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lunedì 23 giugno 2014

Socci ai preti "rossi": la Chiesa pauperista rinunci all'otto per mille

Socci: la Chiesa pauperista rinunci all'8 per mille

di Antonio Socci



Il segretario della Cei Galantino afferma che la Chiesa non ha bisogno di privilegi. Allora, agisca di conseguenza



La Chiesa vuole essere "più povera di beni terreni e più ricca di virtù evangeliche, non ha bisogno di protezioni, di garanzie e di sicurezze".  Ce lo ripete in ogni modo e anche ieri lo ha ridetto monsignor Galantino, "inventato" da Bergoglio come nuovo Segretario generale della Cei per commissariare e punire il cardinal Bagnasco ("reo" di non aver appoggiato il prelato argentino in Conclave). Dunque - se le parole hanno un senso - la Chiesa non gradisce più i fondi dell’otto per mille. In un’altra circostanza Galantino aveva tuonato: "Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una Chiesa impegnata a difendere le proprie posizioni (qualche volta dei veri e propri privilegi)".

Si sa che era il mondo laico di sinistra a definire "privilegi" della Chiesa l’otto per mille, l’esenzione dall’Ici e la scuola libera (che fra l’altro fa risparmiare un sacco di soldi allo Stato). Ora, a nome della Cei, lo fa anche Galantino, che brama di essere applaudito da quell’opinione pubblica "scalfariana". A questo punto perché dargli il dispiacere di inondare la Chiesa italiana di milioni di euro? Bisognerà accontentarlo, sia pure a malincuore per i problemi che ne verranno a tanti bravi sacerdoti i quali svolgono, eroicamente, una missione bella e grande (e per tante opere di carità che potranno chiudere lasciando allo Stato l’incombenza di dover soccorrere chi ha bisogno). È giusto esaudire l’ardente desiderio di povertà di Galantino e compagni che detestano i "privilegi" e i soldi alla Chiesa. Anche se certi proclami sarebbero più credibili se - oltre alle parole - il Segretario della Cei fosse coerente e proponesse proprio la cancellazione dell’otto per mille. Se non devolveremo l’otto per mille quei fondi se li terrà lo Stato e magari si eviterà qualche tassa (come diceva Ezio Greggio: "L’otto per mille? No, no. Lotto per me stesso ed è già molto dura").  La Cei una volta diventata povera dovrà tagliare. Anche la sua Tv2000 (struttura che ha i suoi costi), il quotidiano “Avvenire” e l’agenzia Sir (427 fra giornalisti, tecnici e amministrativi).

Chi comanda - Però questo Galantino non deve averlo capito, perché, a proposito dei media, nei giorni scorsi ha convocato i diversi direttori informandoli che lui stesso farà «un piano editoriale» per rendere tutti questi media come un sol uomo, sotto la sua guida sapiente. Vuole comandare lui. Su tutti. Del resto Galantino ha appena chiamato alla direzione di Tv2000 quel Paolo Ruffini che è stato direttore delle reti televisive che più hanno fatto soffrire i cattolici. Era lui, per fare un solo esempio, il direttore di Rai 3 che realizzò con Fazio e Saviano «Vieni via con me», programma contro cui - per la sua unilateralità - polemizzarono a lungo “Avvenire” e i cattolici. Con la scelta di Ruffini, Galantino chiama l’applauso del mondo laico e del pensiero dominante. Cosa che va di pari passo con la sua ricerca smaniosa di microfoni e telecamere.

È voluto andare perfino a Ballarò dove la sua loquace vanità faceva venire in mente la battuta di Sacha Guitry: "Ci sono persone che parlano, parlano...finché non trovano qualcosa da dire". Il suo problema è la ricerca dell’applauso ad ogni costo. Siccome l’applauso del mondo arriva solo quando si dicono cose conformi alla cultura egemone, ecco che si rende necessario il "riportino" ideologico. Galantino lo fa spesso. Anche ieri. Nella smania di attaccare quei cattolici militanti che invece lui dovrebbe difendere e rappresentare, con l’intervista al “Regno”, anticipata da alcuni giornali, ha messo ancora una volta in soffitta la battaglia sui "principi non negoziabili" che pure sono magistero ufficiale della Chiesa. E ha bocciato "certe adunate" del tempo di Wojtyla, Ruini e Ratzinger.

