Governo e Ong complici degli scafisti
di Fausto Carioti
Se ne sono accorti in pochi, ma quello di ieri in Parlamento è stato un giorno meno inutile del solito. Si è capito qualcosa di più, infatti, su come è stato possibile che lo scorso anno sbarcassero in Italia 181mila immigrati - record di sempre - e su come riusciranno nel 2017 ad arrivarne il trenta per cento in più (è l'andazzo dei primi tre mesi, a dimostrazione che si può sempre migliorare).
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Dimenticate lo stereotipo degli scafisti brutti, sporchi e cattivi: se quello che è stato detto ieri è vero, questi signori ormai lavorano in tutta tranquillità e magari spesso nemmeno salgono su natanti che si limitano a percorrere poche miglia, quante ne bastano perché il loro carico si affidato a imbarcazioni perfettamente legali. Davanti alla Libia ce ne sono tante, che aspettano solo di raccogliere gli immigrati che scaricheranno sulle nostre coste. Navi pubbliche, come quelle dello Stato italiano; di Frontex, il programma dell' Unione europea che avrebbe dovuto tutelare i nostri confini marittimi; dell' operazione Sophia, gestita dalla Forza navale mediterranea della Ue. E mezzi privati, che appartengono alle organizzazioni non governative, sempre più attive: nel Mediterraneo centrale queste oggi schierano otto navi e un aereo, di cui dispongono grazie a fonti di finanziamento tanto cospicue quanto opache.
«Non ci sono mai stati così tanti mezzi pubblici dispiegati in mare da Ue e Italia», ha spiegato Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex, in videoconferenza con la commissione Difesa del Senato. Proprio per questo, avverte, una presenza così massiccia delle ong in quelle acque «è un paradosso».
Il risultato di questo eccesso di offerta di trasporto è un netto miglioramento della qualità del servizio, se così lo si può chiamare: «Prima», ha spiegato il dirigente di Frontex, «i soccorsi avvenivano a metà strada tra Sicilia e coste libiche, oggi invece avvengono a 20-25 miglia nautiche dalle coste libiche, a volte anche in acque territoriali». Appena gli immigrati si muovono dalla spiaggia, insomma, trovano chi sgomita per imbarcarli.
In alcuni casi, e Leggeri assicura di avere le testimonianze che lo provano, gli scafisti consegnano agli immigrati cellulari con memorizzati i numeri telefonici delle ong che poi li raccoglieranno in mare. Notare: non sono i trafficanti a chiamare le organizzazioni, le quali negano di avere contatti con loro, ma gli aspiranti richiedenti asilo, che invocano soccorso. Un meccanismo a suo modo efficiente, che gira a pieno ritmo con il benestare delle milizie libiche e dello Stato italiano.
Da quanto si è capito ieri, infatti, se le ong ormai controllano circa un terzo dei «salvataggi» in mare, è anche per l'aiuto che ottengono dal governo di Roma. Oscar Camps, direttore di una della organizzazioni più attive, la catalana Proactiva Open Arms, lo ha detto candidamente alla stessa commissione Difesa: «Noi lavoriamo in coordinamento con la Guardia costiera italiana».
Ma l' imbarazzo maggiore l'ha provocato Michael Buschheuer, che guida l'ong Sea-Eye, una di quelle "accusate" di ricevere finanziamenti dal miliardario di origine ungherese George Soros (cosa che Buschheuer nega). Parlando al comitato parlamentare di controllo sull'attuazione del trattato di Schengen, ha detto che «almeno nel cinquanta per cento» dei casi la sua organizzazione riceve indicazioni dal Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, che dipende dal ministero dei Trasporti.
Secondo la testimonianza sua e di Camps, insomma, l' esecutivo italiano collaborerebbe con le organizzazioni non governative. È il motivo per cui la forzista Laura Ravetto, che presiede il comitato Schengen, ha convocato il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio. Il quale dovrà dare qualche spiegazione sul genere di rapporti, al momento niente affatto chiari, che il suo dicastero ha con le ong.
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