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sabato 28 giugno 2014

ALTA TENSIONE FINI-BOLDRINI "Sei solo una meschina". E lei... Ecco perchè è scoppiata la lite

Almirante, Fini attacca la Boldrini: "Una meschina a non partecipare..." E lei va dai partigiani




"Una meschina". Gianfranco Fini non l'ha presa bene. Dopo essere stato silurato da donna Assunta Almirante dalle celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Giorgio Almirante , ora Fini attacca Laura Boldrini. L'ex leader futurista non ha mandato giù l'assenza della presidente della Camera alla commemorazione dello storico padre della destra italiana. Così su facebook spara: "Nonostante Giorgio Almirante avesse nostalgia per il futuro, il meschino comportamento della Presidente Boldrini autorizza la nostalgia per il passato. Un passato in cui la Camera era presieduta da una donna come Nilde Iotti, anche lei di sinistra, ma di ben altro spessore umano oltre che politico". 

Rabbia Gianfry - Un attacco in piena regola. Forse dettato anche dalla rabbia per non essere stato invitato a quella cerimonia a cui tanto teneva. Per Fini la moglie di Almirante non ha certo speso parole tenere. Quando ha saputo dei dubbi di Gianfry che attendeva l'invito per la commemorazione, ha fulminato l'ex leader di An così:"Te credo che nun l'hai ricevuto. Non te l'ho proprio mandato, ormai non fai più parte della nostra storia". Insomma a Gianfry non resta che sfogarsi con la Boldrini. Che comunque va detto, con la famiglia Almirante e con un pezzo di storia del nostro Paese non ha certo fatto una bella figura... Intanto dopo aver snobbato la cerimonia di Almirante, la Boldrini partecipa alle reunion partigiane. La presidente è andata ad Ascoli alla cerimonia per l'intitolazione di una targa alle donne partigiane. Per lei esiste una sola memoria: rossa...

venerdì 27 giugno 2014

VENDETTA DEL GIUDICE ESPOSITO Ecco cosa ha fatto contro il giornalista che lo intervistò sulla sentenza Mediaset

Il giudice Esposito contro il premio Ischia ad Antonio Manzo, che lo intervistò sulla sentenza Mediaset




Il giudice Antonio Esposito ha emesso una sentenza mai richiesta sull'assegnazione del premio Ischia al giornalista del Mattino Antonio Manzo: quel premio "non s'ha da dare". Come riporta Marco Lillo sul Fatto Quotidiano, il magistrato ha ancora il dente avvelenato per l'intervista rilasciata al quotidiano campano e raccolta dallo stesso Manzo nell'agosto 2013, quando commentava la sentenza di condanna in via definitiva a Silvio Berlusconi per frode fiscale a 4 anni dicendo sostanzialmente che l'ex premier "non poteva non sapere" quel che accadeva nelle sue aziende.

Fermate quel premio - Esposito (non si capisce assolutamente a quale titolo) ha preso carta e penna per scrivere al presidente della giuria del premio di giornalismo Giulio Anselmi, già direttore di Espresso, Stampa, Ansa, oltre che ad altri giurati (tra i nomi che compongono la giuria ci sono i direttori del Mattino, Alessandro Barbano, dell'Ansa Luigi Contu, del Messaggero Virman Cusenza, e di SkyTg24 Sarah Varetto).

La missiva, riporta il Fatto per voce dell'avvocato di Esposito, chiede che il riconoscimento speciale a Manzo sia sospeso o revocato "a fronte di un'azione risarcitoria" avanzata da Esposito contro Manzo, il direttore del Mattino e l'editore Caltagirone che potrebbero rimetterci 2 milioni di euro per un'intervista, continua il legale "così gravemente manipolata". L'avvocato non esclude che Esposito possa rivalersi a questo punto anche contro la fondazione Valentino, che organizza il premio sotto l'altro patronato di del Presidente della Repubblica e il patrocinio della Presidenza del Consiglio. Anche se da Ischia fanno sapere che il premio per Manzo è dovuto alle interviste meritevoli fatte nel 2014 e non l'anno prima.