Galantinate - Poi ha rincarato la dose mettendo in guardia dai valori che "diventano ideologia" (senza spiegare che significa). Ha evocato a sproposito l’episodio di Pietro che sguaina la spada in difesa del Maestro e ha aggiunto una considerazione sconcertante: "Devo confessare che mi lasciano perplesso gli atteggiamenti di violenza anche verbale con i quali si difendono i valori". Violenza? Dalla sintesi che ne ha fatto “Avvenire” non si capisce a cosa si riferisca e a occhio e croce pare l’ennesima "galantinata".  Pur essendo nel contesto della sua polemica contro i principi non negoziabili, sembra inverosimile che possa riferirsi ai cattolici, perché non esistono gruppi cattolici che pratichino la violenza. Anzi, in genere subiscono l’intolleranza altrui e Galantino si guarda bene dal protestare per questo. Del resto non dice nemmeno una parola sui tentativi in corso da sinistra di proibire la libertà di espressione sulle nozze gay con una legge liberticida.

Di recente Galantino ha proclamato che nella Chiesa si deve voltare pagina e si deve parlare "senza tabù di preti sposati, eucaristia ai divorziati e di omosessualità". Poi ha voluto strafare e se n’è uscito con questa desolante dichiarazione: "In passato ci siamo concentrati esclusivamente sul no all’aborto e all’eutanasia. Non può essere così, in mezzo c’è l’esistenza che si sviluppa. Io non mi identifico con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche che praticano l’interruzione della gravidanza". A parte la spensierata liquidazione di anni di magistero della Chiesa, ha profondamente ferito quella sprezzante considerazione sui "visi inespressivi" di coloro che recitano il rosario per le donne e i bambini (Galantino si è mai guardato allo specchio? Si sente un Rodolfo Valentino?). Con quelle parole il Segretario della Cei ha immotivatamente ferito il grande "popolo della vita" suscitato dal magistero di Giovanni Paolo II e dall’esempio di santi come Madre Teresa di Calcutta.

C’è stata un’ondata di indignazione. Non solo perché non si è mai visto un vescovo che sbeffeggia dei cattolici che pregano, non solo perché a quelle preghiere - in Italia iniziate da una personalità come don Oreste Benzi - talora partecipano gli stessi vescovi. Ma anche perché a volte a organizzare questi momenti di preghiera sono donne che hanno vissuto sulla loro pelle il dramma dell’aborto. Qualcuna di loro ha risposto a Galantino con parole commoventi. Ma il vescovo di Cassano Jonico - ormai abbonato alle gaffe - non ha ritenuto di scusarsi. Anzi, la settimana scorsa ha lanciato nella sua diocesi un’altra sua pensata: «Vogliamo chiedere scusa ai non credenti perché tante volte il modo in cui viviamo la nostra esperienza religiosa ignora completamente le sensibilità dei non credenti, per cui facciamo e diciamo cose che molto spesso non li raggiungono, anzi li infastidiscono».

Più bravo di Gesù... - Con ciò Galantino intendeva mostrarsi più bravo di Gesù stesso che non risulta si sia scusato con il mondo per essere venuto a svegliarlo, per essere venuto a «disturbare» i peccatori. Anzi lo ha rivendicato: "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!» (Matteo 10,34). In effetti Gesù di disturbo ne deve aver creato parecchio se si sono così infuriati da farlo fuori in modo bestiale. Poi nei secoli altri hanno continuato a uccidere martiri, fino ad oggi. Ma al "combattimento" cristiano Galantino non è interessato, né ai martiri cristiani. Con tutto il gran parlare del nostro mondo clericale, mai una volta che - in queste settimane - si sia sentito citare pubblicamente il caso di Meriam, la giovane madre incinta che è detenuta in catene in Sudan ed è stata condannata a 100 frustate e all’impiccagione perché è cristiana e perché ha sposato un cristiano. Per queste cose Galantino non s’indigna.  Però testimonianze immense come quelle di Meriam o di Asia Bibi resteranno nell’eternità. Mentre le sue "galantinate" alle dodici del mattino hanno già incartato l’insalata ai mercati generali. Come diceva Chesterton, "non abbiamo bisogno di una Chiesa che si muova col mondo. Abbiamo bisogno di una Chiesa che muova il mondo".


domenica 22 giugno 2014

Disfida comunista, tutti contro Vendola: infierisce pure la direttrice del manifesto "Nichi, vai a casa. Magari ci fosse uno..."

