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giovedì 12 giugno 2014

Mose, Orsoni vuota il sacco: "Incassavo tangenti per il Partito Democratico"

Mose, Orsoni: "Il Pd mi spinse ad accettare quei soldi"



Dopo l'inchiesta, arriva la resa dei conti nel partito. Il Pd è sotto il fuoco delle toghe e lo scandalo del Mose rischia di travolgere il Nazareno. A far tremare Renzi&Co. ci pensa il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, tra i principali accusati per il giro di mazzette in laguna. Orsoni comincia a dire la sua verità e punta il dito contro il partito. Le accuse sono pesanti. Secondo quanto ha ricostruito nell'interrogatorio il sindaco, durante la campagna elettorale del 2010 per le comunali e per le provinciali la segreteria del Pd veneto non era contenta di come stavano andando le cose. Lo spauracchio era Renato Brunetta. La sua candidatura, come racconta Orsoni mise in agitazione i dem. A questo punto Orsoni alza il tiro: "E' a quel punto che vennero da me in tre, Michele Mognato, segretario provinciale del Pd, Zoggia e Marchese, altri due dem del Pd veneto. Sono loro secondo quanto dice il sindaco ad aver insistito perchè si avvicinasse al consorzio e ottenesse il finanziamento.

"Tutta colpa del Pd" - L'accusa dunque è chiara: il Pd avrebbe fatto pressioni su Orsoni perchè accettasse quei soldi. I pm hanno hanno già ricostruito come avvenne quel passaggio di 110 mila euro. Il denaro sarebbe passato dalle mani di Piegiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati a quelle di Ferdinando Sutto per poi approdare nelle casse del commercialista di Orsoni. E così adesso dopo le parole di Orsoni si apre la notte dei lunghi coltelli tra i dem. Le parole di Orsoni arrivano fino a Roma e fanno tremare il governo ma anche tutto il Pd della vecchia guardia che teme altre rivelazioni da parte del sindaco di Venezia. Gli esiti dell'inchiesta Mose restano imprevedibili. 

A piede libero - Intanto a otto giorni dall'arresto sono stati revocati dal gip gli arresti domiciliari a Orsoni, che torna quindi in libertà, pur restando indagato nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Lo ha confermato all’Ansa l’avvocato difensore di Orsoni, Daniele Grasso, che aveva fatto istanza al gip Alberto Scaramuzza. Il giudice avrebbe ritenuto, anche dopo l’interrogatorio del sindaco, che non vi fossero più esigenze cautelari per il primo cittadino accusato di finanziamento illecito. E il prefetto di Venezia con una nota fa sapere che Orsoni ora può riprendere il suo posto da sindaco in Laguna.

L'ombra del Vampiro su Renzi, Visco vuole far fuori Padoan: "Matteo ecco cosa devi fare..."

Visco e il piano contro l'evasione fiscale



Vincenzo Visco è tornato e ora detta l'agenda al governo Renzi. L'ex ministro dell’Economia ha presentato oggi alla Camera uno studio condotto dall’Associazione Nens sulle strategie di contrasto ai redditi sottratti al Fisco. Risorse, queste, da poter eventualmente utilizzare per “una drastica riduzione del prelievo”. Visco vuole dichiarare guerra all'evasione per recuperare circa 60 miliardi di euro. Il nemico numero uno per Visco è l'Iva definita "culla dell'evasione". Il gettito attualmente che si stima manchi all’appello – secondo lo studio ed in linea con altre simulazioni analoghe - è di circa 39,5 miliardi. Ma per capire come aggredire questa somma occorre, innanzitutto, conoscere “come si evade”. Sono 15 i diversi sistemi individuati nel testo integrale: 15 modi per non pagare, o pagare meno l’Iva. 

Evasione dell'Iva - Il principale, che sottrae quasi 23,8 miliardi ogni anno, riguarda l’omessa dichiarazione al consumo. Vale a dire da parte di chi, come i negozianti, nell’ultima filiera della vita dell’imposta nasconde l’Iva al Fisco. O non dichiara pur fatturando per apparire meno sospetto di evasione. O ancora chi, ed è il caso più familiare ai cittadini, non applica proprio l'imposta. Altri 9,3 miliardi, spiega lo studio Nens, arrivano dall’omessa dichiarazione non più nella fase finale, ma in quelle intermedie. In altre parole, il possibile gettito Iva si riduce lentamente da un passaggio all’altro. Sarebbe invece di 6,4 miliardi la stima dell’Iva evasa attraverso l’utilizzo “discrezionale delle aliquote”, per esempio acquistando lo stesso bene con una aliquota e cedendolo con un’altra.