Cesare Prandelli, le dimissioni per l'attacco dei "senatori" azzurri

Cesare Prandelli, le dimissioni per l'attacco dei "senatori" azzurri



Nessun esercizio retorico, nessun retroscena, nessuna analisi potrà cambiare lo scenario: giusto o sbagliato che sia, per l'eliminazione dai Mondiali brasiliani i principali imputati sono due, Cesare Prandelli e Mario Balotelli. I motivi sono ormai arcinoti: le scelte del primo, le bizze del secondo. Però al quadro complessivo va aggiunto qualche elemento. Si ritorna ancora all'intervallo di quella maledetta partita tra Italia e Uruguay, all'intervallo che è stata la prima parte della resa dei conti. Si ritorna ai mugugni di Balotelli e ai rimbrotti di Prandelli all'attaccante-Godot. Le cronache hanno rivelato dell'alzata di scudi dei senatori, degli juventini e di Gigi Buffon su tutti, entrati metaforicamente a gamba tesa su Mario. Un dubbio: era il caso di farlo? Non avrebbe dovuto pensarci solo e soltanto Prandelli? Con la loro "mozione di sfiducia", i senatori non hanno finito per rendere irrespirabile un'atmosfera già tesa? Forse avrebbero potuto farlo a fine partita, a Mondiali finiti. Forse non lì, in quello spogliatoio, in quel modo che - si dice - ha turbato profondamente la squadra. Questo - sia chiaro - senza nulla togliere ai demeriti di Balotelli. E di Prandelli, che avrebbe potuto, e dovuto, gestire meglio la situazione.

Le cose cambiano - Ma non ci sono soltanto i dubbi sull'opportunità dell'offensiva di quelli che la semplificazione giornalistica chiama "senatori". Ci sono anche i fatti, rivelati dalla Gazzetta dello Sport, le tappe, le parole e le critiche che hanno portato alla sostanziale sfiducia di Cesare Prandelli. Secondo la rosea, di fatto, il Ct non si è dimesso per il risultato disastroso, per le polemiche sui soldi o per chi gli remava contro in Federazione: semplicemente, Prandelli è stato "dimissionato" proprio dai senatori. Il percorso è lungo, inizia quattro anni fa, quando l'ex mister della Fiorentina propone il suo nuovo progetto basato su due principi cardine: tenere palla per attaccare sempre e comunque e il codice etico. Due punti accolti con entusiasmo anche dalla vecchia guardia azzurra. E così via, per un Europeo e una Confederations Cup che cementano il gruppo. I problemi, però, iniziano una volta raggiunta la qualificazione ai Mondiali. Spunta il secondo imputato, Mario Balotelli: torna in azzurro. Decide Prandelli, è il capo, lo deve fare. Eppure Mario, complice il suo passato di poco impegno e molte polemiche in nazionale, non è accettato di buon grado da chi invece per la maglia azzurra ha sempre dato tutto, cuore, muscoli e polmoni, senza pretendere né una copertina né una pacca sulla spalla.

La rottura - Il secondo fattore destabilizzante è Antonio Cassano, che destabilizzante lo è per natura. Prandelli decide di portarlo in Brasile: lui sarà il jolly, lui il numero 10 che, all'occorrenza, dovrà trovare la giocata di classe. Fantantonio viene arruolato nonostante le riserve dei senatori juventini, memori dell'Europeo 2012, l'Europeo delle cassanate. Balotelli e Cassano dentro (più Insigne, scelta particolare), fuori Pepito Rossi, Gilardino, Destro, Toni. Non è tanto una questione di valori tecnici, ma di indole, di spirito: vengono tagliati fuori dal mondiale quei giocatori che per comportamento, abnegazione e dedizione alla causa sono ammirati da tutti, e sono ammirati soprattutto da quei giocatori che costituiscono la spina dorsale dell'Italia. Qualche malumore, in tempi più recenti, sorge per la scelta del resort di Mangaratiba: troppo poco entusiasmo, troppe mogli e parenti. Quindi la sorpresa all'esordio con l'Inghilterra: in campo, al fianco di Andrea Pirlo, c'è Marco Verratti. Eppure Pirlo, da anni, era abituato ad avere in mano lui e soltanto lui le chiavi del centrocampo azzurro. In parallelo gli allenamenti: Cassano, Balotelli e Insigne trotterellano, i senatori si incazzano. Loro, che anche in allenamento sputano il sangue, vogliono che tutti sputino quel sangue, soprattutto se c'è in ballo un Mondiale.