Norma Rangeri: "Nichi Vendola deve fare un passo indietro. Magari ci fosse Tsipras"



Nella disfida comunista entra a gamba tesa Norma Rangeri, la direttrice de il manifesto, che in verità, sulla possibile auto-disintegrazione di Sel, si era dimostrata piuttosto profetica. Affermò infatti che il balletto europeo di Barbara Spinelli ("Rinuncio al seggio e mando in Europa un giovane", "Anzi no") avrebbe "prodotto un forte contraccolpo sul partito e si rischia l'effetto domino". Che sia colpa della Spinelli o che sia "merito" di Matteo Renzi, di sicuro c'è che questo contraccolpo con tanto di effetto domino si è fatto sentire, eccome. Sinistra e Libertà si è liquefatta, ed un gruppo capeggiato da Fava e Migliore abbandona il partito, direzione Pd.

"Contropartite?" - Secondo la Rangeri, intervistata dal Corriere della Sera, "chiaramente quel 40 e passa per cento di Renzi (alle Europee, ndr) ha un'enorme forza di attrazione. E' un richiamo di sirena, non soltanto per Scelta civica, ma anche per la sinistra. E soprattutto per il partito di Sel, che si è sempre posto come sinistra di governo". La direttrice de il manifesto sospetta che i vari Migliore e Fava possano anche aver agito in base a qualche promessa, a qualche garanzia. "Immagino che ci sarà una contropartita - spiega -. L'anno prossimo ci saranno Regionali, Amministrative e sembra di capire che la rappresentanza ministeriale del Ncd potrebbe essere ridotta. E se si è sulla scia del vincitore...".

Passi indietro - Poi però - dopo una battuta sulla lista Tsipras, il cui risultato "non è poco", e una sul Pd di Renzi che "mi ricorda un po' l'idea di Veltroni" - la Rangeri punta il mirino su Nichi Vendola. "Ha fondato Sel, ha sempre avuto un ruolo importantissimo. Però, indubbiamente, la sua immagine è usurata. La sinistra deve guardare alle nuove generazioni, penso che Vendola ne sia consapevole". La direttrice comunista, dunque, chiede al comunista Nichi di farsi da parte. E gli ricorda: "Il vero Tsipras, cioè Alexis, ha vinto in Grecia perché sono anni che il suo partito si muove nei quartieri, tra la gente. In Italia non lo fa più nessuno. Ecco, la sinistra deve abbandonare le operazioni a tavolino e tornare lì dove c'è bisogno di noi, fare attività sociale vera, essere riconosciuti".

Canone anche per chi ha solo un pc Ecco quanto chiede la Rai

Rai, cartelle per il canone a chi ha un pc



Hai un pc? Allora devi pagare il canone. E' questa l'ultima mossa della Rai per fare cassa. L'importo richiesto è di 407,35 euro. La Rai infatti sta spedendo le lettere per chiedere quella cifra, il cosiddetto "canone speciale", a proprietari di bar, ristoranti, alberghi, negozi, insomma chi ha un locale pubblico e - presume la Rai - anche un televisore al suo interno. Ma le cartelle sono arrivate anche a chi ha solo un pc come racconta a il Giornale Alessandro Cuti, collaboratore di un'agenzia assicurativa: "Non ho un locale pubblico e nemmeno un ufficio aperto al pubblico, lavoro presso un'agenzia di assicurazioni come collaboratore - spiega Ciuti -. Casa mia è la sede legale di Alessandro Ciuti come ditta individuale, ma non ricevo a casa mia i clienti, ci vivo! Il mio dubbio è vogliano farmi pagare il canone speciale per il fatto che ho un computer portatile. Ma non spiegano perché, mi dicono solo che devo pagarlo!". 

Le cartelle - Anche Massimo Mazzucchelli, titolare di un'azienda che si occupa di packaging in provincia di Varese ha ricevuto il bollettino e nemmeno a lui non è chiaro per quale motivo la Rai gli chieda 203 euro di canone speciale: "In azienda ho solo dei pc, telecamere per la sicurezza ma non ho assolutamente nessuno strumento per ricevere la tv. Ho sentito altri amici, con piccole imprese, uno con una tipografia, hanno ricevuto anche loro i bollettini". Insomma il servizio pubblico vuole fare cassa su chi guarda la Rai online. Da viale Mazzini, dopo la rivolta degli utenti spiegano: "Il presupposto impositivo sorge a fronte della detenzione fuori dell'ambito familiare di apparecchi atti o adattabili alla ricezione di programmi televisivi. Non sono in questione dunque soltanto gli esercizi pubblici o le strutture ricettive, ma tutti i casi in cui la detenzione dell'apparecchio si realizza fuori dell'ambito familiare in senso stretto".


