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sabato 10 maggio 2014

Il ministro della banalità sputa sulla tv

Il ministro della banalità sputa sulla tv 


di Luigi Mascheroni 



Il ministro: "I canali risarciscano i danni fatti alla lettura". Intanto, prima degli incontri, si proiettano pillole di tv trash


Alla cerimonia d'inaugurazione, ieri mattina, presenti intellettuali e autorità, Dario Franceschini rischiava di passare inosservato, senza lasciar traccia, come tutti i suoi colleghi ministri della Cultura che lo hanno preceduto negli anni, circa venti, in 27 edizioni del Salone del Libro. E ci stava quasi riuscendo, impantanato nella solita retorica sulle bellezze d'Italia, la grandiosità del nostro patrimonio artistico, la nostra incapacità di sfruttarlo, il valore economico della cultura... Poi, al centro del tavolo d'onore, tra il presidente del Salone Rolando Picchioni, il direttore Ernesto Ferrero, reverendissimi monsignori in rappresentanza della Santa Sede (ospite d'onore) e il sindaco Fassino, Dario Franceschini ha scosso la coda lunga di un'interminabile cerimonia, con un'alzata di testa orgogliosa, non solo metaforica, e un'alzata di voce improvvisa, per nulla aspettata. Dopo aver snocciolato i dati drammatici sulla (non) lettura in Italia, Franceschini ha tirato la staffilata: «Come ministro della Cultura intendo sfidare la televisione, pubblica e privata: ha fatto tanti danni, ora deve risarcirci». Silenzio stupito. «Chiedo a chi fa televisione, per restituirci quello che ci ha tolto, di fare più trasmissioni sui libri, di invitare più scrittori ai talk show, di concedere spazi gratuiti alla pubblicità di libri». Applausi divertiti. E così, nella duplice veste di autore Bompiani e ministro della Cultura, Franceschini ha posto il sigillo istituzionale sulla vulgata secondo la quale gli italiani sono quelli che sono - retropensiero: volgari, ignoranti, potenziali evasori fiscali, bulimici consumatori di calcio, Drive In e Grande Fratello e anoressici refrattari a mostre, romanzi e cinema d'essai - per colpa, e diciamolo chiaramente una buona volta, della televisione. Spazzando via 60 anni di tv pedagogica, da Mike Bongiorno a Sky (che infatti ha risposto stizzita: «Quelle di Franceschini sono critiche quanto meno avventate»; sulla stessa linea Andrea Vianello, direttore di Raitre: «Uno dei nostri scopi precipui è parlare della lettura»), e mettendo la firma ministeriale sotto un j'accuse troppo vecchio, troppo radical chic, troppo da dimostrare. 

«È mai possibile - si è chiesto Franceschini - che nelle fiction televisive non si vede mai una persona che legge o una libreria?». Infatti. Li immaginiamo i figli dei boss della serie tv Gomorra, reticenti testimoni in aula, felici di fare da testimonial tv ai romanzi di Saviano... Per promuovere il libro e la lettura vale tutto, va bene (e di certo è ottima l'altra idea presentata ieri dal ministro: un festival del libro di tre giorni in tutte le scuole d'Italia, dalle elementari ai licei, ogni mese di settembre). Immaginiamo come sarà accolta la sfida del ministro dai «signori» delle televisioni, pubbliche e private, chiamati in correo del disastro librario italiano. E immaginiamo cosa pensino i Costanzo, i Fazio, i Marzullo, gli Augias, i Bonito Oliva, gli Sgarbi, i Daverio, tutti i direttori dei tg, nazionali e regionali, che, almeno in coda, prima della pubblicità, cercano ogni giorno di citare una mostra, o un libro, o un film. «Il punto - liquida la cosa con una battuta Giorgio Simonelli, docente di Storia della televisione, perso tra gli stand del Salone - non è portare chi scrive romanzi in televisione, ma ridare la televisione agli intellettuali che scrivono libri».