Le soluzioni - A questo punto Visco propone le soluzioni per battere l'evasione. Lo studio rileva alcune misure di contrasto che potrebbero trasformare la lotta all’evasione da stanco ritornello della politica ad offensiva reale volta ad abbassare sensibilmente le tasse. A partire dall’utilizzo di un’aliquota unica, in sostituzione della moltitudine che oggi caratterizza il nostro Paese (4, 10 e 22 a seconda dei beni). E accanto a misure più complesse, come l’applicazione di un’aliquota ordinaria (al 22%) agli scambi intermedi proprio per scongiurare l’evasione in questo ciclo di vita dell’imposta o l’applicazione di un diverso metodo di determinazione della tassa (il cosiddetto “base su base”) che insieme potrebbero valere circa 14 miliardi. Lo studi guidato da Visco, come racconta l'Huffingtonpost propone di mettere ad esempio in comunicazione le “casse” dei negozianti direttamente con l’erario. Contante o pagamento elettronico che venga utilizzato, ogni incasso verrebbe automaticamente registrato dal Fisco. Un'altra soluzione per la lotta all'evasione sarebbe l’introduzione del pagamento con carta elettronica delle prestazioni professionali. Infine Visco propone anche la reverse charge o inversione contabile. Facendo sparire cioè tutte le fasi intermedie di versamento dell’Iva e lasciando in campo all’ultimo anello della catena il pagamento dell’imposta.

Messaggio a Padoan - Come arrivare ai quasi 60 miliardi di recupero di evasione? Attraverso un mix delle diverse misure, applicate secondo una tabella di marcia indicata dal governo che, contando sull’effetto “a cascata” anche su imposte sui redditi potrebbe valere 40 miliardi nel 2016, 55,9 milairdi nel 2017, 28,7 nel 2018. Insomma Visco cerca di sostituire Padoan nelle "grazie" di Renzi. E all'inquilino di via XX settembre lancia un messaggio chiaro: "Spero – ha spiegato Visco ai cronisti - che il ministro si renda conto che c’è bisogno di una forte innovazione”.

MOSE, la difesa di Galan: "Vi dico come ho comprato la casa, l'auto e tutte le barche..." E nell'inchiesta spunta Enrico Letta...

MOSE, la difesa di Galan: "Vi dico come ho comprato  la casa, l'auto e tutte le barche..." E nell'inchiesta spunta Enrico Letta...




In riflessione come un eremita, isolato dal mondo nella sua villa di Padova da dove si tiene in contatto con le uniche persone che ora vuole sentire: i suoi legali, Ghedini e Franchini. Giancarlo Galan passa 24 ore al giorno sulle carte che sta personalmente mettendo in fila per provare a smontare, tra due settimane, quell’impressionante documentazione arrivata alla Giunta della Camera, che dovrà decidere con voto per l’arresto o non, riguardo all'inchiesta sul Mose, accusato di corruzione per tangenti da 10 milioni. Compito della Giunta è tuttavia valutare "se le misure che vengono richieste per Giancarlo Galan sono indispensabili". È quanto sottolinea Mariano Rubino (Sc), relatore nella Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera che ha avviato l'esame del caso Galan. Rubino precisa che si è voluto lasciare libertà al deputato su quando intende presentasi in Giunta fermo restando che la data più probabile perché ciò avvenga, al momento, è il 25 giugno.

L'accusa - L'ex presidente della Regione Veneto, ora parlamentare di Fi, secondo l'accusa, avrebbe ricevuto dal 2005 al 2011 da Giancarlo Mazzacurati presidente del Cnv, Consorzio Venezia Nuova, anche tramite l'assessore Renato Chisso, uno stipendio annuo di un milione di euro. Questo è quello che si legge nell'ordinanza firmata dal gip di Venezia nell'inchiesta sul caso Mose.

