Per salvare le banche quasi un miliardo e mezzo di euro dei contribuenti
di Francesco De Dominicis
Altro che niente effetti per il contribuente, come sostengono governo e Pd. Pesa per 1,4 miliardi di euro sui bilanci pubblici il salvataggio delle quattro banche vicine al crac a cui l’esecutivo di Matteo Renzi ha dato il via libera domenica pomeriggio. L’impatto sulle finanze dello Stato è la conseguenza di due aspetti distinti dell’operazione concertata dalla Banca d’Italia e dai principali gruppi creditizi del Paese scesi in soccorso di Banca Marche, Carichieti, Cariferrara e PopEtruria. Da una parte ci sono sgravi fiscali per gli istituti per circa 1 miliardo, dall’altra 400 milioni che la Cassa depositi e prestiti “impegna” a garanzia della liquidità anticipata” da IntesaSanpaolo, Unicredit e Ubibanca. Il totale, è pari a quasi un miliardo e mezzo.
Vediamo i dettagli. L’operazione poggia sul nuovo Fondo di risoluzione delle crisi creato da Bankitalia la scorsa settimana e previsto dalle nuove regole europee sul cosiddetto bail in (il sistema che prevede un contributo di azionisti, obbligazionisti e correntisti con depositi superiori a 100mila euro per ripianare le perdite degli istituti in fallimento). Il Fondo è alimentato da contributi obbligatori versati da tutte le banche. La legge parla di 5-600 milioni l’anno, cifra insufficiente a sostenere il paracadute per i quattro istituti quasi falliti. Di qui l’idea di anticipare i versamenti degli anni successivi fino ad arrivare ai 3,6 miliardi complessivi necessari per l’intero piano: 1,8 miliardi sono stati utilizzati per creare il capitale delle quattro nuove banche (Nuova Banca Marche, Nuova Carichieti, Nuova Cariferrara e Nuova PopEtruria) operative già da ieri mattina; 1,7 miliardi sono serviti per ripianare una parte delle perdite e altri 140 milioni sono la dote per la bad bank, vale a dire la scatola in cui sono stati fatti confluire tutte le sofferenze (prestiti non rimborsati) dei quattro istituti salvati.
Il dettaglio, per la verità, non conta granché rispetto agli effetti finali sul versante fiscale. Tutti i 3,6 miliardi pagati dalle banche sono defiscalizzati, si possono detrarre dai versamenti di Ires, l’imposta pagata dalle società e quindi anche dagli istituti. L’aliquota prevista per questo tipo di sgravio è pari al 27,5%:ne consegue che nelle casse dello Stato arriverà, quest’anno, meno Ires per 990 milioni. Qualcuno potrebbe obiettare che quello stesso sgravio sarebbe stato ottenuto, comunque, nel corso dei prossimi anni, visto che i contributi (di fatto una assicurazione) al Fondo di via Nazionale sono obbligatori. Può darsi. E’ pur vero, tuttavia, che l’effetto di cassa è immediato perché sul bilancio pubblico italiano sarà registrato in un colpo solo un “buco” di quasi un miliardo. Senza dimenticare che se nei prossimi anni, in caso di crac di altre banche (non auspicabili, ci mancherebbe), serviranno ulteriori versamenti, di fatto straordinari, visto che il Fondo ha bruciato in anticipo le risorse future.
Poi c’è il discorso della Cdp, una società pubblica controllata dal Tesoro (azionista all'80%). La Cassa è stata chiamata in causa – magari come prova per un’operazione più complessa, su tutti i 200 miliardi di sofferenze del sistema bancario – per mettere sul piatto ben 400 milioni di euro a garanzia della liquidità concessa da Intesa, Unicredit e Ubi al Fondo. I tre big bancari del Paese, dunque, andranno a bussare alla spa di via Goito se qualcosa non funzionerà in Bankitalia.
E veniamo alle bugie. Quelle di palazzo Chigi, anzitutto: “Il decreto non prevede alcuna forma di finanziamento o supporto pubblico E ancora: “Il governo rende a istituti e lavoratori un futuro, senza soldi pubblici” scrive il Partito democratico nel suo account ufficiale su twitter. Quelle di Filippo Taddei (responsabile economico del Pd) che su twitter ha parlato di un piano”senza soldi pubblici o tasse ai correntisti”. Sulla stessa linea il deputato democrat Ernesto Carbone (“il decreto banche è senza fondi pubblici”). E non dice la verità nemmeno Bankitalia quando nel comunicato stampa diffuso per illustrare l’intera manovra sostiene che “lo Stato, quindi il contribuente, non subisce alcun costo in questo processo”. Magari la soluzione ideata dall’industria bancaria è il male minore, perché il fallimento di Banca Marche, Carichieti, Cariferrara e PopEtruria avrebbe provocato un terremoto nella fiducia dei risparmiatori, col rischio di vedere file di correntisti agli sportelli di tutte le banche (e un disastro per la circolazione del denaro nel circuito finanziario). Ma il denaro pubblico è stato utilizzato. E non va sottaciuto