Sparata del prefetto: "Figlio si droga e la madre non s'accorge? Si suicidi" Furia Renzi: lo fa cacciare da Alfano

Il prefetto: "Madre non sa che il figlio si droga? Si suicidi". Alfano: "Lo rimuovo"



Parole forti, durissime e discutibili, quelle pronunciate dal prefetto di Perugia, Antonio Reppucci. In una conferenza stampa in cui si parla di tossicodipendenze punta il dito contro le mamme: "Se una madre non si accorge che il figlio si droga ha fallito, si deve solo suicidare". Proprio così. Alla poco pacata riflessione aggiunge: "Se io avessi un figlio e lo vedessi per strada con la bottiglia in mano lo prenderei a schiaffi". Quindi la difesa delle forze dell'ordine: "Non possono fare da badanti e tutori alle famiglie".

Furia Renzi - In serata è arrivata la dura reazione del premier, Matteo Renzi, alle parole del prefetto. Prima si vociferava di un premier "furente". E dopo le indiscrezioni la conferma dalle sue parole: "Le frasi del Prefetto di Perugia sono inaccettabili, specie per un servitore dello Stato. Sono grato al ministro Alfano per l'intervento", ha cinguettato sul premier. Renzi avrebbe fatto subito pressioni sul titolare del Viminale, che è passato subito ai fatti. "Ho sentito le dichiarazioni del prefetto di Perugia. Sono gravi e inaccettabili. Non può restare lì né altrove. Assumerò immediati provvedimenti", ha spiegato Alfano, annunciando la rimozione del prefetto. La sparata, dunque, gli è costata la poltrona.

Mezza smentita - Le frasi del prefetto hanno scatenato anche la durissima reazione del procuratore distrettuale Antimafia di Perugia, Antonella Duchini: "Mi dissocio da Reppucci. Le famiglie non devono sentirsi isolate, ma supportate e coinvolte". Dunque la parziale retromarcia del prefetto, arrivata prima della sue rimozione de facto: "La mia è stata una provocazione. Volevo dire che la famiglia deve fare di più". Nel frattempo anche il coordinatore nazionale di Sel, Nicola Fratoianni, aveva chiesto a Renzi ed Alfano "l'immediata rimozione del prefetto", che ha ulteriormente cercato di rettificare: "E' stato un gigantesco fraintendimento del senso che volevo dare alle parole. Nessuno vule il suidicio di nessuno. Volevo solo scuotere, era un invito a fare sistema".

sabato 21 giugno 2014

MATTEO RENZI, LO SCENDILETTO DI ANGELA MERKEL Tradisce i suoi: molla il kapò Schulz e dice "sì" a Juncker Il premier come Monti: un soldato al servizio di Berlino

Pse, Renzi incontra Hollande: "Sì a Juncker presidente della Commissione Ue"



Zerbino di Angela Merkel. Matteo Renzi indossa i panni di Mario Monti ed esegue (ancora una volta) gli ordini della Merkel. Dopo la vittoria del Pd alle ultime europee, si è acceso lo scontro in Europa per decidere a chi affidare lo scranno della presidenza della Commissione europea. Il blocco dei popolari europei vuole Juncker, ma i socialisti spingono per Schulz. Matteo Renzi, pur essendo col suo Pd la forza più pesante nel partito socialista europeo, sembra che abbia tutta la voglia di assecondare la richiesta della Merkel che vuole Juncker alla presidenza della Commissione. 

Missione in Francia - Il premier è andato in Francia per incontrare Francoise Hollande e ha di fatto convinto l'inquilino dell'Eliseo ad accettare la candidatura di Juncker. Lo stesso Hollande infatti al termine del vertice con gli altri leader europei del Pse ha affermato: "Italia e Francia sono unite e hanno "gli stessi obiettivi": puntare sulla "crescita" e gli "investimenti" e "utilizzare tutta la flessibilità del patto di stabilità del vertice, aggiungendo che i socialisti europei riuniti a Parigi "rispettano l'indicazione di Juncker" alla presidenza della Commissione Ue in quanto candidato del Ppe, primo partito dell'Europarlamento, ma puntano ad avere persone alla guida dell'Europa anche "di ispirazione socialdemocratica". 