Cioè gli «scrittori-umanisti» che crearono la televisione che ha formato l'Italia e l'italiano. Di certo della cosa, ieri, se ne è parlato molto, dentro e fuori il Salone, archiviando l'uscita di Franceschini o tra le boutade o tra gli sfoghi fuori bersaglio. Come ha commentato il presidente di un grosso gruppo editoriale (insigne Storico della letteratura, per altro): «Mi sembra una battuta un po' populista. Grillo ha fatto scuola». E intanto, fra populismo e snobismo, per una concomitante idea del presidente Rolando Picchioni (non concordata con Franceschini, che fa il paio in un attacco concentrico e devastante alla televisione italiana), nei giorni del Salone tra un incontro e l'altro, sugli schermi delle grandi sale, passano brevi video con pillole di tv-spazzatura, tratte dalla Rete, che liofilizzano il peggio della tv: dalla lite cult tra Pappalardo e Zequila alle esibizioni dei cantanti trash a X-factor, da Dean Harrow all'Isola dei famosi agli strafalcioni culturali a L'eredità (domanda: «Quando diventò cancelliere Hitler»; risposta: «Nell'anno 1978»). Il messaggio? Ecco cosa succede quando in tv il libro non c'è. L'idea, un po' trash a dire la verità, è a effetto. Ma talebana. Dividere il mondo (del pubblico) tra chi fa il Bene (quelli che leggono i libri consigliati su La7, per dire, e vedono RaiEdu, ad esempio) e chi vede il Male (Quelli che il calcio... quelli che spiano nella Casa del GF; quelli che passano la domenica pomeriggio in quei certi salotti-tv) non porterà da nessuno parte. Se non irrigidire gli snob e far ulteriormente sbracare il volgo.

venerdì 9 maggio 2014

La Procura di Milano si spacca. Dopo le accuse alla Boccassini sulla titolarità del caso Ruby, volano stracci per gli arresti sull'Expo

La Procura di Milano si spacca sull'ultimo blitz


di Luca Fazzo 


Dopo le accuse alla Boccassini sulla titolarità del caso Ruby, volano stracci per gli arresti sull'Expo


Milano - Dal caso Ruby all'inchiesta Expo, volano gli stracci e chissà quando smetteranno. L'ultima puntata della rissa interna alla Procura di Milano va in scena davanti alle telecamere, alla fine della conferenza stampa sulla retata di ieri per gli appalti Expo. Pettorine, investigatori, il procuratore Bruti Liberati con al suo fianco Ilda Boccassini e due pubblici ministeri. Chi manca? Il capo del pool che indaga proprio su questi reati: corruzione, turbativa d'asta, violazione di segreti. Cioè Alfredo Robledo, il procuratore aggiunto protagonista di uno scontro con Bruti Liberati che ha portato alla luce il lato meno noto della Procura milanese: quello delle inchieste fatte e non fatte, indirizzate di qua o di là, affidate a chi non ne avrebbe il titolo ma fa parte del «cerchio magico» del procuratore capo e di Magistratura Democratica.

Ieri alle domande sulla assenza di Robledo, Bruti risponde senza giri di parole: non condivideva l'impostazione dell'indagine, e quindi l'abbiamo fatta senza di lui. Il procuratore non entra nei dettagli. Ma nei verbali riempiti da Bruti e da Robledo davanti al Consiglio superiore della magistratura la storia di questo fronte dello scontro c'è già. Robledo ha denunciato al Csm di essere anche in questo caso stato esautorato senza alcuna giustificazione. Ha consegnato al Csm la lettera in cui, già nel marzo scorso, manifestava a Bruti il suo dissenso sulla gestione dell'indagine, e il suo rifiuto di firmare la richiesta di mandati di cattura. Non c'era nessun motivo perché l'indagine venisse coordinata dalla Boccassini, capo del pool antimafia, visto che qua non si parla di mafia ma di colletti bianchi. Ma anche qui la dottoressa ha fatto pesare la sua autorevolezza e la sua esperienza, esattamente come nel caso Ruby, quando fece irruzione in una inchiesta di cui, secondo il procuratore generale Manlio Minale, «non aveva la titolarità».

