebbe preso una direzione molto diversa. Altri uomini al governo, altre leggi, altra spesa pubblica e tasse diverse, altra forma dello Stato che regolerà le nostre vite nel futuro. Roba da romanzieri, appunto.

Renzi gode: Cav assolto, addio Grillo

L'assoluzione del Cav mette l'acceleratore alle riforme di Renzi. Grillo si sfila



Per dirla con Gino Bartali, ricordato in mezza Italia a 100 anni dalla nascita, qua pare che sia tutto sbagliato e tutto da rifare. O almeno è crollato un pilastro di quello che avrebbe dovuto essere, la prossima settimana, l’accordo granitico per accompagnare la prima lettura delle riforme al Senato. Da Milano rimbalza in tarda mattinata la notizia dell’assoluzione piena di Silvio Berlusconi nel processo Ruby. Entusiasmo in Forza Italia, il diretto interessato si dice commosso e spende parole di riguardo per la «maggioranza dei giudici italiani» che sono persone serie e oneste. Quando poi aggiunge che «si può andare avanti con più serenità» e che «Forza Italia prosegue nel percorso intrapreso» il messaggi pare chiaro: riforme approvate a tempo di carica, con un consenso parlamentare da favola.


E invece no: i grillini si sfilano. Con buona pace di chi, come il vicesegretario Pd Guerini, fin dal primo mattino a cura di avvertire che se il Movimento 5 Stelle si mettesse a frenare, il suo partito procederebbe senza aspettare nessuno. A metà pomeriggio, quando prende a sedimentarsi l’ondata di reazioni alla sentenza Ruby, una nota sul blog di Grillo gela i facili ottimismi riformisti. La firmano tutti i delegati che ieri, in diretta streaming, hanno trattato con il premier in rappresentanza del Movimento. «Ci saremmo aspettati che arrivassero al tavolo con idee più chiare, una maggiore concretezza e anche più preparati. Ma non si può pretendere la luna. Malgrado i proclami di rapidità, il succo è che su quasi tutto si è preso bradipescamente altro tempo», scrivono. Conclusione: «Il M5S era disposto a chiudere ieri. Ci dispiace, ma non c’è più tempo».

Renzi, che ancora l’altra sera si augurava che tutti i grillini - anche i più oltranzisti - sposassero finalmente la linea della trattativa, non ha risposto. Per lui pare parlare Alessandra Moretti, delegata al tavolo di ieri dalla parte del Pd. «Peccato: il M5s ha perso l’occasione di proseguire il confronto sulle riforme. La linea di Luigi Di Maio non è prevalsa», ammette senza infingimenti. Non pare certo che il Partito Democratico abbia intenzione di rallentare per dare tempo a possibili ripensamenti. Ma la possibilità di riforme approvate a stragrande maggioranza oggi appare un pò più remota. E si rafforza l’asse del Nazareno, tra Pd e Forza Italia. Matteo Renzi non ha commentato la sentenza di appello sul caso Ruby ma al suo entourage ha sottolineato: «Siamo in dirittura, lavoriamo sodo per portare a casa il risultato».

Ahi ahi Italia, nuova Ue e vecchio rigore: "Renzi, invece di parlare fai le riforme"

Ue, il commissario Katainen a Matteo Renzi: "L'Italia pensi alle riforme da fare, non alla flessibilità sul debito"



Invece di parlare di flessibilità, Renzi farebbe meglio a fare le riforme. Il messaggio all'Italia e al suo governo, fin troppo diretto, arriva dal neo-commissario agli Affari economici e monetari, il finlandese Jyrki Katainen, uno dei falchi del rigore dentro l'Unione europea. "Discutere di una maggiore flessibilità nell'interpretazione del Patto di Stabilità è pericoloso, è un dibattito sbagliato", ha commentato Katainen in riferimento anche al discorso del premier Matteo Renzi a Strasburgo della scorsa settimana, perché "per l'Italia è più importante varare finalmente le importanti riforme" promesse dagli ultimi governi. Se il premier sperava di ottenere qualche concessione in più dalla "nuova" Ue, anche appoggiando il popolare Juncker alla presidenza della Commissione, è evidente quanto abbia sbagliato i conti. 

"Più debito solo per chi se lo può permettere" - Intervistato dal giornale tedesco Die Welt, Katainen si pone in perfetta scia di Angela Merkel, spiegando di voler "evitare qualsiasi ipotesi sulla possibilità di trovare un modo creativo per eludere il Patto". E tanti saluti a Renzi e ai "ribelli" dell'area mediterranea. "Le medicine fanno bene solo se vengono assunte", è l'ironica conclusione del finlandese, che somiglia tremendamente al suo connazionale e predecessore Olli Rehn, mai tenero con l'Italia. Misure di crescita del debito, "le possono varare solo quei Paesi che possono permetterselo - sottolinea il neo-commissario -. E nell'Eurozona ci sono paesi vulnerabili che non possono farlo. La loro crescita debole non è solo un problema ciclico, ma è il risultato di una scarsa competitività. E contro questo dato non sono di nessun aiuto misure del genere".

