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venerdì 25 aprile 2014

Conti correnti, sale l'aliquota al 26%: ecco quanto pagheremo. Taglio Irap, occhio alla stangata

Conti correnti, sale l'aliquota al 26%: ecco quanto pagheremo. Taglio Irap, occhio alla stangata


Sui conti correnti governo e Pd non riescono proprio a mettersi d'accordo. "Nessuna tassa", spiega Palazzo Chigi a margine del decreto Irpef, che prevede per il 2014 un gettito di circa 588 milioni di euro provenienti dall'innalzamento dell'aliquota dal 20 al 26% su depositi bancari o postali (dal 2015 dovrebbe essere di 3 miliardi). Il responsabile economico dei dem, il renziano Filippo Taddei, qualcosa in più lo dice: al 92,8% degli italiani che hanno conti correnti, libretti postali o certificati di deposito la manovra costerà "meno di un caffè al mese". Insomma, tassa o non tassa, spenderemo di più. 

Chi e quanto paga - Detto che il rincaro al 26% interesserà, oltre agli interessi sui conti correnti e depositi postali, anche le cosiddette rendite finanziarie (dividendi, plusvalenze di azioni e fondi) ed escluderà invece titoli di Stato come Bot e Btp, la Cgia di Mestre ha realizzato per Repubblica uno studio per capire quanto dovremo sborsare sui conti correnti. Fino a 10mila euro, in effetti, l'incidenza è minima visto che la tassazione passerà da 3,10 a 4,03 euro (93 centesimi in più). Più si sale coi conti, però, è più l'aliquota incide. Tra i 10mila e i 50mila euro, per esempio, l'onere aggiuntivo è di 2,3 euro l'anno, mentre tra i 50mila e i 250mila l'aumento è di 26,1 euro (da 87 a 113,1 euro). I più stangati, naturalmente, sono i più "ricchi": chi ha conti correnti oltre i 250mila euro dovrà pagare 169,2 euro in più, dagli attuali 564 a 733 euro fissati dalla nuova aliquota.

La tagliola dell'Irap - La misura, secondo il governo, dovrebbe coprire il taglio del 10% dell'Irap. Secondo Francesco Forte sul Giornale, però, anche qui il governo ha pronto l'inghippo. L'articolo 2 del decreto varato con la firma del presidente Giorgio Napolitano prevederebbe un'aliquota ordinaria ridotta dal 3,90 al 3,50 per cento. Aliquota ordinaria che, secondo quanto stabilisce la legge del 2001, le Regioni possono alzare o diminuire di un punto percentuale, portandola dunque al 4,90 o al 2,90 per cento. Secondo il nuovo decreto, le variazioni (in su e in giù) dovranno diminuire della stessa percentuale di cui viene diminuita l'aliquota ordinaria. Al momento, sono pochissime le regioni che applicano l'aliquota ordinaria alzata di un punto: Campania e Calabria (4,97), Lazio e Sicilia (4,82). Molte altre (Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Friuli Venezia Giulia) applicano invece l'aliquota ordinaria al 3,90, ma dal 2015 potranno arrivare comunque, in caso di emergenza finanziaria (sempre molto probabile) fino al 4,50 per cento. Una beffa dietro l'angolo che per ora il governo, impegnato a decantare il miracoloso taglio dell'Irap, non ha saputo scongiurare.

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