Nelle retrovie del caso Expo, però, lo scontro interno alla Procura milanese ha toccato un altro tasto assai delicato. Lo scontro tra Robledo e il resto della Procura avviene sulla richiesta di arresto di uno degli indagati, ma il dissenso risale all'inizio dell'inchiesta e riguarda la scelta dell'organo di polizia giudiziaria cui affidare le indagini. È un tema cruciale. Fin dai tempi delle inchieste sui giudici corrotti della Capitale, la Boccassini ha utilizzato la squadretta di finanzieri in servizio in Procura: pochi, con mezzi limitati, ma direttamente alle sue dipendenze e pienamente controllabili. Anche nella indagine su Expo, la Boccassini insiste per dare la delega alla sua squadra. Il materiale di inchiesta è quasi sterminato. Affidarlo a un piccolo gruppo di investigatori vuol dire per i pm rinunciare a controllare appieno e direttamente tutti gli spunti investigativi. Ad ascoltare una per una le telefonate intercettate sono di fatto solo i finanzieri, e sono loro a decidere quali trascrivere e quali no. Alla fine, nell'inchiesta Expo ci sarebbero migliaia di telefonate di cui non si conosce il contenuto. Forse irrilevanti. Forse no.

È un tema cruciale. L'asse di ferro con la polizia giudiziaria è da sempre uno dei punti di forza di Ilda Boccassini: fin dall'epoca della Duomo Connection, quando affidò l'inchiesta al piccolo e scalcagnato (ma ipermotivato) nucleo di carabinieri guidati dal capitano Ultimo. E forse non è un caso che nel 2010 la Boccassini sia venuta a sapere dell'esistenza dell'inchiesta sul caso Ruby, precipitandosi poi a chiederne l'assegnazione, poco dopo che la Procura aveva chiesto di svolgere alcune attività tecniche allo Sco, il servizio centrale operativo della polizia, «braccio armato» della dottoressa in diverse indagini. Chi controlla la polizia giudiziaria ha il vero potere di inchiesta. 
Anche di questo si dovrà occupare il Consiglio superiore della magistratura, chiamato a fare chiarezza nello scontro che agita uno degli uffici giudiziari più delicati d'Italia. La settimana prossima il Csm farà nuovi interrogatori: tra questi, stranamente, non sono previsti quelli del procuratore aggiunto Piero Forno e del pm Antonio Sangermano, titolari dell'inchiesta Ruby fino all'irruzione in scena della Boccassini il 30 ottobre 2010.

L'On. Lara Comi Sabato 10 Maggio a Cassano Magnago con Gennaro Gattuso

L'On. Lara Comi Sabato 10 Maggio a Cassano Magnago con Gennaro Gattuso 


A cura di Gaetano Daniele 



Lara Comi, eurodeputata e candidata alle Europee 2014 con Forza Italia, sarà sabato 10 maggio a Cassano Magnago per la Camminata delle Famiglie, evento benefico a sostegno di Milla Onlus, associazione di volontariato che opera sul territorio nazionale per far conoscere il mutismo selettivo. Lara Comi, 31 anni, sportiva e grande tifosa del Milan, compira' il percorso con Gennaro Gattuso e insieme raggiungeranno, intorno alle 11.30, il parco della Magana.

L'incontro e' fissato alle 10 in via Verdi, presso Villa Oliva. Sarà possibile fare una donazione all'associazione e conoscerne le finalità: il mutismo selettivo e' un disturbo dell'infanzia, che colpisce un bambino su 1000, ed e' caratterizzato da una persistente impossibilita' di parlare in situazioni sociali specifiche, come la scuola. Sono ancora pochi gli studi specifici esistenti su questa patologia, il cui riconoscimento precoce e' invece essenziale per impedire lo sviluppo di patologie più gravi e limitare le ricadute negative che interferiscono sul piano scolastico, cognitivo, relazionale e affettivo dei bambini e degli adolescenti.