L'esplosione - Dopo l'Inghilterra, la Costa Rica e l'ovvio carico di dubbi e malumori che la squadra si è portato via da quella partita. Poi l'Uruguay, l'Italia spuntata, con Balotelli indisponente e impalpabile. Si arriva alla resa dei conti. Si arriva all'intervallo di quella maledetta partita con l'Uruguay. La tensione esplode. Forse con 45 minuti di anticipo, ma esplode. Mario risponde a Prandelli, la vecchia guardia si fa sentire: grida Buffon, grida De Rossi, gridano gli altri "vecchi". Poi il secondo round, davanti alle telecamere, mentre Balotelli pensa soltanto ad andarsene da solo sul pullman, sempre più lontano da quella squadra: le accuse, sempre di Buffon e di De Rossi, a "chi in campo non c'è" e alle "figurine". A Balotelli e a Cassano. Ma l'attacco non era soltanto a Mario e ad Antonio. L'attacco era rivolto anche a Prandelli, alle sue scelte, al progetto cambiato in corsa. E quell'offensiva scatenata negli spogliatoi ancor prima che finisse la partita ha segnato il destino del Ct: il "patto" siglato quattro anni prima era rotto, i senatori della squadra - colpendo altri per colpire anche lui - lo avevano sfiduciato. Prandelli sapeva che avrebbe potuto finire così. E aveva già pensato alla sua successiva e immediata mossa: le dimissioni, dopo essere stato "dimissionato".

SCAZZOTTATA A CINQUE STELLE "Vattene, sei fuori dal Movimento" La riunione grillina finisce male: è rissa

M5s, Firenze, si vota l’espulsione e scoppia la rissa tra grillini 



Rissa a Cinque Stelle. Il meetup di Firenze finisce male: arriva la polizia. L’assemblea di mercoledì sera degli attivisti del Movimento 5 Stelle, al circolo fiorentino Andrea del Sarto, avrebbe dovuto sancire l’espulsione di un gruppo di militanti colpevoli di aver "giocato sporco" e contro il Movimento durante le ultime elezioni amministrative per il Comune di Firenze. Una vicenda finita anche sul tavolo del parlamentare capogruppo alla Camera Luigi di Maio che a sua volta aveva allertato il deputato fiorentino Alfonso Bonafede nella vicenda.

La scazzottata - I malumori interni sarebbero nati dopo il flop uscito dalle urne il 25 maggio scorso, quando il M5S si era fermato al 9%. Ieri sera la resa dei conti: all’assemblea arriva un elenco di attivisti da cacciare. Si aprono le votazioni ma alcuni, non avvisati preventivamente di questa scelta, rimangono sbigottiti. Ne nasce una discussione accesissima, raccontano alcuni dei presenti, che arriva a sfiorare lo scontro fisico. A questo punto parte la chiamata al 113: una volante si precipita in via Manara dove da sempre il movimento tiene le proprie assemblee più numerose. All’arrivo degli agenti il clima si era fortunatamente già raffreddato ma la rissa era già avvenuta. Intanto nel mezzo della bagarre alcuni attivisti sarebbero stati espulsi dal meetup. 

Travaglio attacca Renzi: "Vi dico perchè è peggio di Berlusconi" Poi massacra Prandelli: "Pessimo, spero che..."

