Alitalia, se non arrivano soldi freschi chiude tra dieci giorni
A dieci giorni dalla fatidica data del 13 aprile - quando si saprà se Alitalia continuerà a volare o atterrerà definitivamente su una pista che porta alla chiusura - sindacati e azienda tornano al tavolo delle trattative per un incontro tecnico con al centro la situazione del personale navigante. Il tavolo negoziale vero e proprio dovrebbe riprendere con modalità ’no stop’ giovedì prossimo, all’indomani dello sciopero proclamato per il 5 aprile, e chiudersi nel giro di una settimana per aprire la strada alla
ricapitalizzazione della compagnia.
La situazione non sembra alimentare ottimismo: le posizioni rimangono molto distanti e fonti sindacali riferiscono che i tagli richiesti dalla compagnia non sono gestibili. Peraltro, la drastica riduzione della liquidità preoccupa i lavoratori, ma non tanto da indurli ad accettare i sacrifici richiesti in termini di tagli di posti e retribuzioni. In proposito, il piano proposto dall’azienda prevede oltre 2.000 esuberi e la riduzione del 30% dello stipendio dei piloti. Il rischio di un commissariamento non viene, infatti, percepito come l’anticamera della chiusura dell’azienda e questo stato d’animo complica non poco il lavoro degli stessi sindacalisti.
Il nuovo piano e, soprattutto, il suo finanziamento hanno come condizione necessaria il consenso dei lavoratori ma questo dipende solo in parte dalla capacità dei sindacalisti di far "digerire" l’ennesima dose di sacrifici. Le precedenti esperienze non aiutano: come avvenuto già in passato, nel personale dell’ex compagna di bandiera è diffusa la convinzione che lo Stato non possa permettersi il suo fallimento e che, alla fine, una soluzione arriverà. Non ci si rende conto, riferisce un dirigente sindacale, dell’estrema gravità della situazione e i sindacati non possono fare miracoli.
Insomma, in attesa del nuovo incontro, anche alla luce delle adesioni allo sciopero di mercoledì, i segnali sono tutt’altro che rassicuranti e lo spettro della fine si avvicina con la stessa rapidità con cui si stanno svuotando le casse aziendali. E la prospettiva di un atterraggio in Tribunale rischia di diventare concreta entro 10 giorni: solo se tutti i tasselli andranno a posto, scatterà infatti la disponibilità degli azionisti alla ricapitalizzazione. Per scongiurare l’ipotesi di chiusura si è mosso anche il governo. Venerdì scorso, a sorpresa, il premier Gentiloni ha tenuto un vertice a palazzo Chigi con i ministri Delrio, Padoan, Calenda e i vertici della compagnia. E in quella occasione, gli azionisti avrebbero confermato la volontà di rilancio dell’azienda. Ma le posizioni restano distanti, perchè i sindacati ritengono inaccettabili i paletti messi dall’azienda. È stato lo stesso Calenda a indicare come deadline proprio il 13 aprile, in quanto dal giorno successivo ci sarebbe la necessità di far partire un piano di ristrutturazione finanziaria. «Uno scenario, questo - ha avvertito il ministro - che renderebbe ancora più complicate le cose».
ricapitalizzazione della compagnia.
La situazione non sembra alimentare ottimismo: le posizioni rimangono molto distanti e fonti sindacali riferiscono che i tagli richiesti dalla compagnia non sono gestibili. Peraltro, la drastica riduzione della liquidità preoccupa i lavoratori, ma non tanto da indurli ad accettare i sacrifici richiesti in termini di tagli di posti e retribuzioni. In proposito, il piano proposto dall’azienda prevede oltre 2.000 esuberi e la riduzione del 30% dello stipendio dei piloti. Il rischio di un commissariamento non viene, infatti, percepito come l’anticamera della chiusura dell’azienda e questo stato d’animo complica non poco il lavoro degli stessi sindacalisti.
Il nuovo piano e, soprattutto, il suo finanziamento hanno come condizione necessaria il consenso dei lavoratori ma questo dipende solo in parte dalla capacità dei sindacalisti di far "digerire" l’ennesima dose di sacrifici. Le precedenti esperienze non aiutano: come avvenuto già in passato, nel personale dell’ex compagna di bandiera è diffusa la convinzione che lo Stato non possa permettersi il suo fallimento e che, alla fine, una soluzione arriverà. Non ci si rende conto, riferisce un dirigente sindacale, dell’estrema gravità della situazione e i sindacati non possono fare miracoli.
Insomma, in attesa del nuovo incontro, anche alla luce delle adesioni allo sciopero di mercoledì, i segnali sono tutt’altro che rassicuranti e lo spettro della fine si avvicina con la stessa rapidità con cui si stanno svuotando le casse aziendali. E la prospettiva di un atterraggio in Tribunale rischia di diventare concreta entro 10 giorni: solo se tutti i tasselli andranno a posto, scatterà infatti la disponibilità degli azionisti alla ricapitalizzazione. Per scongiurare l’ipotesi di chiusura si è mosso anche il governo. Venerdì scorso, a sorpresa, il premier Gentiloni ha tenuto un vertice a palazzo Chigi con i ministri Delrio, Padoan, Calenda e i vertici della compagnia. E in quella occasione, gli azionisti avrebbero confermato la volontà di rilancio dell’azienda. Ma le posizioni restano distanti, perchè i sindacati ritengono inaccettabili i paletti messi dall’azienda. È stato lo stesso Calenda a indicare come deadline proprio il 13 aprile, in quanto dal giorno successivo ci sarebbe la necessità di far partire un piano di ristrutturazione finanziaria. «Uno scenario, questo - ha avvertito il ministro - che renderebbe ancora più complicate le cose».
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