Le carte che prepara Galan - E' proprio in Giunta, che Galan si gioca il tutto per tutto guardando negli occhi i suoi colleghi. E' lì, prima ancora che in tribunale, che argomenterà quelli che lui ha chiamato le "nefandezze altrui" e i "misfatti compiuti da altri". Primo fra tutti quelli della sua grande accusatrice, l’ex segretaria Claudia Minutillo, il testimone chiave dell’inchiesta. Proprio questa sarebbe stata l'artefice di tutto, colei che riusciva a tenere sotto scacco anche l’ex assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso, destinatario delle chiamate della segretaria. Come riporta Huffington Post ci sarebbe addirittura un'intercettazione sul tavolo di Galan che confermerebbe il rapporto di confidenza tra i due. "L’allora segretaria gli si rivolge come ad un suo sottoposto, ordinandogli di muoversi, di fare questo e quell’altro con formule che non sono quelle che di solito usa una segretaria nei confronti di un’assessore". Ad esempio, riporta il quotidiano del gruppo l'Espresso, "la Minutillo ordina perentoria a Chisso: 'Scusa, vai sempre a mangiar Da Ugo, alza il culo e vieni qua'. E a proposito di ritardi nelle Tangenziali Venete: 'C... cerca di lavorare, son tutti inc... neri'".

La Villa di Cinto Euganeo - Le carte che sono sulla scivania di Galan dovranno poi giustificare le spese da lui sostenute negli ultimi tempi, ma sopratutto giustificare economicamente tutti i suoi possedimenti, tra cui società, partecipazioni, barche e anche la villa trecentesca di Cinto Euganeo che, secondo l’accusa, è stata ristrutturata grazie al milione e cento dall’imprenditore Piergiorgio Baita. L'Huffington Post ricostruisce la storia, sin da prima dell’acquisto, della villa che Galan dovrebbe portare in Giunta. "Il precedente proprietario l’aveva comprata a un’asta giudiziaria a circa 400milioni di lire, dopo 15 tentativi di aste andate male. Si trattava di un dentista che voleva farne destinarne una parte a clinica di cure dentistiche tenendone un’altra come abitazione. È quando il dentista non ci sta più dentro coi costi che subentra Galan. E la compra “a poco meno di un milione di euro”. Non è da ristrutturare. Si tratta di mettere mano a quegli impianti realizzati nell’ottica di una clinica. I lavori di ristrutturazione compiuti da Galan, riguardano dunque una parte dell’impianto idraulico, l’impianto elettrico e 280 metri di pavimento. Per pagarli, sostiene Galan, di aver acceso un mutuo di 200mila euro, tuttora acceso presso la Banca Popolare di Vicenza. E non ci sarebbe nessuna sproporzione, come contestato dagli inquirenti, tra i costi dell’abitazione e il reddito percepito".

Barche e posti auto - Insomma delle spese che Galan dovrebbe riuscire a giustificare. Così come quelle riguardo il costo del "parco auto" della famiglia, composto da sei macchine, tra cui un Audi A7 con 384mila kilometri, una Land Rover dell’80, una Mini Morris del ’76 regalata da Ghedini per il matrimonio. Sarebbe sostenibile per Galan anche la spesa per le barche. "Galan - riporta la testata del gruppo l'Espresso - andrà a dire alla Giunta della Camera che non sono una "decina", tra la riviera adriatica veneta e la Croazia", come scritto sui giornali in questi giorni. "Una Boston Whaler del 1993, di circa sette metri, ormeggiata nella darsena di Jesolo, il cui valore commerciale sarebbe di circa 25mila euro. L’altra, di circa otto metri e mezzo del 2001 ormeggiata in Croazia, a Rovigno, ha un valore di circa il doppio". Prprio sulla Croazia sono puntati gli occhi degli inquirenti che ritengono che li si fondi la galassia Galan. "Sarebbe la Franica Doo, una srl di diritto croato, la società tramite la quale i Galan 'gestiscono il proprio patrimonio estero detenuto in Croazia', patrimonio che risulta comprendere le 'imbarcazioni' appunto, ma anche molti 'immobili'. Per la difesa non ci sarebbe nulla di strano nell’aver creato società croate, perché sarebbe stato quello, ai tempi, il modo che la prevedeva la legge".

