Il ministro della banalità sputa sulla tv
di Luigi Mascheroni
Il ministro: "I canali risarciscano i danni fatti alla lettura". Intanto, prima degli incontri, si proiettano pillole di tv trash
Alla cerimonia d'inaugurazione, ieri mattina, presenti intellettuali e autorità, Dario Franceschini rischiava di passare inosservato, senza lasciar traccia, come tutti i suoi colleghi ministri della Cultura che lo hanno preceduto negli anni, circa venti, in 27 edizioni del Salone del Libro. E ci stava quasi riuscendo, impantanato nella solita retorica sulle bellezze d'Italia, la grandiosità del nostro patrimonio artistico, la nostra incapacità di sfruttarlo, il valore economico della cultura... Poi, al centro del tavolo d'onore, tra il presidente del Salone Rolando Picchioni, il direttore Ernesto Ferrero, reverendissimi monsignori in rappresentanza della Santa Sede (ospite d'onore) e il sindaco Fassino, Dario Franceschini ha scosso la coda lunga di un'interminabile cerimonia, con un'alzata di testa orgogliosa, non solo metaforica, e un'alzata di voce improvvisa, per nulla aspettata. Dopo aver snocciolato i dati drammatici sulla (non) lettura in Italia, Franceschini ha tirato la staffilata: «Come ministro della Cultura intendo sfidare la televisione, pubblica e privata: ha fatto tanti danni, ora deve risarcirci». Silenzio stupito. «Chiedo a chi fa televisione, per restituirci quello che ci ha tolto, di fare più trasmissioni sui libri, di invitare più scrittori ai talk show, di concedere spazi gratuiti alla pubblicità di libri». Applausi divertiti. E così, nella duplice veste di autore Bompiani e ministro della Cultura, Franceschini ha posto il sigillo istituzionale sulla vulgata secondo la quale gli italiani sono quelli che sono - retropensiero: volgari, ignoranti, potenziali evasori fiscali, bulimici consumatori di calcio, Drive In e Grande Fratello e anoressici refrattari a mostre, romanzi e cinema d'essai - per colpa, e diciamolo chiaramente una buona volta, della televisione. Spazzando via 60 anni di tv pedagogica, da Mike Bongiorno a Sky (che infatti ha risposto stizzita: «Quelle di Franceschini sono critiche quanto meno avventate»; sulla stessa linea Andrea Vianello, direttore di Raitre: «Uno dei nostri scopi precipui è parlare della lettura»), e mettendo la firma ministeriale sotto un j'accuse troppo vecchio, troppo radical chic, troppo da dimostrare.
«È mai possibile - si è chiesto Franceschini - che nelle fiction televisive non si vede mai una persona che legge o una libreria?». Infatti. Li immaginiamo i figli dei boss della serie tv Gomorra, reticenti testimoni in aula, felici di fare da testimonial tv ai romanzi di Saviano... Per promuovere il libro e la lettura vale tutto, va bene (e di certo è ottima l'altra idea presentata ieri dal ministro: un festival del libro di tre giorni in tutte le scuole d'Italia, dalle elementari ai licei, ogni mese di settembre). Immaginiamo come sarà accolta la sfida del ministro dai «signori» delle televisioni, pubbliche e private, chiamati in correo del disastro librario italiano. E immaginiamo cosa pensino i Costanzo, i Fazio, i Marzullo, gli Augias, i Bonito Oliva, gli Sgarbi, i Daverio, tutti i direttori dei tg, nazionali e regionali, che, almeno in coda, prima della pubblicità, cercano ogni giorno di citare una mostra, o un libro, o un film. «Il punto - liquida la cosa con una battuta Giorgio Simonelli, docente di Storia della televisione, perso tra gli stand del Salone - non è portare chi scrive romanzi in televisione, ma ridare la televisione agli intellettuali che scrivono libri».
Cioè gli «scrittori-umanisti» che crearono la televisione che ha formato l'Italia e l'italiano. Di certo della cosa, ieri, se ne è parlato molto, dentro e fuori il Salone, archiviando l'uscita di Franceschini o tra le boutade o tra gli sfoghi fuori bersaglio. Come ha commentato il presidente di un grosso gruppo editoriale (insigne Storico della letteratura, per altro): «Mi sembra una battuta un po' populista. Grillo ha fatto scuola». E intanto, fra populismo e snobismo, per una concomitante idea del presidente Rolando Picchioni (non concordata con Franceschini, che fa il paio in un attacco concentrico e devastante alla televisione italiana), nei giorni del Salone tra un incontro e l'altro, sugli schermi delle grandi sale, passano brevi video con pillole di tv-spazzatura, tratte dalla Rete, che liofilizzano il peggio della tv: dalla lite cult tra Pappalardo e Zequila alle esibizioni dei cantanti trash a X-factor, da Dean Harrow all'Isola dei famosi agli strafalcioni culturali a L'eredità (domanda: «Quando diventò cancelliere Hitler»; risposta: «Nell'anno 1978»). Il messaggio? Ecco cosa succede quando in tv il libro non c'è. L'idea, un po' trash a dire la verità, è a effetto. Ma talebana. Dividere il mondo (del pubblico) tra chi fa il Bene (quelli che leggono i libri consigliati su La7, per dire, e vedono RaiEdu, ad esempio) e chi vede il Male (Quelli che il calcio... quelli che spiano nella Casa del GF; quelli che passano la domenica pomeriggio in quei certi salotti-tv) non porterà da nessuno parte. Se non irrigidire gli snob e far ulteriormente sbracare il volgo.