Renzi: "Avanti tutta con Forza Italia" - A qualcuno, a Roma, saranno fischiate le orecchie, tanto è vero che non si è fatta attendere la reazione del democratico Sandro Gozi, sottosegretario con delega all'Ue: "Con tutto il rispetto per Katainen, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato in Europa non lo dice il commissario pro tempore finlandese, ma il Consiglio dell'Unione europea. E il Consiglio ha parlato chiaro su crescita e flessibilità, di solo rigore l'Europa non campa". Nel frattempo, dal suo viaggio diplomatico in Africa, il premier Renzi ha confermato che il governo viaggerà spedito sulla strada delle riforme: "Avanti tutta con Forza Italia e Nazareno". Per le riforme economiche, invece, si vedrà.

sabato 19 luglio 2014

Cruciani, la volgarissima bocca della verità: "Avete processato Silvio per le scopate e ora ve lo..."

Berlusconi assolto, Giuseppe Cruciani: "Hanno processato le sc... e se lo sono presi in quel posto"



Assolto. Silvio Berlusconi dal processo Ruby ne esce senza macchia: due capi di imputazione - concussione e prostituzione minorile - polverizzati dal giudizio di secondo grado. Per Giuliano Ferrara "la farsa" è terminata. Un pensiero che - e chi lo ascolta in radio lo sa - condivide anche La Zanzara Giuseppe Cruciani, da sempre - eufemisticamente - perplesso sul caso imbastito da Ilda Boccassini sulla vita privata del leader di Forza Italia. E lo stesso Cruciani, pochi minuti dopo la sentenza di Milano, ha affidato il suo sintetico - e in verità non elegantissimo - pensiero a Twitter. Un cinguettio piuttosto rude e volgare, e che però - ruvidità a parte - fotografa in toto quanto è successo negli ultimi anni. Così La Zanzara: "Hanno processato le scopate, se lo sono preso in quel posto". E, a "prenderselo in quel posto", sono le toghe, i pm, Ilda la rossa su tutti. Di seguito il tweet di Giuseppe Cruciani.

giuseppe cruciani @giucruciani

Hanno processato le scopate, se lo sono preso in quel posto
2:53 PM - 18 Lug 2014

"La magistratura fa pena". Poi le violente accuse a Re Giorgio e Renzi. Lucia Annunziata sbrocca dopo la vittoria di Berlusconi

Lucia Annunziata dopo l'assoluzione di Berlusconi: "La magistratura fa pena"



"Tutti a casa, compagni. La guerra è finita e noi la abbiamo persa". Esordisce così Lucia Annunziata dalle colonne digitali dell'Huffington Post. Parla dell'assoluzione di Silvio Berlusconi e lei, anti-Cav militante (il suo scontro in tv con l'allora premier è nella storia dell'italico piccolo schermo), riconosce di aver perso. "L'uomo è in verità un politico integerrimo", scrive con parecchio sarcasmo. "Ci rassegniamo dunque. C'è chi vince e c'è chi perde, e tocca accettare le sconfitte", aggiunge dopo aver ospitato sull'Huffington, poco prima della sentenza, un articolo in cui spiegava perché 7 anni per Berlusconi nel processo Ruby erano troppi.

Attacco alle toghe - Dopo aver riconosciuto la sconfitta, l'Annunziata passa all'attacco, e spiega che questa sentenza le fa "pena". "La prima parte che mi fa più pena di questa sentenza (sì, ho detto pena)", spiega, è "l'assoluzione dal reato di concussione. Fatemi capire: un premier può telefonare in Questura e fare pressione sui dirigenti dallo Stato sui dipendenti da cui dipende il rispetto della legge, e questo gesto non è pressione, è una legittima iniziativa?". Una domanda retorica, quella di Lucia, che non vuole in verità alcuna risposta. Fa effetto, però, notare come nel giorno della sentenza favorevole a Berlusconi, chi come l'Annunziata è sempre ed incondizionatamente stato dalla parte della magistratura, passi ad attaccare la magistratura stessa. "Penosa", di fatto, poiché una sentenza che fa "pena" è tutta imputabile alle toghe. Una clamorosa piroetta, quella di Lucia, che dal Tribunale di Milano, evidentemente, si aspettava ben altra "punizione" per il leader di Forza Italia.