Otto e mezzo, Marco Travaglio: "Renzi è peggio di Berlusconi"



Marco Travaglio ospite di Lilli Gruber non risparmia nessuno. In un faccia a faccia con Claudio Cerasa, firma del Foglio, Marco Manetta attacca a testa bassa Renzi e il governo. A fare infuriare Travaglio è soprattutto il premier. A suo dire troppo "coccolato dalla stampa". Il vicedirettore del Fatto a questo punto alza il tiro e la spara grossa: "Renzi è più pericoloso di Berlusconi. È preoccupante il servilismo di classi dirigenti giornalistiche verso Renzi. Peggio che per Berlusconi". Insomma Travaglio è scatenato e aggiunge: "Tutto ciò è pericoloso per un uomo solo...". Infine Travaglio abbandona la presa su Renzi e Cav e sposta il mirino su Cesare Prandelli: "Non è stato un buon allenatore. Spero che chi venga dopo di lui pensi a parlare di calcio e abbandoni la retorica inutile sul patriottismo...". 

"Le intercettazioni non si toccano" Il Pd fa quadrato attorno alle toghe

Matteo Orfini: "Nella riforma della Giustizia non ci saranno le intercettazioni"



Promesse e riforme. Riforme promesse: l'ultima, quella della Giustizia, che verrà presentata al consiglio dei ministri di lunedì. Qualche anticipazione arriva da Matteo Orfini, il presidente del Pd, che in un'intervista all'Huffington Post assicura che "le intercettazioni non faranno parte della riforma della Giustizia". I poteri dei magistrati, dunque, non si toccano: nei progetti dell'esecutivo (contrariamente a quanto sostenuto da alcune indiscrezioni di stampa), non verranno né limitati durante le immagini né ci sarà una stretta sulle pubblicazioni. "Ho parlato col ministro Orlando e mi ha assicurato che le intercettazioni non faranno parte della riforma della Giustizia", ha ribadito Orfini.

Ncd che dice? - Dunque nel testo non troverebbero diritto di cittadinanza le norme che avevano già fatto scattare l'allarme preventivo delle toghe. Tra le misure previste, invece, il falso in bilancio, le misure sull'autoriciclaggio e le norme sulla responsabilità civile dei magistrati. E se quest'ultimo è un punto da sempre caro al centrodestra, altro tema da sempre in cima all'agenda è quello delle intercettazioni, strumento "principe" e usato indiscriminatamente nella lotta senza quartiere a Silvio Berlusconi, o per "far fuori" l'indagato di turno. Orfini, parlando della riforma, parla di "governo": resta da vedere cosa dirà Angelino Alfano sulla mancata stretta sulle intercettazioni, dopo anni di campagna nel Pdl contro lo strapotere "auditivo" dei magistrati e della stampa pronta a ricevere le loro soffiate.



giovedì 26 giugno 2014

La Santanché: "Forza Italia sia garantista o sputtano tutti quanti"

Daniela Santanché: "Forza Italia deve essere garantista o sputtano gli indagati"

Intervista di Barbara Romano 



Se qualcuno in Forza Italia si azzarda ancora a chiedere a Galan di fare un passo indietro o, peggio, se il mio partito dovesse decidere di votare per il suo arresto, io faccio uscire l’elenco di tutti gli indagati forzisti e ne chiedo io le dimissioni. Perché le regole devono valere per tutti». E se a dirlo è Daniela Santanchè, potete giurarci che lo fa. La sua non è una difesa d’ufficio dell’ex governatore del Veneto, ma un salvataggio in extremis dell’anima liberale di Fi, che la pasdaran berlusconiana in questi giorni ha sentito rinnegare più di una volta dai “papaveri” azzurri. E ogni volta la Santanchè ha espresso pubblicamente il suo disappunto verso questo o quel dirigente forzista che strizzava l’occhio al giustizialismo. Ma adesso non ne può più: «Faccio la rivoluzione», giura la deputata più cazzuta di Fi, «perché non vorrei che il mio partito cambiasse pelle sul garantismo...».

In effetti, Fi aveva preso una china manettara, ma ultimamente si è riscoperta garantista. Come lo spiega?

«Si saranno guardati allo specchio e in loro è prevalso il buon senso. Il garantismo è sempre stato la nostra bandiera e sarebbe profondamente sbagliato ammainarla. È da vent’anni che facciamo questa battaglia contro l’uso politico della giustizia e denunciamo che una parte della magistratura è il braccio armato della sinistra, pronto a colpire ogni volta che ci sono le elezioni».