Per informazioni, incontri e interviste: Valeria Volponi, 348.8983093


La parabola di Greganti: prima la condanna per tangenti, poi la nuova vita da consulente. Fino all'endorsement per Renzi e Chiamparino

Il ritorno del Compagno G sempre fedelissimo al partito


di Luca Fazzo



La parabola di Greganti: negli anni Novanta la condanna per tangenti da amministratore del Pci-Pds, poi la nuova vita da consulente. Fino all'endorsement per Renzi e Chiamparino


Andò così. Che quel branco di lupi che erano i cronisti di Mani Pulite annusarono l'arrivo di un mandato di cattura sul fronte del Pds, e andarono dal giudice Ghitti a chiedergli: chi arrestate? E quello, sibillino: «Uno col nome che comincia per G». Nacque così la leggenda del «compagno G», il pomeriggio del 27 febbraio 1993. Prima ancora del suo arresto le cronache lo definivano «militante di scarsa fama ma di sicura fede». Due mattine dopo, lo arrestarono nel corridoio dell'ufficio di Ghitti. I cronisti si trovarono davanti un tipo «tarchiato, un po' sovrappeso, la barba brizzolata e il giubbotto sportivo gettato sulle spalle». «Li ha presi per sé o per il partito?», fecero in tempo a chiedergli prima che lo portassero via. Lui non rispose. E nei ventun anni successivi ha continuato a non rispondere.

Adesso che in nome di una desolante ciclicità della storia italica Primo Greganti è tornato in galera, sarebbe bello andare aldilà del cliché che in tutti questi anni gli è rimasto addosso, il comunista tutto d'un pezzo che si fa la galera senza cantare, e si immola per la causa incassando la condanna a tre anni di carcere. Ma come si fa? Ognuno è il marchio che gli cuciamo. Lui, il «compagno G», il suo marchio ha cercato in questi anni di scrollarselo di dosso in tutti i modi, sostenendo di non avere parlato solo perché non aveva nulla da dire, e che la vera storia di quei 621 milioni di lire girati sul conto «Gabbietta» da un manager del gruppo Ferruzzi era davvero una storia tutta sua, privata, soldi destinati a vaghi appalti in Cina e non a oliare il burosaurico apparato di Botteghe Oscure. Ma chi ci crede, chi ci ha mai creduto? I primi a non crederci erano i militanti del partito, che quando dopo la scarcerazione lo incrociavano ai festival dell'Unità si alzavano in piedi ad applaudirlo come un reduce se non un eroe.

Sono passati vent'anni, e lui non è cambiato. Ingrigito, ancora più cicciotto, questo sì. Ma sempre lì, dalla stessa parte, comunista e poi diessino e poi piddino, fino alla intercettazione di questi giorni «adesso voto Renzi», non c'è evoluzione o involuzione che non lo abbia visto d'accordo; d'altronde lui è uno di quelli «che condividono le decisioni del partito prima ancora che vengano prese» (copyright Fortebraccio): ma forse anche questo è un cliché, e Greganti è semplicemente un signore con i piedi per terra, consapevole che l'unica speranza di sopravvivenza per il suo partito è andare avanti, svecchiarsi. Di questa necessità di sopravvivenza fanno parte in fondo anche le esigenze di cassa di cui lui si è sempre fatto carico, a costo di defatiganti trattative con i compagni della Germania Democratica e con Paola Occhetto, sorella anch'essa baffuta del segretario del partito.

Greganti riappare lì dove lo avevamo lasciato, in quella terra di nessuno che sta a metà tra la politica e il business, e che è il suo vero terreno di militanza. Nella sua Torino, dove si era speso pubblicamente per la campagna elettorale di Chiamparino, ultimamente lo davano attivo nel campo dei lampioni intelligenti, che cosa siano esattamente non si sa, ma di sicuro vanno venduti alle amministrazioni pubbliche. Lui, a chi gli chiedeva quale fosse il suo lavoro, rispondeva: quello di sempre, consulenze, intermediazioni d'affari. E faceva capire che più che finanziare il partito gli stava a cuore oggi quadrare il bilancio familiare, reso traballante dalle sue irrequietezze. Ma al richiamo della foresta, al fare da pontiere tra casse pubbliche e casse di partito o di area non si resiste: e cosa quindi meglio dell'Expo, di cui nelle intercettazioni Greganti dimostra di sapere tutto o quasi tutto, e parla con precisione da tecnico di appalti, consorzi, partiti. Lo fa per se stesso, per la sua società che si chiama Seinco e che campa dell'1 per cento sulle commesse che procura; ma in questo modo, dicono i pm, «rappresenta gli interessi illeciti delle cooperative che rappresenta».
A conoscerlo, è un tipo simpatico che quando gli chiedi come è andata davvero la faccenda di Mani Pulite risponde: «Alla fine ho vinto io».