"Giù il cappello, ma..." - L'intemerata prosegue con "la seconda lezione da trarre da questa sentenza", che è "fare tanto di cappello al centrodestra italiano. Ha sempre detto che i giudici sono politicizzati. Che sia vero? Oppure i giudici sono molto attenti ai climi stagionali, come spiegarsi altrimenti oscillazioni così radicali tra il massimo di una sentenza e la assoluzione?". Alza il tiro, Lucia. Lo alza contro le toghe, ma anche contro Matteo Renzi e Giorgio Napolitano. Già, perché, scrive, "c'è da dire che un vantaggio c'è nell'attuale soluzione: c'è da #starsereni. Quando nel futuro rileggeremo la storia d'Italia il leader politico che ha firmato le riforme che cambieranno il sistema in vigore dal 1948 non sarà definito un condannato, bensì un politico integerrimo e, in più, perseguitato politico. C'è da#starsereni - scimmiotta l'hashtag preferito del premier -: abbiamo un padre della patria a fianco di Matteo Renzi".

Risveglio complottardo - E dopo le allusioni, neppur troppo velate, la direttrice dell'Huffington Post rende cristallino il suo pensiero. "Che poi questo era il punto, no? L'Italia aveva bisogno di riforme, e se serviva farlo con un condannato, è bastato togliere la condanna. Un classico caso di montagna che è andata da Maometto". Per Lucia, "l'assoluzione risolve così il maggior problema che aveva il Premier, e il maggiore che il presidente Napolitano voleva risolvere". Dunque l'accusa, diretta, neppure nascosta con la retorica, o almeno non troppo: "Si immagina che il Presidente (Napolitano, ndr) sia stato correttamente terzo mentre si giocavano i destini di tante persone. Ma forse i giudici sanno interpretare oltre che le parole anche i silenzi". Dopo l'assoluzione di Berlusconi, dunque, l'Annunziata si risveglia avvelenata con la magistratura. E complottarda: dietro questa sentenza, lascia intendere, ci sarebbero la "manina" del premier e i "silenzi" di Napolitano...

Berlusconi assolto, clamoroso al Tg3: sparisce la notizia e sparisce anche la zarina Berlinguer...

Tg3, Berlusconi assolto è la quarta notizia. E Bianca Berlinguer non c'è



Succede che Silvio Berlusconi, per una volta, è stato assolto. Giustizia per il Cavaliere nel secondo grado del processo Ruby. Una notizia. Anzi, una notizia clamorosa. Olgettine, prostituzione, fango, telefonate, pressioni sugli ufficiali in questura: tutto polverizzato dalla nuova sentenza. La concussione "non sussiste" mentre la prostituzione minorile "non costituisce reato". Ecco, qualcuno in Italia - giusto per usare un eufemismo - oggi se n'è accorto: su Twitter, sui siti, in radio e in tv non si parla d'altro. Altri, invece, se ne sono accorti un po' meno. Per esempio il Tg3, il notiziario di Telekabul, la testata televisiva più a sinistra dell'italico piccolo schermo, diretta dalla zarina Bianca Berlinguer.

Priorità - Succede che assolvono Berlusconi - una rinascita, per il leader di Forza Italia - e succede che al Tg3 la notizia venga relegata al quarto titolo nel rullo di apertura (quello in cui si presentano le notizie, per intendersi). Si parte dal boeing abbattuto in Ucraina e dalle accuse rivolte da Barack Obama a Vladimir Putin. Quindi si passa all'invasione di terra nella Striscia di Gaza, all'operazione militare intrapresa dall'esercito israeliano. Poi ecco l'assoluzione di Berlusconi. E la scaletta presentata nel rullo che precede il tg viene rispettata nel tg stesso. Il boeing, il serivzio sulla guerra a Gaza e poi anche un collegamento in diretta con Gerusalemme. E il Cavaliere? Il Cavaliere è stato assolto, e al Tg3 questa assoluzione la reputano una notizia meno importante, quasi una notizia marginale (o forse al Tg3 la notizia non piace affatto?). Ora di grazia: 19.12, il momento in cui viene lanciato il servizio sulla vittoria in tribunale del leader di Forza Italia. Quasi a metà del telegiornale. Fatto curioso, per un telegiornale che nella politica ha il suo core business.

Bianca sparita - Ma che al Tg3 si respirasse un clima di lutto lo si era capito anche da un altro particolare, che si era manifestato sin dai già citati titoli letti durante il rullo. No, la voce non era quella consueta e familiare della direttrice. Bianca Berlinguer non si sentiva. Lei, sempre in prima linea per l'edizione delle 19, putacaso nel giorno dell'assoluzione di Berlusconi era sparita. Puf, scomparsa. Eclissata. Meglio non farsi vedere nel giorno di una notizia - per loro - funerea? Ah, saperlo. Di sicuro - video canta - alla scrivania del notiziario di Telekabul c'era Tatiana Lisanti. Scura in volto, sia chiaro. Perché Berlusconi che vince, per il Tg3, è una clamorosa sconfitta (da relegare come quarto titolo, al 12esimo minuto, eccetera eccetera...).