La mossa - Insomma Renzi ha portato a termine la sua missione. Hollande ha detto sì per Juncker e da bravo scolaro, il premier, può tornare da Frau Merkel con la bisaccia piena. Alla riunione hanno partecipato, oltre al padrone di casa, il presidente francese Francois Hollande anche i capi di governo austriaco, belga, danese, maltese, rumeno, slovacco, ceco, e lo stesso Schulz, tornato a essere capogruppo socialista dell'assemblea di Strasburgo. Renzi dunque ha fermato la corsa del socialista verso la Commisione. I giochi, quelli veri, li dirige la Merkel (con l'aiuto di Matteo...). 

venerdì 20 giugno 2014

"Il puzzle è quasi completo, ma..." Caso Yara, parlano gli inquirenti: "Abbiamo scavato fino al 1815". La madre di Bossetti: "Innocente Vi spiego perché è mio figlio"

"Il puzzle è quasi completo, ma..." Caso Yara, parlano gli inquirenti: "Abbiamo scavato fino al 1815". La madre di Bossetti: "Innocente Vi spiego perché è mio figlio"


Yara, gli inquirenti: "Il puzzle è quasi completo"


Occhi puntati sulla procura di Bergamo, dove gli inquirenti fanno il punto sul caso di Yara Gambirasio e sul fermo di Giuseppe Massimo Bossetti, il presunto assassino che però insiste sulla sua innocenza. Il caso è spinoso, più complesso di quello che poteva apparire dopo la cattura di Bossetti, ma Letizia Ruggeri, la pm titolare delle indagini sul caso della ragazza di Brembate Sopra uccisa nel febbraio 2010, spiega che "il puzzle è quasi completato", anche "se l'inchiesta è stata faticosissima, lunga. La vicenda - aggiunge - è stata contraddittoria e sorprendente. L'inchiesta è stata condotta da tutte le forze di polizia, coinvolte fin dall'inizio". Quindi il procuratore di Bergamo, Francesco Dettori, ha spiegato che sono stati raggiunti "risultati insperati e insperabili perché si era partiti totalmente dal nulla".

La ricostruzione - Sul fermo di Bossetti, la Ruggeri spiega che è stato chiesto poiché "avrebbe potuto fuggire". Il fermo, però, non è stato convalidato, "ma soltanto per ragioni formali". Quindi i dettagli sulle indagini. La Ruggeri ribadisce che il padre di Bossetti, Damiano Guerinoni, "aveva il tratto y che coincideva col dna trovato sulle mutandine della bambina. Scorrendo l'albero genealogico della famiglia non riuscivamo a trovare a chi appartenesse. Abbiamo ripercorso l'albero genealogico fino al 1815. Mario Parente, comandante del Ros, racconta poi il "senso di frustrazione quando si è capito che si trattava di un figlio illegittimo". Il percorso per individuare il sospetto è stato "certosino", lungo e tortuoso. Parte dal luogo del ritrovamento del cadavere di Yara, "il centro sportivo di Brembate". Quindi le analisi su "amici e parenti di Yara e i 33mila soci del locale le Sabbie Mobili", vicini al campo di Chignolo d'Isola dove fu trovata la vittima.


Yara Gambirasio, la madre di Bossetti: "La scienza ha sbagliato, non è un killer"


Dopo la sorella, parla anche la madre di Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino finito in carcere con l'accusa di avere ucciso Yara Gambirasio. La donna, Ester Arzuffi, 67 anni, parla in un'intervista al Corriere della Sera. "Se mio figlio confessasse? Non ci credo. Dovrei guardarlo in faccia per capire se dice la verità. Ma non può accadere, perché non è vero". Difende il figlio da ogni accusa, la signora Ester, insiste, non cede un millimetro. E il caso, non certo per le sue dichiarazioni, in parallelo si complica.

Il passato - La Arzuffi ricorda quando le hanno dato la notizia del fermo del figlio. "Ero in clinica da mio marito. Non sta bene. Alle 19.15 mi hanno chiamato e hanno detto che io, mia figlia e suo marito dovevamo correre in questura. (...) Uno shock. Siamo rimasti in questura fino alle 5 del mattino". Ad incastrare Bossetti c'è la prova del Dna. "Lo so, lo so. Che cosa vuole che le dica, che menta? A meno che il mio cervello non abbia resettato tutto, questa è la verità", ossia suo figlio non è colpevole. Le domande poi si spostano su Guerinoni, il padre biologico di Bossetti, che dunque dovrebbe aver avuto una relazione clandestina con la donna. "Sì - spiega la Arzuffi -, vivevo a Ponte Selva come lui. Non lo nascondo. Ma era solo una conoscenza". Mio marito aveva chiesto a lui e a Vincenzo Bigoni di portarmi al lavoro, in auto, alla Festi Rasini, perché già andavo in zona. Poi la sera tornavo in autobus. Ma tra conoscere una persona e avere intmità con lei ce ne passa".