Continua....

"Davamo soldi a tutti, a destra e a sinistra e ad ogni richiesta". Anche Enrico Letta. E' l'onda lunga del Mose e dell'inchiesta veneziana sulle tangenti e gli appalti truccati. Un fiume di milioni, anzi di miliardi di euro piovuti sulle teste di alti dirigenti, funzionari, finanzieri e, naturalmente, politici. Qualcuno di loro, come il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, è finito in manette. L'ex governatore veneto Giancarlo Galan è appeso alla decisione della Camera dopo la richiesta d'arresto degli inquirenti. Molti altri, da Gianni Letta a suo nipote Enrico, non sono neanche indagati ma i loro nomi nelle carte ci sono ugualmente. "Soldi a Enrico Letta" - A parlare rivelando i finanziamenti per Letta junior, in un verbale risalente al 7 agosto 2013, è Roberto Pravatà, ex vicepresidente vicario del Consorzio Venezia Nuova, snodo centrale nel giro di mazzette: "In merito ad altre utilità dirette ed esponenti politici posso riferire che Mazzacurati (Giovanni Mazzacurati, presidente di CVN, ndr) mi convocò per dirmi che il CVN avrebbe dovuto concorrere al sostenimento delle spese elettorali dell'onorevole Enrico Letta che si presentava come candidato per un turno elettorale attorno al 2007 con un contributo nell'ordine di 150mila euro. Mi disse che il Letta Enrico aveva come intermediario per il Veneto, anche per tale finanziamento illecito, il dottor Arcangelo Boldrin. In effetti venne predisposto un incarico fittizio per un'attività concernente l'arsenale di Venezia". Pravatà ha anche parlato di soldi all'ex ministro Pietro Lunardi (per pagare il "risarcimento" del suo licenziamento all'Anas) e il ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio (viaggi in Scozia, Romania, Danubio).

La risposta di Enrico Letta su Twitter:
Leggo falsità sul mio conto legate al Mos. Smentisco con sdegno e nel modo più categorico. Non lascerò che mi si infanghi così!.

Esposito va a processo: Il Csm mette nel mirino il giudice, ecco cosa rischia la toga anti-Cav...

Il Csm processa il giudice che ha condannato Berlusconi



Dopo le telefonate con i giornalisti scatta il procedimento. Il giudice di Cassazione Antonio Esposito, con la sua intervista rilasciata al Mattino pochi giorni dopo la sentenza sul processo Mediaset, violò i doveri "di riserbo e di correttezza". Lo scrive il pg di Cassazione nell'atto di incolpazione inviato alla sezione disciplinare del Csm. Il processo ad Esposito davanti al "tribunale delle toghe" è fissato per il 20 giugno prossimo. Secondo il pg della Suprema Corte il giudice, che fu presidente del collegio della sezione feriale della Cassazione che, il primo agosto scorso, confermò la condanna di Silvio Berlusconi per frode fiscale, avrebbe "sollecitato la pubblicità di notizie relative alla propria attività d'ufficio e alla trattazione del processo" dinanzi alla Cassazione, "utilizzando canali personali privilegiati ai quali gia' in precedenza aveva fatto ricorso", nonostante "dovesse a ciò sconsigliarlo, oltre la particolare risonanza mediatica che aveva accompagnato la celebrazione del processo, l'elevata funzione svolta nell'ambito del collegio giudicante".

L'accusa - In particolare Esposito prese "di sua iniziativa contatto telefonico, circa un'ora dopo la lettura del dispositivo della sentenza" con il giornalista del quotidiano Il Mattino "affermando di non poter parlare immediatamente e accordandosi con il giornalista per il rilascio di una intervista, 'per spiegare la sentenza' entro i successivi due o tre giorni". L'intervista in questione venne poi rilasciata il 5 agosto con una "conversazione telefonica di circa 35 minuti", nel corso della quale "il magistrato ha interloquito sia sui criteri di assegnazione del processo alla sezione feriale sia sui temi che il collegio era stato chiamato ad affrontare in quel giudizio".