Silvio Berlusconi, iniziano i servizi sociali: un esagitato lo contesta

Silvio Berlusconi, iniziano i servizi sociali: un esagitato lo contesta



E' il grande giorno per i fan delle manette e per tutti gli alfieri dell'antiberlusconismo. Pochi minuti dopo le 9.30 Silvio Berlusconi è arrivato a Cesano Boscone, in provincia di Milano, per il suo primo giorni di affidamento ai servizi sociali. Il Cav arriva a bordo di un Audi all'istituto Sacra Famiglia, la struttura alla quale è stato assegnato in prova dopo la condanna nel processo Mediaset. Fuori dall'istituto una selva di microfoni e telecamere, giornalisti da tutto il mondo. E nella Cesano Boscone di Massimo Tartaglia, il folle che colpì Berlusconi in faccia con una statuetta del Duomo nel 2010, si è distinto un altro esagitato. Bandana gialla in testa (bandana grillina?), il folle ha cercato di superare le transenne, ma è stato subito bloccato dalla forze dell'ordine.

Il sindacalista - L'uomo, come un provetto ultrà delle manette, continuava ad urlare a squarciagola: "Noi italiani abbiamo un sogno nel cuore, Berlusconi a San Vittore". Il Cav, in pochi secondi, ha dribblato tutti, giornalisti e curiosi, ed è entrato alla Sacra Famiglia. Dunque l'esagitato ha conquistato l'attenzione di tutti i cronisti, raccolti attorno a lui per narrarne la "performance". L'agitazione, però, grazie all'intervento delle forze dell'ordine è presto rientrata. Il personaggio che ha contestato Berlusconi, si è poi appreso, si chiama Pippo Fiorito, ed è un rappresentante dei Comitati unitari di base dell'istituto, ossia un sindacalista della struttura dove il Cav ha iniziato la sua attività di sostegno ai malati di Alzheimer. Fiorito ha tuonato: "Lotteremo finché Berlusconi non se ne andrà" dall'istituto Sacra Famiglia, e quindi ha dato appuntamento alla stampa per il prossimo venerdì, quando il leader di Forza Italia tornerà a Cesano Boscone.

Torna Tangentopoli: Expo, Angelo Paris e Primo Greganti arrestati per turbativa d'asta e corruzione

Torna Tangentopoli: Expo, Angelo Paris e Primo Greganti arrestati per turbativa d'asta e corruzione



Angelo Paris e Primo Greganti sono stati arrestati insieme ad altre 5 persone in un’inchiesta della Procura di Milano coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Milano Ilda Boccassini e dai pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio e condotta dal Nucleo di polizia tributaria della Gdf di Milano insieme a uomini della Di Il manager di Infrastrutture Lombarde e l’imprenditore già coinvolto in Mani Pulite sarebbero al centro dell’indagine che vede al centro episodi di turbativa d’asta e corruzione legati all’Expo che si terrà a Milano nel 2015. Ordinanze di custodia in carcere anche per l’ex parlamentare della Democrazia Cristiana Gianstefano Frigerio, per l’ex parlamentare di Forza Italia Luigi Grillo, per Primo Greganti, storico esponente del Pci coinvolto in Mani Pulite, per l’intermediario Sergio Catozzo e per l’imprenditore Enrico Maltauro. Ordinanza di arresti domiciliari invece per Antonio Rognoni, ex dg di Infrastrutture Lombarde, già arrestato nelle scorse settimane nell’ambito di un’altra inchiesta con al centro  una serie di irregolarità negli appalti delle più importanti opere pubbliche in Lombardia, tra cui anche alcune gare relative all’Expo. 