"Non sono figli suoi" - Qualcuno sussurra che la Arzuffi e suo marito si siano trasferiti a Brembate Sopra per fuggire a qualche scandalo. Lei nega, secca. "Mio marito voleva cambiare lavoro, quindi ci siamo messi in macchina e siamo andati alla ricerca di un altro posto. L'abbiamo trovato alla Flico di Brembate Sopra. Nel giro di una settimana abbiamo cambiato casa". L'intervistatore chiede se era incinta di due gemelli. La donna risponde: "Ma no. Ci siamo trasferiti nel 1969, sarà stato marzo o aprile, e loro sono nati a ottobre del 1970, per altro con un mese di anticipo. Mi dice come possono essere figli di Guerinoni? Vede che le date e altre cose non tornano". Quindi la Arzuffi aggiunge di aver interrotto tutti i rapporti che aveva a Ponte Selva.

I nomi - Ostinatamente, la madre, difende l'onore di suo figlio e ne proclama l'innocenza, a dispetto delle prove scientifiche. "Con il carattere che ho, se lo avessi visto lì fisso a guardare i servizi sulla bambina e avessi dubitato di lui, gli avrei detto: Vai dai carabinieri. Lo avrei trascinato". Infine una battuta sul nome dato al figlio, proprio come quello di Guerinoni, Giuseppe, un'altra circostanza che insospettisce gli inquirenti: "Macché. E' stato mio padre a dirmi: Chiamalo come me. Volevo chiamare la gemella Nadia, invece mi è uscito di getto Laura e Letizia come mia zia".

Berlusconi, rabbia contro la toga in aula Il magistrato lo attacca, lui lo fulmina: "Siete incontrollabili e impuniti"

Processo Lavitola, Berlusconi: "La magistratura in Italia gode dell'immunità"

Il Cav torna in tribunale. Silvio Berlusconi è stato sentito come testimone puro a Napoli durante il processo a Valter Lavitola per la questione degli appalti nella Repubblica di Panama per cui è accusato di estorsione ai danni di Impregilo. Su richiesta del pm, è stata fatta ascoltare la telefonata intercorsa il 2 agosto del 2011 tra Silvio Berlusconi e Massimo Ponzellini, ex amministratore di Impregilo. Rispondendo a una domanda del pm Vincenzo Piscitelli, Berlusconi ha affermato di essere stato contattato da Panama da Lavitola, che si diceva preoccupato per la mancata costruzione dell'ospedale promesso al governo di Panama. Il giornalista, ha detto Berlusconi, "gli aveva chiesto di riferire ai vertici di Impregilo che, se l'impegno non fosse stato mantenuto, il governo panamense avrebbe revocato alle imprese italiane l'appalto per il raddoppio della costruzione del canale". L'ex premier si è detto "orgoglioso" di avere fatto la telefonata. Lavitola, ha detto Berlusconi "era legato molto al presidente Ricardo Martinelli, era considerato un amico di Panama. Non so come sia diventato amico. Aveva una grande capacità di relazione, come ho verificato di persona anche in Brasile. Lui era molto amico di Lula; a un pranzo ufficiale, io ero a sinistra di Lula e accanto a me c'era Lavitola". A suo giudizio, l'ex direttore dell'Avanti, "era il protagonista dell'informazione politica, ottimo giornalista e particolarmente informato su cosa si nascondeva dietro le apparenze della politica. Aveva amicizie con la mia compagine politica, come con Coluzzi, Cicchitto, Frattini e Pomicioli".

Botta e risposta col giudice - Terminata la testimonianza, Silvio ha parlato in Aula anche del ruolo dei giudici: "La magistratura è incontrollabile, irresponsabile e gode di immunità". L'esternazione del Cav arriva dopo una provocazione del giudice Giovanna Ceppaluni che gli aveva rivolto delle domande il Cav aveva chiesto spiegazioni in merito. La risposta del giudice però è stata piccata: "Lei non deve capire il senso delle domande". Il diverbio lo ha chiuso il magistrato affermando che "la magistratura è ancora tutelata dal codice penale".