Eppure in Fi nessuno si è schierato in difesa di Dell’Utri, Scajola, Galan.

«Perché oggi, purtroppo, anche nel mio partito si cerca sempre di piacere a tutti, di seguire l’onda dell’opinione pubblica. Ma ai miei colleghi voglio ricordare che il mostro dell’antipolitica non è mai sazio. Qualcuno pensa forse che per essere amati universalmente bisogna gridare “tutti in galera”? Allora, rinnega FI e la sua storia".

Nemmeno il Cav ha speso una parola per i suoi amici di una vita.

«Perché oggi dai giudici gli viene negato di parlare con i condannati come Dell’Utri».

Ma non gli è vietato parlare di Dell’Utri. Eppure non si è esposto per lui, e neppure per Galan, che non è un condannato.

«Ho sentito con le mie orecchie il dolore tremendo e la vicinanza di Silvio ai suoi amici. Ho sentito altri prendere le distanze da queste persone, ma non il presidente».

Sarà, ma in altri tempi in Fi non si sarebbe neppure preso in considerazione di consegnare un proprio parlamentare alla giustizia. Mentre la Gelmini e Romani hanno chiesto a Galan di dimettersi.

«Hanno sbagliato. Hanno letto tutte le carte? Hanno già deciso che è colpevole? Io no, perché sono garantista. Dopo Tangentopoli, la politica ha abdicato alla magistratura e non si è più ripresa. Anche se sono stati scritti libri su giudici pazzi squilibrati, i magistrati si giudicano tra di loro e puntualmente si autoassolvono. E la politica non trova il coraggio di rispettare i padri costituenti che introdussero l’articolo 68 perché volevano garantire l’assoluta indipendenza tra i poteri dello Stato. È come se oggi ci vergognassimo di mettere al centro le regole fondamentali del nostro assetto istituzionale. Ancora una volta abdichiamo».

Perché Fi ha ammainato la bandiera garantista?

«No, Fi non ha ammainato questa bandiera. Ma il rischio c’è, perché oggi è più facile dire “tutti in galera”. Quindi, meglio mettere un punto fermo subito: Fi è “il” partito garantista, noi abbiamo salvato dalla galera esponenti del Pd. Quello che dovremmo fare è darci delle regole interne».

Non è che, col Cav ai servizi sociali e in attesa di giudizio su Ruby, ora è meglio tenersi buoni i magistrati?

«Respingo questa logica. Anche perché quando i padri costituenti inserirono l’immunità nella Carta non sapevano che sarebbe apparso sulla scena Berlusconi».

Ma adesso anche Fi vuole cancellare l’articolo 68 dalla Costituzione.

«Io sono nel partito di Berlusconi e sto con lui in tutte le battaglie. Lui sta pagando un prezzo pazzesco per aver voluto una giustizia giusta. Rinunciare a questa battaglia significa consegnarci alla magistratura. Aspetto il premier al varco sulla riforma della giustizia e sulla responsabilità civile dei magistrati. Noi alla Camera l’abbiamo votata. Ora capiremo se Renzi ha subito l’abbraccio mortale dei magistrati. Di sicuro è più facile, perché così l’immunità puoi ottenerla senza avere le palle di metterla per iscritto nella riforma del Senato. Io le palle per scriverla ce l’ho».

Romani si è dichiarato «ostile» all’immunità dei nuovi senatori. Quindi anche Fi non ha le palle?

«Non giudico. Chiedo a tutti, in primis a Renzi, ma anche al mio partito, che la politica non si vergogni di esigere l’indipendenza dalla magistratura. Non possiamo fare passi indietro. È pericolosissimo. Immunità non vuol dire impunità. Guardiamo alla Francia. Sarkozy è sotto processo e rischia parecchio, ma gli hanno fatto portare a termine il suo mandato da presidente della Repubblica. Stiamo attenti ad abdicare e a voler essere amati da tutti».

Come si comporterà in aula se Fi deciderà di votare per l’arresto di Galan?

«Lo escudo. Ma se dovesse succedere, faccio una rivoluzione. Vorrebbe dire che anch’io sono stata presa in giro e che Fi non è più il mio partito».