Il nome di Silvio. Nell'inchiesta spunta anche il nome di Silvio Berlusconi (ma non è indagato). Secondo quanto riporta Repubblica, Frigerio aveva contatti con il Cav i spesso non per telefono, bensì con messaggi scritti e recapitati a mano. Ed è Berlusconi, in una cena collettiva su Expo, ad avere al tavolo lo stesso Paris, che si era "messo a disposizione" dei faccendieri.  Non solo. Grillo avrebbe portato un altro manager (che non è finito in carcere) a casa di Cesare Previti: c’è anche l’avvocato romano, condannato per corruzione dei giudici a favore di Berlusconi, nelle oltre 600 pagine dell’ordinanza di custodia. Non risulta comunque indagato, così come Gianni Letta (anche il suo nome compare nelle carte dell'inchiesta).

Le accuse - "Ramificazioni in diversi settori dell’amministrazione e agganci politici" di qualsiasi schieramento. È questa la pericolosità insita nell’organizzazione smantellata oggi  a Milano nell’inchiesta sull’Expo che ha portato a sette arresti. Il pm Antonio D’Alessio usa questa e altre frasi per spiegare una struttura capace di "avvicinare il pubblico ufficiale per ottenere anticipi di bandi e di procedure di gara" ad esempio relativi  al progetto delle Vie d’acqua o all’area parcheggi per Expo. In questo senso è "sorprendente la disponibilità" di Angelo  Paris direttore generale divisione construction and Dismantling e responsabile ufficio contratti di Expo 2015,  finito in manette, "di mettere a disposizione informazioni riservate". Un’organizzazione che si "rivolge a pubblici ufficiali promettendo avanzamenti di carriera in cambio di protezione politica". e che ha dalla sua parte spiega il pm Claudio Gittardi una "capacità impressionante di interventi in appalti sanitari, con una squadra di direttore generali e amministratori a sua disposizione". C’è un richiamo "fortissimo a far parte di una squadra, la capacità di coprire tutte le aziende operative con collegamenti e protezioni" riferibili "a qualsiasi schieramento politico", conclude. 

Le intercettazioni - Paris, secondo gli inquirenti, era "totalmente sottomesso ai voleri dell’associazione". "Io vi dò tutti gli appalti che volete se favorite la mia carriera", afferma in un'intercettazione in cui parla con alcuni componenti dell'associazione a delinquere, che così veniva a sapere in anticipo delle decisioni riguardanti Expo 2015, per esempio quelle relative ai padiglioni dei diversi Paesi o gli interventi per risolvere aspetti problematici del progetto delle Vie d'Acqua. L'associazione per delinquere, "operativa da un anno e mezzo o due", avrebbe condizionato o tentato di condizionare almeno da metà del 2013 diversi appalti Expo, tra cui la gara "per l'affidamento per le architetture di servizi", che sarebbe stata pilotata a favore dell'imprenditore vicentino Enrico Maltauro, finito in cella. Sempre secondo i pm, Maltauro avrebbe versato "30-40mila euro al mese" in contanti o come fatturazione di consulenze alla "cupola degli appalti".

"Rami malati" - Bruti Liberati ha commentato: "Abbiamo reciso nel più breve tempo possibile i rami malati, proprio per consentire ad Expo di ripartire al più presto". L'ad di Expo 2015, Giuseppe Sala, non è coinvolto in alcun modo nell'inchiesta: lo ha spigato il pm Gittardi, che ha poi chiarito che non sono stati sequestrati "atti dei procedimenti amministrativi in corso e quindi Expo può tranquillamente procedere ed operare". L'inchiesta, dunque, non vede il coinvolgimento di alcun altro esponente della società che curerà Expo, e non ha portato al sequestro di aree che potrebbero ritardare il progetto per l'evento del 2015.