La telefonata - Secondo la Procura generale della Cassazione, inoltre, Esposito ha tenuto "un comportamento gravemente scorretto nei confronti degli altri magistrati componenti il collegio" esprimendo nella intervista "considerazioni e notazioni di carattere generale intorno ai temi del giudizio" con riferimento alla posizione di Berlusconi, e questo "prima della stesura e del deposito della motivazione della sentenza" che avvenne il 28 agosto. Nel capo di incolpazione, che sara' esaminato dalla sezione disciplinare, il pg contesta ad Esposito anche l'aver "interloquito personalmente con organi di informazione", violando cosi' le "prescrizioni organizzative che affidano all'ufficio stampa, struttura di diretta collaborazione del primo presidente della Corte" di Cassazione, il "rilascio di eventuali comunicati" sull'attivita' giurisdizionale. Esposito sara' difeso davanti alla disciplinare dal consigliere di Cassazione Pier Camillo Davigo.

Noi paghiamo il Canone - La Rai non paga le tasse: Spunta la maxi evasione fiscale. La beffa: ecco quanto deve al Fisco

Rai, maxi evasione fiscale: patteggiamento con l'Agenzia delle Entrate



Noi paghiamo il canone e la Rai evade il Fisco. La storia surreale la racconta l'Espresso. Secondo quanto racconta il settimanale viale Mazzini avrebbe patteggiato con l'agenzia delle Entrate una sanzione di 200 mila euro a fronte di una multa di 5 milioni di euro. Il caso riguarda una maxi evasione realizzata attraverso fatturazioni illecite di film, documentari e serie tv comprate all'estero da intermediari svizzeri e altre società riconducibili a Frank Agrama. 

La mossa contro il Fisco - A truffare il Fisco sarebbe stata Rai Cinema la società che si occupa di produzioni e dell'acquisto di diritti televisivi. 
"Non esiste nessun metodo Agrama", hanno ripetuto più volte i dirigenti della tv di Stato in merito all'inchiesta della procura di Roma, che da tre anni sta indagando su presunte irregolarità nella compravendita di pellicole e format. Il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza - alla fine di un'istruttoria iniziata nel 2011 - ha invece contestato alla Rai un'evasione milionaria per una serie di acquisizioni effettuate tra il 2003 al 2007. A differenza di quanto accaduto per Mediatrade, però, gli illeciti fiscali individuati dai finanzieri non hanno rilevanza penale. 

Sconto milionario - Il contenzioso è così passato all'Agenzia delle Entrate. L'attuale amministratore delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco ha deciso di patteggiare e chiudere la partita con "un'adesione" grazie a cui Viale Mazzini ha pagato una multa di poco inferiore ai 200 mila euro. "L'Agenzia ci ha contestato 5 milioni di euro", conferma un portavoce della Rai: "Gli abbiamo spiegato che per noi quelle somme erano deducibili. Loro erano di diverso avviso. Alla fine abbiamo proposto al Fisco di versare un importo molto più ridotto. Hanno accettato". In effetti in Rai possono dirsi soddisfatti: lo sconto concesso dagli uomini comandati fino a una settimana fa da Attilio Befera è davvero notevole. Intanto per chi ritarda il pagamento del canone scattano come sempre more salatissime...

mercoledì 11 giugno 2014

Per gli Statali cambia tutto: Trasferimenti, pensioni e permessi Ecco le nuove regole di Renzi...

Il piano del governo per la pubblica amministrazione


Cambia tutto per gli statali. I dipendenti pubblici della Pubblica Amministrazione presto saranno travolti da una vera e propria rivoluzione che il governo prepara a loro insaputa. Il ministro della Funzione Pubblica ha ultimato il suo piano per ribaltare la macchina statale e così arrivano le prime indiscrezioni sul piano che è sul tavolo di palazzo Chigi. La prima riforma strutturale dell'impiego pubblico nella P.A. riguarda gli spostamenti. I dipendenti pubblici potranno essere spostati senza assenso in un posto di lavoro diverso purchè sia nell'arco di 100 chilometri. Lo prevede la bozza di riforma della P.A anticipata dall'Ansa.it dove si sottolinea che entro 50 chilometri le diverse sedi sono considerate 'stessa unita' produttivà mentre tra 50 e 100 Km devono esserci esigenze organizzative e produttive.