Il meccanismo - L’inchiesta, però, non riguarda solo Expo, ma pure la progettazione dei lavori (per un valore di bandi di gara di 323 milioni di euro) della Città della Salute nel Comune di Sesto San Giovanni, la gestione dei servizi di supporto non sanitari rivolti alle due Fondazioni IRCCS destinate a fondervisi (Carlo Besta e Istituto Nazionale dei Tumori). Rognoni, secondo gli investigatori, d’accordo con Frigerio, Cattozzo, Grillo e Greganti, avrebbe "organizzato costanti incontri personali" durante i quali si trasmettevano "notizie di ufficio destinate a rimanere segrete sul procedimento di formazione del bando di gara e sulla successiva fase di aggiudicazione". In questo modo venivano "segnalate in anticipo le migliorie progettuali in grado di assicurare" ai partecipanti da favorire "una valutazione di favore rispetto all’offerta pervenuta da altre imprese concorrenti". Secondo l’accusa, i reati sarebbero stati compiuti almeno fino a due mesi fa. I pm titolari dell'inchiesta parlano di una vera e propria "cupola per condizionare gli appalti", che prometteva "avanzamenti di carriera" grazie a "protezioni politiche" a manager pubblici e ufficiali. Il meccanismo era "molto semplice": quando c’era una gara d’appalto giudicata interessante, l’associazione diretta da Gianstefano Frigerio interveniva avvicinando il pubblico ufficiale competente, utilizzando gli appoggi e le amicizie che poteva vantare in altri contesti, muovendosi "a 360 gradi" nell’ambito politico. 

Sala: "Fiducia tradita" - "La gravità dei fatti emersi oggi, l'importanza dell'Expo per l'Italia e l'assoluta convinzione che la legalità sia il valore fondante del lavoro di chi opera per il Paese, mi obbligano a riflettere a fondo sulle modalità di conduzione di Expo nel suo ultimo anno di preparazione", ha commentato l'ad di Expo Sala in una nota. "Svolgo da sempre la mia attività professionale credendo nel lavoro di squadra e nella lealtà dei comportamenti. Oggi questa fiducia appare sorprendentemente tradita da una delle persone di Expo", prosegue Sala. "Dal mio punto di vista non intendo sottrarmi alla responsabilità che comunque è sempre in capo a chi guida una società. Apprezzo le autorevoli dichiarazioni di solidarietà e sostegno che giungono da più parti e ritengo estremamente prezioso il lavoro della magistratura a favore della piena realizzazione dell'Expo. Per questo, in vista dell'incontro di martedì con il presidente del consiglio, intendo esaminare quali siano le migliori condizioni di lavoro della società nell'esclusivo interesse dell'Expo, del Paese e dell'assoluto rispetto della legalità". Sala - dopo le voci sulle sue possibili dimissioni - ha incassato il sostengo anche dal governatore Roberto Maroni. "Gli rinnovo la fiducia - ha detto il presidente della Lombardia -. Spero si possa procedere rapidamente nella realizzazione del cronoprogramma previsto". 

Elezioni, il Cav: "A chi pensa di non votare dirò di aprire gli occhi"

Elezioni, il Cav: "A chi pensa di non votare dirò di aprire gli occhi"


di Luca Romano



In un'intervista al Tg1, il leader di Forza Italia si è rivolta alla metà di Paese che pensa di non presentarsi alle urne e ha criticato un esecutivo sottomesso a Bruxelles


Alla vigilia del primo giorno di servizi sociali presso la struttura della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, Silvio Berlusconi è tornato oggi a parlare, in un'intervista al Tg1. Il leader di Forza Italia si è rivolto "alla metà dei cittadini che pensa di non andare a votare", invitandoli a presentarsi alle urne il prossimo 25 maggio e a esprimere la propria  preferenza per chi "garantisce una difesa in Europa e in Italia più benessere, meno tasse, più libertà". "Aprite gli occhi", ha chiesto il Cav, chiarendo che la strategia di Fi punta su quanti si sentono scoraggiati o ancora non hanno deciso, da una posizione d'opposizione al "terzo governo di sinistra non eletto dai cittadini, che sta in piedi con la stampella dei 33 senatori di Alfano eletti dagli elettori del centrodestra proprio con il mandato di contrastare la sinistra". E critica un esecutivo "sottomesso alla politica di austerità e rigore dei burocrati di Bruxelles".

Berlusconi ha ribadito oggi che "è il Pd che collabora" sulle riforme, rimarcando il fatto che Forza Italia le aveva realizzate già nel 2005, prima che venissero cancellate dalla sinistra, "con un referendum che ho definito sciagurato".