Permessi sindacali - L'altro fronte su cui si muove il governo è quello del taglio ai permessi sindacali. Sempre secondo la bozza di provvedimento dal primo agosto 2014, distacchi, aspettative e permessi sindacali, nel loro insieme, sono "ridotti del 50% per ciascuna associazione sindacale".

Trattenimento in servizio - Arriva anche lo stop al trattenimento in servizio, istituto di cui è prevista la cancellazione. Non sarà possibile restare nella Pa dopo l'età di pensionamento oltre il 31 ottobre. Quelli "non ancora efficaci alla data di entrata in vigore" del dl - si legge nella bozza - "sono revocati". Con esuberi, pre-pensionamento con due anni di assegno In caso di esuberi e in assenza di criteri e modalità condivise con i sindacati, "la Pa procede alla risoluzione unilaterale, senza possibilità di sostituzione, del rapporto di lavoro di coloro che entro il biennio successivo maturano il diritto all'accesso" alla pensione "con conseguente corresponsione del trattamento".

Le authority - Stretta anche sugli incarichi nelle authority. Nella bozza il governo spiega che i componenti delle Autorità indipendenti "non possono essere nuovamente nominati" a pena di decadenza "per un periodo pari alla durata dell'incarico precedente". Inoltre, possono essere effettuate assunzioni solo con "concorsi unici con cadenza annuale": "sono nulle le procedure concorsuali avviate in violazione" degli obblighi del testo "e le successive eventuali assunzioni".

No ai doppi incarichi - L'impossibilità di un nuovo incarico in altra authority riguarderebbe i componenti dell'Antitrust, della Consob, dell'Ivass, dell'Autorità dei Trasporti, dell'Autorità dell'Energia, di quella nelle comunicazioni, del Garante per i dati personali, dell'Autorità anticorruzione e della Commissione di Garanzia sugli scioperi. Mentre l'obbligo di assunzione tramite concorso riguarderebbe anche la Commissione di Vigilanza sui fondi pensione, l'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici. Infine, per i componenti di vertice e i dirigenti di Bankitalia, Consob e Ivass, "nei tre anni successivi alla cessazione dell'incarico, non possono intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con i soggetti pubblici o privati operanti nei settori di competenza". 

I pm: "Corruzione nella Finanza" Indagato vice-comandante, arrestato un colonnello

Finanza, indagato il comandante in seconda




Il generale Vito Bardi, comandante in seconda della Guardia di Finanza, sarebbe indagato per un’ipotesi di corruzione, per vicende collaterali, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Napoli che ha portato all’arresto dell’attuale Comandante provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, Fabio Massimo Mendella, e del commercialista napoletano Pietro De Riu. Dalle carte dell'inchiesta emerge che a quest'ultimo sarebbe stato versato oltre un milione di euro da imprenditori napoletani, tra il 2006 e il 2012, su richiesta di Mendella, allora responsabile del settore Verifiche e accertamenti del comando delle Fiamme Gialle di Napoli, per evitare controlli fiscali. I pm Piscitelli e Woodcock hanno disposto una perquisizione nel comando generale della Gdf a Roma, in via XXI Aprile a Roma. In particolare, una delle perquisizioni è stata eseguita proprio nell’ufficio del generale Vito Bardi. 


Le ipotesi di reato - Nell’ordinanza, le ipotesi di reato contestate sono di concorso in concussione per induzione e rivelazione di segreto d’ufficio. Secondo le indagini della sezione reati contro la Pubblica amministrazione della Procura di Napoli, il commercialista Pietro De Riu faceva da tramite con Mendella, incassando somme di denaro da i due fratelli, imprenditori napoletani della società "Gotha s.p.a.", che eludevano in tal modo i controlli. Dal Comando di Napoli Mendella era poi stato trasferito a Roma: nell’occasione la holding , oggetto di una verifica pilotata eseguita dall’ufficio coordinato dal colonnello Mendella, avrebbe trasferito la propria sede legale a Roma.  Le indagini sono ancora in corso, condotte dalla Digos di Napoli, con il contributo della Direzione centrale di Polizia criminale, del Comando Provinciale e del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Roma